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LA testimonianza

La morte di Kirk, una domanda al cuore della crisi di oggi

È possibile costruire una società che eleva l’individuo a misura unica della verità? È a questa domanda che l'assassinio di Charlie Kirk ci invita a rispondere, perché la crisi dell'epoca attuale sta proprio qui. La lettera di una persona che seguiva i suoi dibattiti. 

Esteri 19_09_2025

La vita e la morte di Charlie Kirk si collocano, per tantissimi aspetti, nel punto che il cardinale Carlo Caffarra definiva, con estrema lucidità, come «la problematica etica che inquieta la coscienza dell’uomo contemporaneo» e che «è ormai discesa fino alla radice e alla fonte primigenia di ogni questione morale» e cioè se «la coscienza procede dal bene ed è coscienza del bene oppure il bene procede dalla coscienza ed è bene della coscienza».
O ancora, in altre parole, se «la libertà è da concepirsi come potere di riconoscimento (o rifiuto) del bene e delle norme obiettive che ne conseguono oppure come potere di costituzione del bene stesso e quindi come farsi autonomo del soggetto che esclude ogni tipo di dipendenza a legge, autorità o principi che non coincidano con l’assolutezza del soggetto stesso». (Carlo Caffarra, Verità e libertà: Dimora della persona, Cantagalli)

Parlare di Charlie Kirk senza scendere a questa radice profonda è riduttivo e non aiuta a comprendere la sua vita, la sua morte e neppure il mondo nel quale viviamo. Era un cristiano evangelico, un uomo di grande fede, che di sé stesso diceva: «God, family, country. In that order» e che alla domanda «per cosa vuoi essere ricordato» rispondeva «per il coraggio della mia fede». Non sempre mi trovavo d’accordo con lui, ma ammetto che ascoltarlo mi entusiasmava. Per due motivi: il primo è che non ha mai taciuto la sua fede. Il secondo è che nei suoi dibattiti ha sempre incontrato e sfidato tutti sul terreno della ragione.

Discuteva di tutto e con tutti. C’erano però due temi che sembravano appassionarlo in modo particolare: il tema aborto e il tema gender. Non li affrontava in modo ideologico o da un punto di vista meramente politico. L’origine del suo interesse era altrove. Ne ha parlato la moglie a poche ore dall’omicidio: «Charlie ha sempre creduto che il disegno di Dio per il matrimonio e la famiglia fosse assolutamente meraviglioso … diceva a tutti questi giovani di cercare e trovare il proprio futuro sposo o la propria futura sposa, di diventare mariti e mogli, madri e padri. E il motivo era che desiderava che tutti potessero vivere ciò che lui aveva vissuto» 

Nei suoi dibattiti non faceva altro che cercare di dimostrare l’inadeguatezza logica e razionale di certe idee, senza mai attaccare la singola persona. Qui, purtroppo, altro non posso se non limitarmi a riportare brevemente qualche battuta. In un dibattito una ragazza gli chiese se paragonasse aborto e olocausto:
«Assolutamente sì … quale è la differenza morale tra un piccolo bambino nell’utero e un ebreo adulto che è stato ucciso ad Auschwitz?».
«Uno di loro è una persona».
«A quale specie appartiene il bambino nell’utero?».
«È un essere umano».
«Allora dovrebbe avere dei diritti umani»
«No, non sono d’accordo»
«Quindi essere umani piccoli: niente diritti, essere umani grandi: sì diritti … vedete ragazzi quanto rapidamente crollano gli argomenti a favore dell’aborto con appena un minimo di domande? Ma la nostra posizione non si fonda sui sentimenti, né sull’autonomia personale, bensì su una coerenza biologica e sulla realtà: la tua vita ha avuto un punto d’inizio riconosciuto e quel punto d’inizio deve essere protetto e preservato»

