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IL PAPA EMERITO ROMPE IL SILENZIO

L'allarme di Benedetto XVI: “Chiesa al collasso spirituale”

Le radici del decadimento morale della Chiesa fin dal '68, le contestazioni alla dottrina, il conciliarismo, i club gay nei seminari: Benedetto XVI torna con un testo poderoso sulle cause degli abusi che è una denuncia impietosa del lassismo morale e del rifiuto di Dio dagli anni '60 ad oggi. Con le chiavi per la salvezza: dall'Eucarestia alle minoranze creative. «Dobbiamo tornare a ubbidire a Dio e a rimetterlo come unico criterio di misura».
-IL DOCUMENTO INTEGRALE di Benedetto XVI

Documenti 12_04_2019

Benedetto XVI torna ad impugnare la penna e lo fa con la consueta chiarezza in un testo che rimarrà nella storia.

Il risultato è una riflessione di 18 pagine pubblicata sul periodico bavarese "Klerusblatt" e rilanciata in italiano dal Corriere della Sera (qui) e da Aci Stampa (qui) . Il papa emerito rivela di aver iniziato a scrivere i suoi appunti a partire dalla convocazione del summit sugli abusi voluto da Bergoglio con i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo. Un'iniziativa presa, dopo aver consultato la Segreteria di Stato e lo stesso Francesco (che ringrazia alla fine del testo), per fornire indicazioni utili ad aiutare i fedeli ad orientarsi nel momento di crisi che la Chiesa sta vivendo a seguito dello scoppio di nuovi e sempre più gravi scandali legati agli abusi sessuali.

"TERRIBILI" QUEGLI ANNI
Benedetto XVI ricostruisce l'origine della situazione attuale, risalendo agli anni '60 e al processo di dissoluzione morale iniziato all'epoca e proseguito inesorabilmente fino ad oggi. "Tra le libertà che la Rivoluzione del 1968 voleva conquistare - osserva Ratzinger - c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma". Un "collasso spirituale", lo definisce il papa emerito, sostenendo che ad esso è strettamente legata "la propensione alla violenza" conseguente che caratterizzò quegli anni. "Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 - scrive Benedetto XVI - fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente".

IL COLLASSO DELLE VOCAZIONI
Questo rese complicata la vita dei giovani che si avvicinavano al sacerdozio e determinò un "diffuso collasso delle vocazioni" e un "enorme numero di dimissioni dallo stato cle­ricale". Di pari passo si verificò sempre in quegli anni un parallelo "collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la Chiesa di fronte a quei processi nella società", sostiene il papa emerito, ricostruendone i passaggi iniziali: "Sino al Vaticano II - scrive nel testo - la teologia morale cattolica veniva largamente fondata giusnaturalistica­mente, mentre la Sacra Scrittura veniva addotta solo come sfondo o a supporto".

CONTRO LA LEGGE NATURALE
"Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova compren­sione della Rivelazione - continua - l’opzione giusnaturalistica venne quasi comple­tamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia". Ratzinger individua nel Sessantotto la culla del germe relativista penetrato, poi, anche nella Chiesa cattolica: "si affermò ampiamente - scrive il grande teologo - la tesi per cui la morale dovesse essere de­finita solo in base agli scopi dell’agire umano". Questo presupponeva che "non poteva esserci nemmeno qualcosa di assolutamente buono né tantome­no qualcosa di sempre malvagio, ma solo valutazioni relative. Non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio", osserva Ratzinger. Una lettura coerente con quanto sostenuto addirittura sin dal 1969, anno in cui, non a caso, decise di trasferirsi dall'inquieta università di Tubinga, profondamente turbato dai termini e dai contenuti della rivolta studentesca e della contestazione ecclesiale.

LA CONTESTAZIONE DELLA MORALE
Nel testo reso pubblico ieri, il papa emerito individua l'apice della crisi della presentazione della morale cattolica tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, in particolare con la cosiddetta "Dichiarazione di Colonia" firmata da teologi tedeschi, svizzeri, austriaci ed olandesi e seguita dall'italiano "Documento dei 63". Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, fu all'epoca il principale alleato di San Giovanni Paolo II nella difesa del magistero della Chiesa dagli attacchi di chi contestava il centralismo romano. Ratzinger ricorda l'energica reazione del pontefice polacco di fronte a quell'opposizione manifestatasi pubblicamente: Wojtyla "dispose che s’iniziasse a la­vorare a un’enciclica che potesse rimettere a posto queste cose. Fu pubblicata con il titolo Veritatis splendor il 6 agosto 1993 suscitando violente reazioni contrarie da parte dei teologi morali. In precedenza già c’era stato il Catechismo della Chiesa cattolica che aveva sistematica­mente esposto in maniera convincente la morale insegnata dalla Chiesa".

