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Santa Zita a cura di Ermes Dovico

UN MIRABILE INTRECCIO

L’autonomia delle creature e la loro dipendenza da Dio

La creatura assomiglia a Dio in un duplice senso. Dio accorda alle creature la capacità di essere a loro volta causa di bontà nel mondo, come spiega san Tommaso nella Somma contro i Gentili confutando gli errori dei mutakalimoun.

Catechismo 27_08_2023

Questo testo di Jean-Pierre Torrell - tratto da Tommaso d’Aquino. Maestro spirituale (Città Nuova, Roma, 1998, pp. 267-273) - è di grande aiuto per comprendere che l’affermazione della radicale dipendenza delle creature da Dio non comporta l’annullamento della loro densità ontologica. Al contrario, proprio perché create e conservate da Dio, sommo Bene, Sapienza e Potenza, esse sono in grado di essere realmente, a loro volta, causa di bene, ciascuna secondo la propria natura. È questa una verità di straordinaria portata contemplativa e al contempo una luce formidabile per comprendere che Dio è il fondamento e il garante dell’autonomia delle realtà create correttamente intesa, non l’antagonista.

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Per il solo fatto di essere creato da Dio, il mondo e tutto quanto esso contiene è una creatura buona, bella e vera. Tommaso, che apprende questo dalla prima pagina della Bibbia, ne riceve la conferma dalla dottrina della convertibilità dei trascendentali [ossia una “coincidenza” dell’essere, del bene e del vero, n.d.r.]. Secondo questo approccio alla realtà, la creatura non esiste soltanto come un essere puro e semplice; il grado di essere che le spetta è accompagnato da una partecipazione corrispondente alla verità, alla bontà e alla bellezza del suo creatore. È a questa profondità che si radica la visione del mondo decisamente positiva di fra Tommaso.

(…) Ancor prima di arrivare al tema specificamente teologico dell’uomo come immagine di Dio, è già vero affermare sul piano naturale che la creatura assomiglia a Dio in un duplice senso: non solo «essa è buona come Dio è buono», ma addirittura «essa muove un’altra creatura verso la bontà, come Dio stesso è causa della bontà negli esseri». È da questo duplice aspetto che si deduce il duplice effetto del governo di Dio sulla sua creazione: la conservazione delle cose nel bene e la loro mozione verso il bene. (…)

Senza inoltrarci molto in tutte le questioni che si pongono circa la dottrina della Provvidenza, e che di fatto hanno una considerevole importanza per la vita spirituale concreta, possiamo soffermarci qui sul secondo effetto: Dio accorda alle creature la capacità di essere a loro volta causa di bontà nel mondo (…).

In nessun luogo questa dottrina è meglio sviluppata e con maggior insistenza che nel Terzo Libro della Somma contro i Gentili. Il dibattito è sollevato a partire dalle posizioni dei teologi musulmani chiamati mutakalimoun o motecallemin, e del filosofo Avicebron, che in seguito si è identificato con il pensatore ebreo Ibn Gebirol. Secondo questi autori, «nessuna creatura avrebbe una propria attività nella produzione degli effetti constatati nella natura: cosicché il fuoco non riscalderebbe, ma sarebbe Dio a causare il calore là dove è presente il fuoco, e così di seguito per ogni specie di effetti naturali». A sostegno di questa strana posizione, essi allegavano un’intera serie di ragioni che li spingevano ad ammettere l’inattività di ogni corpo, l’inesistenza di ogni causa inferiore; in modo tale che in definitiva, Dio solo sarebbe realmente agente il tutte le cause apparenti di questo mondo (cf. Summa Contra Gentiles, III, 69).

Tommaso senza difficoltà formula le immediate obiezioni che il buon senso oppone a questa curiosa teoria: «Nell’ipotesi dell’inefficacia assoluta delle creature, sarebbe Dio che produrrebbe tutto in maniera immediata e quindi è inutilmente che si servirebbe delle creature nella produzione dei suoi effetti». Questo non assomiglia molto all’idea che si ha della sapienza divina, e d’altra parte noi sappiamo che «se Dio ha comunicato alle creature la sua somiglianza nell’essere, permettendo ad esse di essere a loro volta, egli ha comunicato loro anche la sua somiglianza nell’agire, cosicché le creature possiedono anch’esse un’attività propria». Ma non è tutto, e fra Tommaso intende ben mostrare come questa dottrina che pretende di esaltare Dio riservandogli l’efficienza di ogni causalità, sfocia in effetti nel mancargli di rispetto, facendosi di lui un’idea troppo piccola:

«La perfezione di un effetto è il segno della perfezione della sua causa; più potente è la sua forza, più perfetto è il suo effetto. Ora, Dio è il più perfetto degli agenti. Quindi è necessario che egli doni la perfezione agli esseri che ha creato. Così dunque, sottrarre qualcosa alla perfezione delle creature, significa togliere qualcosa alla perfezione della “virtù” divina (…). Ora, nell’ipotesi dell’inefficacia di ogni creatura la perfezione del mondo creato verrebbe molto sminuita, poiché appartiene alla pienezza di perfezione di un essere il poter comunicare ad un altro la sua propria perfezione. Questa posizione attenta perciò alla virtù divina [Tommaso sviluppa anche altri argomenti contro questa teoria, per concludere in termini simili]: Dio ha comunicato la sua bontà alle creature in modo tale che ciò che l’una ha ricevuto lo possa trasmettere alle altre. Negare agli esseri quindi la loro propria azione, significherebbe attentare alla bontà divina» (Summa Contra Gentiles, III, 69).

Questo passaggio è centrale nella discussione, ma non la conclude. Il seguito continua a sottolineare, ed è ben lungi dall’essere superfluo, che «se le cose create non avessero azione propria nella produzione dei loro effetti, ne deriverebbe che la natura di nessuna realtà creata potrebbe essere conosciuta a partire dal suo effetto. E così tutta la nostra scienza sperimentale ci sarebbe tolta, visto che essa procede soprattutto risalendo dagli effetti alla loro causa». (…) A tre riprese, nello spazio di poche righe, Tommaso ripete che declassare la creatura equivale a fare un torto al Creatore. Secondo lui non bisogna esaltare Dio a scapito dell’uomo. All’opposto di una spiritualità secondo cui la creature non sarebbero che nulla, e in cui l’uomo dovrebbe annientarsi perché Dio sia glorificato, Tommaso è convinto che Dio è tanto più grande quanto più lo è l’uomo.

Ci troviamo qui molto vicini alla prospettiva aperta dal Prologo della Seconda parte della Somma: «L’uomo, anch’egli è il principio dei suoi propri atti, perché possiede il libero arbitrio e il controllo dei propri atti». Di una sorprendente audacia, questo «anch’egli» non solo situa pienamente l’uomo dinanzi a Dio come interlocutore, ma lo colloca anche nel mondo come un agente libero e responsabile a cui la propria dignità impone un certo comportamento.

È facilmente comprensibile che tutto questo sia legato direttamente alla metafisica della creazione che abbiamo appena ricordato: non solo le nature hanno la loro «consistenza ontologica» e il Creatore permette ad esse di agire al loro proprio livello, ma egli rispetta anche le leggi che ha dato loro: «Autore della natura, Dio non toglie agli esseri ciò che è proprio alla loro natura» (Summa Contra Gentiles, II, 55). (…)

Contrariamente a quanto temevano i mutakalimoun, questo «non è dovuto al fatto che Dio sarebbe stato incapace di fare tutto da se stesso, ma è per eccesso di bontà che ha voluto comunicare alle creature una tale somiglianza con sé, in modo tale che non solo esse esistono, ma sono anche causa delle altre». Ciò non toglie niente alla causalità di Dio, giacché senza di essa niente esisterebbe, niente agirebbe. Ma si può affermare con san Paolo (Fil. 2, 13) che «Dio solo opera in noi il volere e l’operare», senza rinunciare tuttavia a un agire efficace a livello creato. L’errore da non commettere sarebbe quello di concepire Creatore e creatura come due cause concorrenti collocate sullo stesso piano, mentre la seconda è subordinata alla prima in modo tale che ciascuna fa tutto al livello che le compete:

«È chiaro che uno stesso effetto non è attribuito alla sua causa naturale e a Dio, come se una parte fosse di Dio e l’altra dell’agente naturale; esso è totalmente dell’uomo e dell’altro (totus ab utroque), ma in modo differente. Un po’ come uno stesso effetto è attribuito interamente allo strumento e interamente alla causa principale» (Summa Contra Gentiles, III, 70).



L’insegnamento

La presenza di Dio nella creazione: né panteismo né deismo

20_08_2023

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