In un’altra occasione si confrontò con una persona che affermava di essere «nato come uomo ma di essere ora una donna»:
«Se io indosso un travestimento o un costume, divento quella cosa? Per esempio, se mi vesto con un sombrero e inizio a parlare con accento messicano, divento allora parte di quella cultura? …. Perché non posso scegliere semplicemente quale cultura essere?»
«Perché tu nasci dentro una cultura, nasci con essa»
«Ma tu sei nato come uomo. Allora, cos’è una donna?»
«Una donna è qualunque cosa tu voglia essere»
«Allora, con quella logica, io posso diventare una lince o una giraffa?»
«Certo, se vuoi che ti chiami lince. Non mi importa»
«Quindi, a un certo punto, non pensi che sia probabilmente una cattiva idea dare alle persone la possibilità di identificarsi in qualunque cosa vogliano solo perché si sentono in un certo modo? … non dovremmo avere una sorta di verità oggettiva per cui le differenze e le distinzioni tra maschio e femmina contano?»

C’è poi un ultimo dialogo con un ragazzo le cui parole incarnano perfettamente quella che Papa Benedetto XVI ebbe a definire la “dittatura del relativismo”. Dopo aver detto di credere «che la moralità sia relativa per ognuno» e aver affermato di non poter dire che l’olocausto «sia oggettivamente sbagliato», domanda a Charlie Kirk «perché pensi che la moralità oggettiva esista? Come la fondi?»
«Prima di tutto, ovviamente noi crediamo che il Signore dei cieli e della terra ci abbia dato quella realtà oggettiva attraverso la Rivelazione. Ma in secondo luogo, crediamo che sia scritta nel cuore di ogni essere umano» «Credi in Dio? Immagino di no»
«Sono agnostico»
«Però stai facendo un’ottima argomentazione, ed è totalmente corretta, cioè che se non credi in Dio, allora non puoi dire che l’Olocausto sia stato sbagliato. Per credere che qualcosa sia oggettivamente sbagliato, devi credere in Dio. Perché se credi in Dio, allora credi che ci sia un ordine morale trascendente che vale per tutti noi. E tu stai dimostrando questo punto, e non è nemmeno una critica. Sei coerente … noi crediamo che ci sia un Dio che ha dato delle regole per la vita … e che ogni società e ogni cultura viva sotto quella legge naturale. Se ci allontaniamo dall’idea della fede in Dio e nel trascendente, puoi vedere quanto questo possa essere pericoloso per la società»

Cosa ci dicono (davvero) la vita e la morte di Charlie Kirk? Parlare di Charlie Kirk come di un semplice attivista di destra, o liquidare il suo omicidio come un fatto meramente politico equivale a non accorgersi di cosa è accaduto e di cosa c’è veramente in gioco. La sua vita e la sua morte sono un potentissimo riflettore puntato sul nervo scoperto dell’epoca che stiamo vivendo, e che tutti continuiamo a far finta di non vedere. E pongono al nostro mondo un’unica, non più evitabile, domanda: possiamo davvero continuare a vivere e a costruire una società che eleva l’individuo a misura unica della verità? Possiamo davvero continuare a vivere senza occuparci e senza interessarci della verità, come se fosse un tema irrilevante per il vivere umano?

Non si tratta, evidentemente, di “santificare” Charlie Kirk, né di essere d’accordo con ogni sua affermazione. Si tratta, piuttosto, di andare oltre ogni etichetta e tentazione ideologica, di qualsiasi segno, e di accorgerci di essere, oggi più che mai, di fronte all’alternativa radicale della quale parlava il Cardinal Caffarra ormai più di cinquant’anni fa. E cioè «se la libertà è da concepirsi come potere di riconoscimento (o rifiuto) del bene e delle norme obiettive che ne conseguono oppure come potere di costituzione del bene stesso e quindi come farsi autonomo del soggetto che esclude ogni tipo di dipendenza a legge, autorità o principi che non coincidano con l’assolutezza del soggetto stesso».

La sfida che abbiamo davanti è enorme e potrebbe sembrare già perduta, ma non possiamo sottrarci. Perché il punto da cui ripartire non è una strategia politica o un compromesso culturale: è il coraggio di cercare, amare e affermare la verità più di sé stessi. Questa è, in fondo, la testimonianza più grande e più bella che Charlie Kirk ci ha lasciato.

Luciano Pizzi