L'ATTACCO A VERITATIS SPLENDOR
E tra le "violente reazioni contrarie" alla Veritatis splendor, il papa emerito non manca di rievocare quella del famoso teologo morale Franz Böckle che "dichiarò che se l’Enciclica avesse deciso che ci sono azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie, contro questo egli avrebbe alzato la sua voce con tutta la forza che aveva". Subito dopo, non senza ironia, Ratzinger osserva che "il buon Dio gli risparmiò la realizzazione del suo proposito" perché "Böckle morì l’8 luglio 1991", mentre il documento venne pubblicato nel 1993, ribadendo che "ci sono azioni che non possono mai diventare buone". La "Veritatis splendor", spiega Ratzinger, conferma che "non ci poteva e non ci doveva essere alcun dubbio che la morale fondata sul principio del bilanciamento di beni deve rispettare un ultimo limite" perché "ci sono beni che sono indisponibili" e "ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno al di sopra anche della conservazione della vita fisica". "Dio - afferma nel testo pubblicato sul periodico tedesco - è di più anche della sopravvivenza fisica".

FONDAMENTALE IL MARTIRIO
Da quest'asserzione ne consegue che una vita acquistata "a prezzo del rinnegamento di Dio" è "una vita basata su un’ultima menzogna, è una non-vita". Utilizzando una splendida espressione, il papa emerito ci ricorda che "il martirio è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana". Proseguendo la sua riflessione sui temi della morale cristiana, Benedetto XVI  contesta la tesi, diffusa nel periodo di tempo preso in considerazione, secondo cui "al magistero della Chiesa spetti la competenza ultima e definitiva («infallibilità») solo sulle questioni di fede, mentre le questioni della morale non potrebbero divenire oggetto di decisioni infallibili del magistero ecclesiale".

UN MINIMUM MORALE
"C’è - sostiene Benedetto XVI - un minimum morale che è inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede e che deve essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria e si riconosce, al contrario, la pretesa che essa avanza rispetto alla vita concreta". Il papa emerito denuncia il tentativo di mettere in discussione l'autorità della Chiesa in campo morale e sottolinea che, "chi in quest’ambito (le) nega un’ultima competenza dottrinale, la costringe al silenzio proprio dove è in gioco il confine fra verità e menzogna".  

OPZIONE MINORANZE CREATIVE
Ratzinger passa poi a contestare la tesi di quei teologi secondo cui non esisterebbe un "proprium" della morale cristiana: "la peculiarità dell’insegnamento morale della Sacra Scrittura - spiega - risiede ultimamente nel suo ancoraggio all’immagine di Dio, nella fede nell’unico Dio che si è mostrato in Gesù Cristo e che ha vissuto come uomo. Il Decalogo è un’applicazione alla vi­ta umana della fede biblica in Dio. Immagine di Dio e morale vanno in­sieme e producono così quello che è specificamente nuovo dell’atteggiamento cristiano verso il mondo e la vita umana". Auspicando una rinascita di comunità catecumenali sulla stregua di quelle esistenti nella Chiesa antica in cui il "modo di vivere cristiano veniva insegnato e anche salvaguardato rispetto al modo di vivere comune", Ratzinger sembra riproporre il concetto già utilizzato - ad esempio in occasione del viaggio apostolico a Praga nel 2009 - delle "minoranze creative".

IL CLUB DEGLI OMOSESSUALI
Il collasso spirituale e della teologia morale si ripercosse pesantemente sulla formazione dei futuri sacerdoti: "In diversi seminari - fa notare in uno dei passaggi chiave del suo testo - si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima interno".

