Le mille e una notte a Parigi: come il Qatar comprò la Francia
Ascolta la versione audio dell'articolo
Dal Paris Saint-Germain a edifici-simbolo e vetrine di lusso, il piccolo ma potentissimo emirato è ormai di casa sotto la Tour Eiffel, sin dai tempi di Mitterand. In cambio di investimenti, la capitale francese è diventata palcoscenico dell’influenza politica dell’islam sunnita.
Che il mondo arabo stia ridisegnando gli equilibri del potere globale non è più una suggestione, ma un dato di fatto. Lo si vede chiaramente nel calcio, per esempio, con campionati costruiti a colpi di petrodollari capaci di attrarre campioni o nelle grandi proprietà mediorientali che acquistano club storici dei tornei europei, spendendo cifre astronomiche senza però riuscire a tradurre sempre l’investimento in vittorie.
Ma il pallone è solo la punta dell’iceberg. Stanno cedendo, uno dopo l’altro, altri bastioni dell’Occidente: la moda, il lusso, il turismo, le tradizioni e quei luoghi iconici che incarnavano un immaginario europeo solido. Oggi, sempre più spesso, quei luoghi parlano un’altra lingua, profumano di spezie lontane e assumono il fascino opulento delle Mille e una notte. È il caso di uno dei viali più celebri e visitati del pianeta, da sempre considerato il manifesto vivente della grandeur francese. Gli Champs-Élysées, cuore pulsante di Parigi, non sono più soltanto francesi. Oggi, dietro le vetrine scintillanti e le facciate Haussmanniane, il vero regista è il Qatar, proprietario di oltre 400 metri di quel corridoio di boutique e palazzi di lusso lungo 1,3 km.
Il Qatar, grande poco più dell’Abruzzo, conta una popolazione di due milioni di persone di cui solo 300.000 qatarioti, il resto tutti immigrati, e un patrimonio stimato a 540 miliardi di euro, 53 volte quello dell’Italia. Ma sono bastati pochi anni perché questo frammento di 11.500 chilometri quadrati conquistasse uno strapuntino dal tavolo delle grandi potenze. E soprattutto perché diventasse di casa in Francia.
Una trama che va a rafforzarsi già all’inizio degli anni Ottanta, sotto la presidenza del socialista François Mitterrand. È allora che si gettano le fondamenta di un rapporto strategico destinato a durare. Da quel momento, Parigi diventa il principale arsenale di Doha: oggi circa il 90 per cento delle forniture militari del Qatar porta il sigillo francese, tra contratti, cooperazione industriale e diplomazia della difesa.
Ma è con Nicolas Sarkozy che l’emiro riceve le chiavi di casa. L’ex presidente francese non solo ne fa un interlocutore privilegiato, ma arriva a coinvolgerlo come consigliere informale nelle grandi crisi del mondo arabo, dalla Libia alla Siria, affidandogli un ruolo da regista silenzioso nelle quinte della geopolitica. Sarkozy spalanca così ogni varco istituzionale possibile alla famiglia Al-Thani, fino a concedere un regime fiscale su misura per i cittadini dell’emirato, esentati dalle imposte sulle plusvalenze immobiliari, ma anche da quelle sulle plusvalenze in conto capitale.
È grazie a questa architettura normativa che il fondo sovrano del Qatar ha potuto comprare e vendere immobili senza ostacoli nella ville lumière, trasformando Parigi in un capitale trasferibile: una vetrina su cinque non è più francese.
Non sorprende, allora, che l’ambasciata del Qatar si trovi proprio di fronte all’Arco di Trionfo, monumento della memoria napoleonica e dell’orgoglio nazionale francese.
Sono diventati proprietari di uno degli edifici simbolo di Francia, il palazzo in stile Art Nouveau che ospita le Galerie Lafayette e il supermercato Monoprix, un’operazione di mezzo miliardo di euro. Stesso destino per l’edificio un tempo roccaforte della finanza anglosassone, ex sede della banca HSBC, oggi passato di mano per 400 milioni di euro al fondo sovrano del Qatar. E che Louis Vuitton ha deciso, a sua volta, di affittare per aprire il suo primo hotel di lusso.
I capitali qatarioti hanno comprato di tutto, fino a diventare azionisti di riferimento di Lagardère, uno dei principali gruppi privati francesi. Lagardère detiene a sua volta una quota del 7,5 per cento di EADS (poi Airbus), colosso del settore aerospaziale e della difesa, uno dei comparti più sensibili e strategici dell’intero continente europeo. Altri indirizzi, poi, raccontano la stessa storia di opulenza e influenza: l’InterContinental con il leggendario Café de la Paix; gli hotel di extra-lusso Peninsula e Royal Monceau, quest’ultimo tra i più esclusivi della capitale, e ancora il palazzo che ospita il quotidiano Le Figaro.
Metafora plastica di una catena di partecipazioni che collega il lusso, i media e l’industria militare, disegnando una mappa del potere sofisticata e dove Doha occupa soprattutto spazi politici.
