Lecornu, l’alter ego di Macron che già non piace ai francesi
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Il nuovo primo ministro è la sintesi vivente di tutte le cantonate e le ossessioni dell'inquilino dell'Eliseo. Malgrado la giovane età vanta una longevità politica che, ancor prima di iniziare, ha già portato il suo indice di gradimento ai minimi storici.

È Sébastien Lecornu ad aver conquistato il biglietto per Rue de Varenne, e attorno all’Eliseo e all’Hôtel Matignon non si fa che mormorare: «Macron ha scelto la strada più comoda». Un po’ perché il recente scioglimento dell’Assemblea nazionale è stata per il presidente l’ennesima manovra diversiva per non affrontare il problema principale – che è la sua stessa permanenza all’Eliseo – un po’ perché il presidente Jupiter ha nominato nient’altro che il suo alter ego.
Macron, che ama i colpi di scena anche quando non gli riescono alla perfezione, sembra aver scelto di lanciare il sasso e nascondere la mano: un gesto pensato per dare l’impressione di tirare a campare fino alla fine del mandato e, nello stesso tempo, per tentare una scommessa, ossia che l’Assemblea nazionale possa intravedere ancora una volta una soluzione a lui favorevole.
Così, ecco Lecornu. La stampa lo ha descritto come un volto nuovo, ma in realtà è uno dei profili politici più noti di Francia, tanto che il suo gradimento è già ai minimi storici: deve ancora iniziare, ma lo conoscono già tutti.
La coreografia delle Guardie Repubblicane è ormai una routine all’Hôtel de Matignon, e quando François Bayrou ha ceduto il potere a Sébastien Lecornu, il 10 settembre, il nuovo primo ministro ha subito dichiarato: «Non farò grandi discorsi perché l’instabilità politica e parlamentare che stiamo vivendo richiede umiltà e sobrietà», introducendo una dichiarazione di due minuti e ventuno secondi che ha mostrato tutta la sua esperienza davanti alla stampa. I francesi lo sanno, Lecornu è preparato e capace di rispondere sempre senza mai guardare un appunto.
Facendo del ministro delle Forze Armate il suo quinto primo ministro in tre anni, Macron ha affidato a un trentanovenne una sfida di peso. La stempiatura rende difficile pensarlo come uno dei tre capi di governo più giovani della Quinta Repubblica, ma Sébastien Lecornu, si sa, non è stata la carta della giovinezza da giocare: alle spalle ha già vent’anni di vita politica iniziata da adolescente con l’adesione all’UMP – poi diventato Les Républicains –, il principale partito di centrodestra, nella sua città di Vernon, nell’Eure. Da questo territorio a metà strada tra la capitale e la costa normanna ha preparato silenziosamente una rapida ascesa. Undici anni fa è diventato sindaco, approfittando dell’onda blu nel pieno della decrepitezza del quinquennato Hollande; l’anno successivo è entrato nel consiglio dipartimentale e ne è diventato subito il leader. Un percorso reso possibile da Bruno Le Maire, deputato del dipartimento, che lo introdusse al mestiere nel suo ufficio alla Segreteria degli Affari Europei nel 2008.
Voleva farsi monaco, poi diventare militare, oggi è primo ministro. Con l’ascesa fulminea del presidente costruito in laboratorio, nel 2017, Lecornu abbandona il centrodestra francese e si getta tra le braccia del leader dell’Eliseo. Il tempo trascorso accanto a Emmanuel Macron, uomo che ama essere lusingato, vale oro quando si è ambiziosi, e da allora i due sono inseparabili - membro prediletto del cerchio magico del Bell’Emmanuel.
