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INTERVISTA/ANDREA GIURICIN

La guerra pesa sulle bollette. Urge diversificare le fonti

Quanto dipendiamo dal gas? Quanto dipendiamo dal gas russo in particolare? E quanto sarebbe possibile renderci energeticamente indipendenti dalla Russia? Ne parliamo con Andrea Giuricin, economista, docente presso l’Università di Milano Bicocca di Economia dei Trasporti. Occorre diversificare le fonti: non è impossibile. 

Economia 11_03_2022
Il Tap a Lecce

Quanto dipendiamo dal gas? Quanto dipendiamo dal gas russo in particolare? E quanto sarebbe possibile renderci energeticamente indipendenti dalla Russia? Sono domande che si fanno pressanti da quando è scoppiata la crisi russo-ucraina. Secondo il ministro Roberto Cingolani (Transizione Ecologica), l’Italia potrebbe fare a meno del gas russo in tempi relativamente rapidi: da 24 a 30 mesi. Ma a quale costo? Ne parliamo con Andrea Giuricin, economista, docente presso l’Università di Milano Bicocca di Economia dei Trasporti.

Il caro-energia si spiega, in parte, con la guerra. Ma è veramente solo a causa della guerra che la bolletta si è alzata così tanto?

L’aumento dovuto all’escalation delle ultime settimane è critico. Ma l’incremento dei prezzi dell’energia era in atto già da diversi mesi, con un picco a dicembre. Deriva anche dai costi della transizione ecologica. È vero che si punta all’obiettivo della de-carbonizzazione, ma non sarà così facile raggiungerlo. Già da un anno, c’era la convinzione di dover diversificare le fonti energetiche, sia per tipo che per provenienza geografica, perché stavamo già entrando in sofferenza. Certo l’invasione russa dell’Ucraina (e soprattutto l’incertezza che crea) ha fatto impennare i prezzi. Non sarà solo nel breve periodo: la crisi durerà ancora anni e metterà in seria discussione la crescita economica.

Nelle bollette rincarate, quanto pesano gli oneri di servizio e le tasse?

Il governo Draghi ha abbassato sensibilmente i costi dello Stato. Secondo i dati ufficiali dell’Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), nel quarto trimestre del 2019, gli oneri di sistema incidevano per il 23% sul prezzo totale dell’energia elettrica per consumatore domestico tipo. Le imposte pesavano per il 13%, i costi di trasporto e gestione del contatore per il 19% e infine la materia prima per il 46%, meno della metà. Oggi la situazione è cambiata: al primo trimestre del 2022, il peso degli oneri di sistema è azzerato, quello delle imposte ridotto al 10,8%, il costo di trasporto e gestione del contatore all’8,4%. Quindi la materia prima, oggi come oggi, costituisce l’80,8% del prezzo dell’energia.

Come si spiega che, in Italia, la produzione di energia elettrica dipenda dal gas in misura doppia (in proporzione) rispetto alla Germania?

Se i governi italiani si sono concentrati sul gas, sul gas russo in particolare (che costituisce il 38,2% del consumo di gas in Italia), invece che diversificare le fonti, è dovuto a motivi politici più che economici. Pensiamo ai movimenti No-Triv, il movimento anti-nuclearista, persino il nuovo movimento No-Eolico: non hanno sicuramente aiutato. Poi ci sono state scelte strategiche di lungo periodo, basate sulla convinzione che il gas potesse essere l’energia della transizione, prima di passare alle rinnovabili. Che, per altro, incidono molto poco sulla produzione di energia elettrica.

Quali sono stati i governi maggiormente responsabili di queste scelte strategiche?

In realtà le scelte sono state trasversali, ma sono state dettate soprattutto da spinte locali. In alcuni casi sono risultati determinanti movimenti a livello cittadino, altre volte delle sentenze della magistratura contro la costruzione di nuove infrastrutture. Alla politica fa comodo andare in quella direzione, perché a tutti i partiti conviene rispondere alle domande pressanti dei movimenti NIMBY (“non nel mio cortile di casa”, ndr) per motivi elettorali. I “mal di pancia” locali ci hanno portato a compiere degli errori strategici, di dipendenza da fonti e Paesi solo apparentemente convenienti.

Gli Usa sono diventati, praticamente, energeticamente indipendenti, anche grazie allo sfruttamento del gas di scisto. In Europa sarebbe possibile fare altrettanto?

Fisicamente sì, dei giacimenti di gas di scisto sono stati individuati, ma occorrerebbe molto tempo per iniziare a sfruttarli ed ora è il tempo quello che manca. Poi, assieme al nucleare, il gas di scisto è la fonte energetica che scatena l’opposizione maggiore. L’opinione pubblica europea è molto contraria.

Il ministro Cingolani ritiene che l’Italia possa rendersi indipendente dal gas russo in tempi relativamente rapidi. È una strategia realistica?

Prima che scoppiasse la guerra, avevo fatto i calcoli sulle possibili alternative. Per quanto riguarda il gasdotto Tap, che porta in Italia il gas dell’Azerbaigian, c’è la possibilità di raddoppiarne il flusso, fin da subito. Si passerebbe, dunque, da 7,2 miliardi di metri cubi di gas trasportati nel 2021, ai circa 20 miliardi potenziali. In termini di proporzione si passerebbe da una dipendenza dal gas azero del 9,5% attuale a un 23% potenziale. Poi è possibile sbloccare anche la produzione di gas nazionale. Riattivando le trivelle verrebbe più che raddoppiata la proporzione di gas italiano, dal 4,4% attuale al 10,8% potenziale in due anni. Il raddoppio del Tap e il raddoppio della produzione nazionale permetterebbero di sostituire buona parte della dipendenza dal gas russo, a costi molto convenienti. Poi sicuramente si può investire sui rigassificatori, su cui puntano sia il governo Draghi che l’Ue nel suo complesso. Nuovi impianti ci permetterebbero di acquistare gas liquido ovunque nel mondo, anche da Qatar (dove si è già recato il ministro degli Esteri) e dagli Stati Uniti.