A fine febbraio 2024, l’Eliseo accoglieva con entusiasmo un nuovo pacchetto di investimenti da 10 miliardi di euro entro il 2030, destinato a settori strategici come energia, semiconduttori, intelligenza artificiale, aerospazio e sanità. Consacrando così Parigi, che per secoli ha preteso di insegnare al mondo il linguaggio dell’influenza culturale, a palcoscenico dell’influenza politica dell’islam sunnita.
Quando il Qatar cominciava a tessere la sua ragnatela nel Vecchio Continente, lo faceva scegliendo un terreno apparentemente innocuo, quello dello sport. Il caso emblematico del Paris Saint-Germain, mediocre squadra francese rilevata dalla QIA — il fondo sovrano controllato dall’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani — e affidata alla gestione di Nasser Al-Khelaïfi nel 2011, venne persino salutato con gioia in Europa. In pochi riconobbero nel PSG, nuova Disneyland del pallone, nient’altro che il cavallo di Troia per conseguire obiettivi geopolitici e trasformare Doha in interlocutore obbligato.
È a questo punto che bisogna fare un passo indietro. Il più grande esportatore di gas naturale liquefatto, diventa polo dell’islamismo globale nel 1995, quando, con un colpo di Stato, Hamad bin Khalifa spodesta il padre e diventa emiro. Fonda Al Jazeera, oggi il più importante canale di informazione in lingua araba del mondo, e inizia la florida amicizia con la Fratellanza Musulmana. Il soft power del Qatar, costruito attraverso investimenti trasversali, inizia a dispiegarsi, allora, lungo due direttrici geografiche precise: nel mondo arabo, dove sostiene i partiti legati ai Fratelli musulmani — potenziali protagonisti di un ritorno politico simile a quello visto durante le primavere arabe; in Europa dove l’obiettivo è esercitare un’influenza sull’islam europeo, evitando processi di integrazione che ne ridurrebbero la controllabilità. Una strategia funzionale a garantire al Qatar margini di ingerenza geopolitica e ideologica. Perché la geopolitica si fa soprattutto con i dollari. E finora l’operazione è un successo, come insegna la Francia.
È in questa cornice che, per esempio, si inserisce la questione palestinese. L’annuncio degli investimenti da 10 miliardi a febbraio con cui Parigi assicura la sicurezza energetica, il rafforzamento del dialogo strategico in primavera e il riconoscimento da parte di Macron dello Stato di Palestina nell’autunno scorso: esattamente una delle priorità diplomatiche centrali di Doha. Una posizione che avrà una eco gigantesca aprendo nuove manifestazioni in tutta Europa e inasprendo le relazioni con gli altri Paesi UE.
Il nesso è evidente: senza il peso degli investimenti la Francia avrebbe fatto più fatica ad esporsi con una tale decisione. A ciò si aggiunge il ruolo che gioca la politica più a sinistra di Francia: la France Insoumise di Mélenchon è accusata, da anni, di fungere da cassa di risonanza delle posizioni di Doha. Nei corridoi della politica parigina il movimento viene spesso definito «il partito del Qatar». Per il Qatar, ogni euro investito è una leva, un moltiplicatore di influenza, uno strumento per piegare il tempo politico alle proprie priorità strategiche. E a Parigi piace essere in vendita.
Effetto Mamdani a Parigi, la sinistra candida Sophia Chikirou
La fedelissima di Mélenchon in corsa per la poltrona di sindaco della capitale francese in vista del voto a marzo 2026. Una campagna elettorale scoppiettante che fa leva sulla "generazione Gaza" e cavalca l'onda lunga del primo cittadino di New York, musulmano e socialista.
Attacchi anticristiani, un'altra Notre Dame a fuoco a Parigi
La chiesa parigina quasi omonima della cattedrale ha rischiato la stessa sorte. Incendi e vandalismo in tutta la Francia contro i luoghi di culto cattolici. E non è "autocombustione" ma disprezzo per l'identità cristiana.
Il Qatar si ritira, negoziati per Gaza sempre più difficili
Decisione improvvisa dopo la chiusura degli uffici di Hamas a Doha. Intanto Netanyahu, contestato all'interno per la vicenda ostaggi, manda un altro segnale negativo nominando l'estremista Leiter nuovo ambasciatore d'Israele negli Stati Uniti.
Il Qatar sponsorizza il terrorismo. Però è "amico" di tutti
Il Qatar ospita i leader di Hamas e finanzia il movimento terrorista palestinese che ha attaccato Israele. Però non viene mai condannato. Perché per un motivo o per l'altro "serve" alle democrazie occidentali. E il "Qatargate" europeo dovrebbe insegnarci qualcosa.
Affari e moschee, la rete del Qatar in Italia
Da 15 anni il Qatar fa grandi investimenti nel nostro Paese: moda, hotel di lusso, grattacieli. L’Italia è seconda in Europa per forniture all’Emirato. Doha investe molto per diffondere l’islam, di qui i progetti sul territorio italiano di diverse moschee e scuole coraniche.


