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IN VIAGGIO CON ENEA/28

La morte e l'amicizia dei Troiani Eurialo e Niso

La tragica sorte di Eurialo e Niso, amici uniti anche nella morte. 

Cultura 12_04_2022

Mentre Enea è lontano dall’esercito troiano, Iride, messaggera di Giunone, istiga Turno ad attaccare il campo dei nuovi arrivati, protetto da un ragazzino: Iulo. Turno si avvicina con i suoi soldati alle mura dei Troiani. Quando avvista la polvere alzarsi, il troiano Caico comanda a tutti di asserragliarsi all’interno dei bastioni. Così, infatti, aveva comandato Enea. Arrivato per prima alle mura nemiche, Turno scaglia il suo giavellotto in aria per provocare a battaglia, ma nessuno dei Troiani esce dalle case. Invano Turno cerca un varco per accedere nelle mura. Il capo dei Rutuli si avventa allora sulla flotta troiana per bruciare le navi. Appena vengono toccate dalle torce, le navi si trasformano in Nereadi e si dileguano sull’acqua.

Per quali ragioni? Quando Enea allestì la flotta per fuggire da Troia in fiamme, il sommo Giove aveva concesso a Cibele (dea del monte Ida nella Troade) che le navi troiane superstiti potessero rimanere in eterno, una volta approdate in Italia. Cibele aveva chiesto al padre Giove che le navi fossero inaffondabili per sempre, ma Giove non poteva arrivare a tanto (anche il suo potere soggiace al fato): poteva concedere però che rimanessero nel tempo, una volta non più utilizzate.

I Troiani, a detta di Turno, sono ormai intrappolati, perché non possono più salpare, mentre la terra è in mano ai Rutuli. Turno assegna a Messapo l’incarico di assediare le porte dei Troiani e di «cingere le mura con le fiamme». I Rutuli si alternano in turni di guardia e, intanto, «sdraiati nell'erba/ si danno al vino e vuotano coppe di bronzo». I Troiani osservano dall’alto quanto sta accadendo. Tra di loro vi sono Eurialo e Niso, protagonisti delle competizioni per celebrare la morte di Anchise nel V libro (ove il più maturo Eurialo aveva commesso scorrettezze per agevolare il più giovane Niso):
Niso era custode ad una porta, fortissimo in armi,
figlio di Irtaco, che l’Ida ricca di caccia aveva inviato
come compagno di Enea, veloce nel lancio e nelle frecce leggere,
e vicino il compagno Eurialo, di cui un altro più bello
non ci fu tra gli Eneadi né vestì armi troiane,
ragazzo che segnava guance intonse della prima giovinezza.

Niso allora condivide con l’amico l’ardore che prova nel cuore e si chiede da dove provenga. Osserva i Rutuli, che sono ormai presi dal sonno e intorbiditi dal vino. Niso vuole tentare l’impresa, uscire dalle mura e assaltare il nemico impreparato. Eurialo vuole associarsi alle gesta dell’amico, non vuole mandarlo allo sbaraglio da solo, convinto che l’onore cui aspira Niso «valga bene la vita». Niso sa che potrebbe morire in quell’audace impresa: se dovesse accadere, Eurialo gli deve sopravvivere per recuperare il suo corpo e affidarlo alla sepoltura. I due riferiscono ai comandanti dei Troiani (assente Enea) il loro piano. Eurialo chiede (nel caso che il piano abbia esito fallimentare) che sia consolata la madre, che l’ha seguito da Troia e che ora sta lasciando «senza un saluto», ignara del rischio in cui si sta avventurando. A Eurialo e Niso sono promessi dai capi premi e grande onore in caso di successo.
Usciti superano i fossati e per l'ombra della notte
si dirigono all'accampamento nemico, tuttavia prima destinati
ad essere di rovina per molti. Qua e là nell'erba vedono giacere
corpi vinti dal sonno e dal vino, cocchi alzati sul lido,
uomini tra redini e ruote, insieme armi,
vini insieme. […]

I due fanno strage nel campo nemico. Sopraggiunge l’alba e Niso consiglia di ritornare dentro le mura, quando ancora è sicuro il ritorno a casa. Eurialo porta via con sé le borchie e la banderuola dorata, oltre all’elmo di Messapo, «comodo e bello di creste». Sarà proprio questo a tradire i due sulla via del ritorno. Dalla città di Latino uno squadrone giunge portando a Turno le risposte del re e vede due che si muovono verso sinistra: la luce riflessa di un raggio di luna risplende dall’elmo.

Dalla schiera Volcente si rivolge ai due chiedendo loro l’identità e la destinazione. Eurialo e Niso si volgono però in fuga nella selva. Niso è più agile, mentre Eurialo è frenato dal bottino. Ad un certo punto Niso s’avvede di aver lasciato indietro il più giovane amico: l’angoscia che s’impossessa di lui è simile a quella che Enea prova quando comprende di aver perso la moglie Creusa, fuggendo da Troia, e cerca di ripercorrere a ritroso il percorso. Le espressioni sono addirittura uguali («vestigia retro/ observata») a quelle del II libro. Da questi versi, oltre che da altri segnali presenti nell’episodio, si comprende che i due amici sono legati sentimentalmente.

Niso vede che Eurialo è stato accerchiato dai nemici.
Che fare? Con che forze, con che mezzi azzardarsi a strappare
a quelli il ragazzo? O gettarsi alla disperata nel fitto
delle spade […].

Dopo aver supplicato la Luna, Niso scaglia prima l’asta (che trafigge nel cuore Sulmone), poi una lancia che trapassa le tempie di Tago. Non vedendo il nemico che ha commesso il duplice delitto, Volcente si avventa su Eurialo. Fuori di sé per il dolore, Niso esce allo scoperto difendendo l’amico e accusando se stesso delle azioni compiute:
Io, sono stato io, puntatemi addosso le lance,
Rutuli! È mio l’agguato: lui non ha osato nulla,
e nulla poteva (lo attestino il cielo e le vigili stelle):
ha solo amato troppo questo suo povero amico.

Volcente trafigge con la spada Eurialo: il suo volto si abbandona sulle belle membra. Niso si getta nel gruppo per affrontare Volcente. Nonostante gli ostacoli, sebbene trafitto, riesce a vendicare la morte di Eurialo uccidendo il rutulo. Infine, cade morto sopra l’amico Eurialo.

La storia dei due amici, scrive Virgilio, rimarrà imperitura:
[…] Se può qualcosa il mio canto,
non un giorno, non uno, vi sottrarrà alla memoria del tempo,
finché la casa di nea presidierà l’immobile rupe
del Campidoglio, e Roma avrà l’impero del mondo.

A distanza di milletrecento anni Dante ricorda i due morti nella famosa profezia del veltro:
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.

Duecento anni dopo la Commedia, Ariosto omaggerà la storia di Eurialo e Niso nelle vicende di Cloridano e Medoro dell’Orlando furioso