LA CONCILIARITA'
Ratzinger si spinge, dunque, ad analizzare i motivi dell'incapacità della Chiesa nel reagire con immediatezza all'emergere di questo grave "bubbone": "poiché dopo il Concilio Vaticano II erano stati cambiati pure i criteri per la scelta e la nomina dei vescovi - scrive il papa emerito - anche il rapporto dei vescovi con i loro seminari era differente". "Come criterio per la nomina di nuovi vescovi - prosegue - va­leva ora soprattutto la loro 'conciliarità', potendo intendersi natural­mente con questo termine le cose più diverse".  Ancora una volta, quindi, Benedetto XVI punta il dito contro quell'ermeneutica della discontinuità e della rottura che fece sì che "in molte parti della Chie­sa, il sentire conciliare venne di fatto inteso come un atteggiamento cri­tico o negativo nei confronti della tradizione vigente fino a quel momen­to, che ora doveva essere sostituita da un nuovo rapporto, radicalmente aperto, con il mondo". Citando il caso di due Visite apostoliche disposte nei seminari americani durante gli anni '60, Ratzinger spiega che la Santa Sede si rese conto del problema ma quelle iniziative non ebbero conseguenze perché, osserva, "evidentemente diverse forze si erano coalizzate al fine di occultare la situazione reale". Parole che fanno venire in mente il "fumo di Satana" denunciato da San Paolo VI. Questa tendenza iniziata negli anni '60, osserva Benedetto XVI, si consolidò negli anni '70 e fece sì che da allora in poi il declino delle vocazioni divenisse inarrestabile, con brevi eccezioni.

IL COLLASSO SPIRITUALE
E' in questa situazione di collasso spirituale e morale che Ratzinger colloca la piaga della pedofilia nella Chiesa, esplosa a partire dalla seconda metà degli anni '80. Affrontando un tema spesso sottovalutato, il papa emerito prosegue la sua riflessione analizzando il ruolo del procedimento penale nel codice canonico di fronte allo scoppio di questo scandalo ed evidenziando le difficoltà riscontrate da Roma e dai canonisti ad indicare ai vescovi le misure necessarie per questo tipo di crimini commessi da prelati; "ormai - afferma - era considerato 'conciliare' solo il così detto 'garantismo'. Significa che dovevano essere garantiti soprattutto i diritti degli accusati e questo fino al punto da escludere di fatto una condanna. Come contrappeso alla possibilità spesso insufficiente di difendersi da parte di teologi accusati, il loro diritto alla difesa venne talmente esteso nel senso del garantismo che le condanne divennero quasi impossibili."

IL GARANTISMO... PER LA FEDE
L'uomo che più si adoperò per ripulire la Chiesa dalla "sporcizia" in essa presente fa notare che "un diritto canonico equilibrato, che corrisponda al messaggio di Gesù nella sua interezza, non deve dunque essere garantista solo a favore dell’accusato, il cui rispetto è un bene protetto dalla legge" ma "deve proteg­gere anche la fede, che del pari è un bene importante protetto dalla legge. Un diritto canonico costruito nel modo giusto deve dunque contenere una duplice garanzia; protezione giuridica dell’accusato e protezione giuridica del bene che è in gioco". E rivendica, poi, il lavoro fatto in tal senso anche prima dell'elezione con l'attribuzione alla Congregazione per la Dottrina della Fede da lui guidata dei cosiddetti "delicta graviora" tra cui figurano, appunto, anche gli atti di abusi su minore. A tal proposito Ratzinger, con la consueta onestà intellettuale, spiega: "In sé, per i delitti commessi dai sacerdoti è responsabile la Congregazione per il clero. Poiché tuttavia in essa il garantismo allora dominava am­piamente la situazione, concordammo con papa Giovanni Paolo II sull’opportunità di attribuire la competenza su questi delitti alla Con­gregazione per la Dottrina della Fede, con la titolatura «Delicta maiora contra fidem». Con questa attribuzione diveniva possibile anche la pena massima, vale a dire la riduzione allo stato laicale, che invece non sa­rebbe stata comminabile con altre titolature giuridiche".

NON SERVE UN'ALTRA CHIESA
Il testo rilanciato ieri da "Corriere della Sera" e "Aci Stampa" si conclude con un capitolo intitolato "Alcune prospettive", una sorta di ricetta indicata per provare ad uscire dalla grave situazione di crisi attuale. Il papa emerito esclude che la soluzione sia "creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi" perché questo "esperimento già è stato fatto ed è già falli­to". Piuttosto, occorre ricordare che "l’antidoto al male che minaccia noi e il mondo intero ultimamente non può che consistere" nell'abbandonarsi all'amore del Signore. "La forza del male - infatti - nasce dal nostro rifiuto dell’amore a Dio". Nello sviluppare il concetto, il papa emerito si scaglia ancora una volta contro la deriva relativistica della società contemporanea: "Un mon­do senza Dio - osserva - non può essere altro che un mondo senza senso" perchè "non vi sarebbero più criteri del bene e del male" e "dunque avrebbe valore unicamente ciò che è più forte". In una simile situazione, "il potere diviene allora l’unico principio" e "la verità non conta, anzi in realtà non esiste".