Lecornu detiene il record di longevità politica dell’era Macron: è l’unico ad aver fatto parte di ogni governo. Segretario di Stato presso il ministro della Transizione Ecologica e Inclusiva nel governo Édouard Philippe, poi ministro delle Collettività Territoriali nel secondo Philippe, ministro d’Oltremare con Castex, quindi ministro delle Forze Armate con i governi Borne, Attal, Barnier e Bayrou. Un fedele del Presidente che non gli farà mai ombra e pronto a compiacerlo ad ogni costo. È stato definito un cortigiano, riluttante a contraddire l’inquilino dell’Eliseo. Brigitte stravede per lui, e lo invita a cena almeno una volta a settimana. Chissà se anche al prediletto ha imposto i corsi di dizione, come fece con Macron quando lo raccolse tra i suoi allievi e, insieme a Hermand, decise di farne il Presidente di Francia.
Quel che appare certamente, intanto, è che il nuovo primo ministro rappresenta la sintesi vivente di tutte le cantonate e le ossessioni dell’inquilino dell’Eliseo. Dall’enfasi sull’innovazione all’industria verde, dalla transizione energetica alle normative ambientali, fino a un accanimento sull’auto elettrica che ha contribuito a piegare l’industria automobilistica francese, il percorso di Lecornu riflette gli stessi fallimenti del presidente: l’ambientalismo trasformato in dogma, l’impulso bellicista eretto a strategia, la retorica roboante ma inconcludente. Non a caso, fu proprio lui l’architetto del «grand débat national» con cui Macron s’illudeva di chiudere definitivamente la stagione dei gilet gialli.
Fine conoscitore di gradi, insegne e simboli militari, Lecornu è divenuto il più giovane titolare della carica dai tempi della Rivoluzione, e con sé ha portato all’Eliseo una vera e propria febbre di guerra. Riservista della gendarmeria, un tempo di pattuglia nella regione dell’Eure, aveva a lungo puntato al Ministero delle Forze Armate, in nome del nonno partigiano al quale ha dedicato il suo recente volume Verso la guerra? (Plon). Nel suo libretto interroga il futuro con domande nette: «Siamo preparati militarmente e industrialmente a queste minacce? A cosa servono gli investimenti pubblici nella difesa? Quali sacrifici dovrà accettare la società? Quali scenari dobbiamo prevedere? Da dove arrivano le minacce più probabili?». È l’artefice della smania da elmetto da guerra del presidente, il promotore del fronte dei “volenterosi”, la mente dietro quella specie di treno dei pellegrini diretto a Kiev con Draghi e Scholz profeti di se stessi e quindi pensionati.
Tra i suoi exploit figura l’adozione quasi unanime della legge di programmazione militare, con un incremento del 40% rispetto alla precedente e in netta rotta di collisione con i tagli generalizzati ai bilanci pubblici. Non a caso, Lecornu è sostenitore convinto del riarmo della Francia e dell’Europa, al fianco di Macron nel rivendicare la necessità di offrire «garanzie di sicurezza» all’Ucraina e protagonista nell’intensificazione della cooperazione industriale con la Germania.
Nello stesso tempo, si è mostrato meno allarmista dei suoi predecessori: come Macron tende a minimizzare la gravità del debito pubblico e dell’instabilità economica, e fino a pochi giorni fa ripeteva di non credere che il Fondo monetario internazionale fosse «alle porte di Bercy», pur avvertendo che «se non facciamo nulla, il Paese finirà per soffocare lentamente». Interrogato sulla procreazione medicalmente assistita aperta a tutti (che in Francia ha abbattuto ogni paletto e l’ha estesa anche agli omosessuali), ha liquidato la questione con una frase lapidaria: «Se non avessi accettato, non sarei mai entrato nel governo».
Macron non ha mantenuto molte delle promesse iniziali, e con Lecornu continua sulla stessa linea: alla richiesta di maggiore democrazia ha risposto accentuando il potere della tecnocrazia. Più che la rivoluzione con cui si era presentato, ha finito per firmare un patto di compromessi con la Francia, spingendosi fino a sacrificare uno dei suoi amici più fedeli. Perché quello appena nato è l’ennesimo governo dell’era Macron con un destino già segnato: non potrà durare a lungo e non potrà fare grandi cose.
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