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AI GOVERNANTI

Legge naturale-diritto positivo, il Papa in linea con San Tommaso

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Interesse pubblico e scelte private: il criterio della legge naturale, «valida universalmente», che Leone XIV ha indicato come «bussola» per legislatori e governanti, è decisivo per realizzare il bene comune.

Ecclesia 23_06_2025

Il cambio di gestione ai vertici della Chiesa fa sentire sempre più i suoi effetti positivi. Citiamo un passaggio del Discorso del Santo Padre Leone XIV ai Parlamentari in occasione del Giubileo dei governanti: «Per avere […] un punto di riferimento unitario nell’azione politica, piuttosto che escludere a priori, nei processi decisionali, la considerazione del trascendente, gioverà cercare, in esso, ciò che accomuna tutti. A tale scopo, un riferimento imprescindibile è quello alla legge naturale, non scritta da mani d’uomo, ma riconosciuta come valida universalmente e in ogni tempo, che trova nella stessa natura la sua forma più plausibile e convincente. […] La legge naturale, universalmente valida al di là e al di sopra di altre convinzioni di carattere più opinabile, costituisce la bussola con cui orientarsi nel legiferare e nell’agire, in particolare su delicate questioni etiche che oggi si pongono in maniera molto più cogente che in passato, toccando la sfera dell’intimità personale».

Proviamo a prendere spunto da queste interessanti riflessioni del Papa per ricordare il legame necessario tra legge umana e legge naturale secondo il pensiero di San Tommaso d’Aquino, pensiero a cui si è ispirato con piena evidenza il Santo Padre. Sovraordinata a queste due leggi esiste la legge eterna che Tommaso così definisce: «la ragione della divina sapienza [che] muove ogni cosa al debito fine» (Summa Theologiae, I-II, q. 93, a. 1 c.). In buona sostanza quando Dio crea qualcosa o qualcuno imprime in esso o in lui anche un fine o più fini. Questo insieme di fini prende il nome di natura: «la natura è fine» («ἡ δὲ φύσις τέλος ἐστίν») spiega Aristotele (cfr. Politica, I, 2, 1252b, 32-34).

La nostra natura, ad esempio, si esprime come fascio di inclinazioni che tendono alla vita, alla salute, alla proprietà, alla conoscenza, alla socialità, a Dio, etc. (cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 94, a. 2 c). Sono dunque fini naturali dell’uomo, intrinseci a lui. L’uomo con l’intelletto scopre in sé questi fini e li giudica buoni, li qualifica come beni perché beneficano l’uomo, sono esattamente ciò che reclama la sua natura. Ergo dovrà agire in accordo a questi fini, in accordo alla sua natura: da qui il divieto di suicidarsi o di uccidere l’innocente e il comando di tutelare la vita; il divieto di vivere nell’errore e il comando di cercare la verità; il divieto di essere ateo e il comando di cercare Dio; etc. Questi insiemi di divieti e comandi si compendiano nell’espressione legge naturale: una serie di principi operativi (legge) che derivano dalla natura umana (naturale).

Qual è il compito del governante? Tutelare e accrescere il bene comune (cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 90, a. 4). Cosa è il bene comune? Diverse e valide sono le definizioni, ma qui ne scegliamo una perché assai pertinente: il bene comune è quell’insieme di condizioni che permettono al singolo e alle collettività di vivere secondo la legge naturale, ossia di vivere virtuosamente (cfr. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 26).

Se la legge umana ha come scopo quello di permettere ai singoli di vivere secondo i dettami della legge naturale, ciò comporta che il diritto positivo debba ispirarsi alla legge naturale e quindi che sia gerarchicamente subordinato alla legge naturale. Il governante allora, per le sue scelte che hanno un carattere pubblico, deve usare come paradigma operativo la legge naturale, declinando i principi generali della legge naturale nel diritto positivo limitatamente a ciò che attiene al bene comune (così come il cittadino deve declinare i principi della legge naturale nella propria vita privata, nelle sue condotte private). Quindi la legge umana ha un rapporto di dipendenza dalla legge naturale (ma anche la legge naturale per certi aspetti necessita del diritto positivo) e trova in essa quegli elementi indispensabili per soddisfare il compito suo proprio che è la tutela del bene comune.

Ecco perché è dovere del governante ad esempio vietare l’omicidio, il furto, il sequestro di persona, perché senza il presidio sanzionatorio dello Stato che dissuade dal compiere tali atti, sarebbe più difficile per il singolo tutelare la propria vita, la proprietà e la libertà personale, tutti beni/fini di diritto naturale. Ecco perché lo Stato deve comandare di pagare le imposte, di educare i figli, etc. perché senza questi comandi i cittadini più malvagi  non contribuirebbero economicamente al bene comune e ad educare i figli.

Questo snodo concettuale si salda con le parole del Papa appena citate: «La legge naturale […] costituisce la bussola con cui orientarsi nel legiferare e nell’agire su delicate questioni etiche che oggi si pongono in maniera molto più cogente che in passato, toccando la sfera dell’intimità personale». La legge naturale vieta ad esempio l’assassinio, condotta distruttiva per il bene comune. Ne consegue che lo Stato deve vietare l’omicidio, di qualsiasi persona, sia nata, anche in fin di vita o affetta da patologie gravissime (vedi eutanasia), che nascitura (vedi aborto). La legge naturale vieta di mettere a repentaglio la vita delle persone innocenti in modo irragionevole, condotta contraria al bene comune. Lo Stato dovrebbe vietare la fecondazione artificiale perché espone ad altissimi rischi la vita del concepito. La legge naturale vieta qualsiasi atto contrario alla dignità personale. Sempre la fecondazione artificiale attenta a questa dignità in modo gravissimo e quindi andrebbe vietata anche per questo motivo. La legge naturale stabilisce che il matrimonio è un’unione indissolubile tra due persone di sesso differente e il matrimonio contribuisce grandemente al bene comune. Da qui dovrebbero derivare il divieto di divorziare e il rifiuto di ogni legittimazione delle unioni omosessuali. Queste leggi che imponessero simili divieti non sarebbero leggi confessionali, ma, potremmo dire così, leggi laiche, perché razionali, perché conformi alla ragione umana e quindi condivisibili anche dai non credenti.

Il riferimento coraggioso del Papa alla “sfera dell’intimità personale” sta a significare che non tutte le scelte private e privatissime dei cittadini devono per questo motivo sfuggire al vaglio del legislatore. Alcune nostre scelte infatti interessano sia l’intimità personale che il bene pubblico e in questo caso l’intervento dello Stato non deve essere quello di avallare a priori ogni scelta semplicemente perché personale, ma valutarla rispetto al criterio del bene comune e quindi della legge naturale. Se rispettosa di entrambe andrà incoraggiata, altrimenti vietata e quindi sanzionata. Dunque, ci sta ammonendo implicitamente Leone XIV, il famigerato principio della tutela della vita privata ex art. 10 della Convenzione di Oviedo, non può diventare un libera tutti, una immunità morale, una zona franca per fare quello che si vuole e dunque per esigere dallo Stato la legittimazione dell’aborto, dell’eutanasia, delle “nozze” gay, etc. Anche le scelte compiute nell’ambito della vita privata quando incidono negativamente sul bene comune e quindi sono contrarie alla legge naturale devono essere vietate. Questo è ciò che ha ricordato il Papa ai parlamentari italiani e a tutti noi.



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