MUORE DIO? MUORE LA LIBERTA'
Rievocando un suo cavallo di battaglia, Ratzinger denuncia: "una società nella quale Dio è assente - una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse - è una società che perde il suo cri­terio". La "morte di Dio" non dà libertà ad una società ma, al contrario, "significa la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento", facendo venire meno "il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male". E' quanto avviene specialmente nella società occidentale, diventata "una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire". Quella occidentale, dunque, si presenta sempre più come una società  dove "si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano".

«NON PARLIAMO PIU' DI DIO»
Partendo da questa considerazione generale, Benedetto XVI si sofferma sullo specifico, analizzando il caso della pedofilia che ne è espressione; è l'assenza di Dio, secondo il papa emerito, ad aver fatto assumere a questa piaga le attuali dimensioni ed averle spalancato le porte anche della Chiesa. "Anche noi cristiani e sacerdoti - osserva - preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica". E cita un esempio eloquente del cambiamento dei tempi: "Dopo gli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale, in Germania avevamo adottato la nostra Costituzione dichiarandoci esplicitamente responsabili davanti a Dio come criterio guida. Mezzo secolo dopo non era più possibile, nella Costituzione euro­pea, assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura". "Dio - prosegue - viene visto come affare di partito di un piccolo gruppo e non può più essere assunto come criterio di misura della comunità nel suo complesso. In questa decisione si rispecchia la situazione dell’Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza".

«OBBEDIAMO A DIO»
Come reagire di fronte a questi sconvolgimenti morali? Il primo compito consiste nell’"iniziare di nuovo noi stessi a vivere di Dio, rivol­ti a Lui e in obbedienza a Lui". Questo significa che l'uomo deve tornare ad "imparare a riconoscere Dio come fondamento della (propria) vita e non ac­cantonarlo come fosse una parola vuota qualsiasi". In primis, sottolinea il papa emerito, un compito che spetta ai cristiani tra i quali è sempre più diffuso un atteggiamento sbagliato nei confronti della celebrazione della Santa Eucarestia che porta a sottovalutare il dono della Presenza Reale.  Un atteggiamento che, secondo Ratzinger, tende a distruggere "la grandezza del Mistero".

IL CENTRO E' L'EUCARESTIA
Il papa emerito ribadisce con forza la centralità dell'Eucaristia nella vita della Chiesa e denuncia la tendenza a darle una connotazione conviviale: "l'Eucarestia - commenta - è declassata a gesto cerimoniale quando si considera ovvio che le buone maniere esigano che sia distribuita a tutti gli invitati a ra­gione della loro appartenenza al parentado, in occasione di feste familia­ri o eventi come matrimoni e funerali. L’ovvietà con la quale in alcuni luoghi i presenti, semplicemente perché tali, ricevono il Santissimo Sa­cramento mostra come nella Comunione si veda ormai solo un gesto cerimoniale". Benedetto XVI passa poi a difendere la Sposa di Cristo, contestando l'abitudine a parlane "solo utilizzando categorie politiche" e ricordando come "questo vale persino per dei vescovi". Una netta presa di posizione contro la deriva ideologica di molti presuli contemporanei.

IL MALE, MA C'E' UNA CHIESA SANTA
Il papa emerito mette poi in guardia da facili ma nefaste tentazioni come quella di "considerare la Chiesa addirittura come qualcosa di malriuscito che dobbiamo decisa­mente prendere in mano noi stessi e formare in modo nuovo"; a tal proposito, egli rileva che "l’accusa contro Dio oggi si concentra soprattutto nello screditare la sua Chiesa nel suo complesso e così nell’allontanarci da essa (...) l’idea di una Chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente". Un invito, dunque, a non denigrare la creazione perchè facendolo si denigra Dio stesso: "Sì - osserva Ratzinger - il peccato e il male nella Chiesa ci sono (...) ma anche oggi c’è pure la Chiesa santa che è indistruttibile (...) anche oggi ci sono molti uomini che umilmente credono, soffrono e amano e nei quali si mostra a noi il vero Dio, il Dio che ama". La riflessione di Benedetto XVI termina con parole di speranza: "Se con cuore vigile ci guardiamo intorno e siamo in ascolto, ovunque, fra le persone semplici ma anche nelle alte gerarchie della Chiesa - scrive - possiamo trovare testimoni che con la loro vita e la loro soffe­renza si impegnano per Dio". Lui stesso, con l'aiuto della comunità che lo aiuta e sostiene ogni giorno, continua a farlo e questo gli consente di "vedere e trovare la Chiesa viva".