La Germania (e non la Francia) libera dall'Algeria lo scrittore Sansal
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Lo scrittore algerino Boualem Sansal è stato scarcerato grazie alla mediazione della Germania. La Francia (di cui ha la cittadinanza) non c'è riuscita. Sansal era in carcere per le sue idee, perché dissidente e profetico sull'islam radicale.
Libero, e a Berlino. Mercoledì 12 novembre, Boualem Sansal, detenuto in Algeria dal suo arresto avvenuto il 16 novembre 2024, è atterrato nella capitale tedesca poco dopo le 21:00. Arrestato, imprigionato e poi condannato arbitrariamente dalla giustizia algerina, senza mai aver potuto ottenere il diritto alla difesa, Boualem Sansal è diventato un simbolo di coraggio e di lotta per la libertà di espressione. L’autore di 2084: La fine del mondo (Gallimard) immaginava un destino simile a quello di George Orwell, il visionario che denunciò ogni forma di totalitarismo, ben lontano da quello di Aleksandr Solženicyn, rinchiuso nei gulag dal regime comunista. E invece, a 76 anni, è finito anch’egli in prigione, in condizioni disumane, pagando un prezzo altissimo per la libertà, mentre senza cure affrontava il cancro nelle tetre carceri algerine.
Oggi, questo stesso racconto prende la forma di un ritorno alla luce. Il percorso di Sansal assume la potenza di un corpo a corpo tra l’individuo e il potere, tra la voce del dissenso e il silenzio imposto. Nel febbraio 2024, in occasione dell’uscita del suo romanzo Vivere (Neri Pozza), Boualem Sansal disse, «Ho iniziato a scrivere come ci si mette in assetto di battaglia». Profezia di un anno di galera algerina, terminato alla vigilia del primo anniversario.
Una delle figure chiave dietro la liberazione è stato Frank-Walter Steinmeier, eletto Presidente della Repubblica Federale di Germania nel marzo 2017 dopo essere stato due volte Ministro degli Esteri socialdemocratico con la Merkel. Solo lunedì, aveva rilasciato una dichiarazione in cui chiedeva al suo omologo algerino, Abdelmadjid Tebboune, di graziare Boualem Sansal, arrestato il 16 novembre 2024 ad Algeri e condannato in appello lo scorso luglio a cinque anni di carcere e a una multa di 500mila dinari algerini. Aveva inoltre proposto che allo scrittore franco-algerino venisse «consentito di recarsi in Germania per ricevere cure mediche, data la sua età avanzata e la sua salute cagionevole». La presidenza algerina ha accolto, così, in breve, fuori dai pronostici di Parigi, favorevolmente la richiesta. Da quando Abdelmadjid Tebboune aveva accettato di parlare nuovamente al telefono con Emmanuel Macron il 31 marzo, dopo otto mesi e mezzo di totale rifiuto, le speranze di liberazione di Boualem Sansal erano state ripetutamente deluse. Poi è intervenuta la Germania.
È così che la liberazione di Boualem Sansal si inscrive non solo nella cronaca giudiziaria, ma nella grande geografia della politica internazionale. Se c’è, infatti, un ambito in cui l’incostanza presidenziale del presidente Macron ha causato danni, è senza dubbio il rapporto franco-algerino. Certo, non è mai stato un percorso tranquillo dall’indipendenza dell’Algeria nel 1962. Ma i bruschi cambi di rotta dell’Eliseo lo hanno reso particolarmente caotico. Serviva l’intervento di un Paese europeo di peso come la Germania perché Tebboune accettasse la liberazione.
Il Quai d’Orsay aveva guardato per primo verso Roma, forte degli eccellenti rapporti tra Giorgia Meloni e Abdelmadjid Tebboune, cementati dal ruolo dell’Algeria come principale fornitore di gas dell’Italia. A marzo scorso, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in visita ufficiale ad Algeri, aveva persino messo sul tavolo una mediazione italiana per la liberazione di Sansal. Ma la proposta era scivolata via senza lasciare traccia: il presidente algerino l’aveva ignorata con una rapidità che non lasciava spazio a interpretazioni.
Non è la prima volta che la Germania indossa il ruolo, ormai quasi naturale, di potenza intermediaria, aprendo le sue porte a dissidenti e perseguitati che altrove non trovano scampo. Nel luglio 2018, Berlino riuscì persino a strappare al silenzio forzato la poetessa cinese Liu Xia, vedova di Liu Xiaobo, premio Nobel per la Pace e quindi colpevole perché moglie di un dissidente: da anni prigioniera del suo appartamento a Pechino, fu grazie all’intervento diretto di Angela Merkel, durante una missione ufficiale in Cina, che poté finalmente lasciare il Paese. A Berlino hanno trovato rifugio anche Can Dündar, il giornalista turco di Cumhuriyet sopravvissuto a un attentato, e Hamza Hovidy, tra le voci più incisive della dissidenza palestinese contro Hamas.
Boualem Sansal, con il suo sguardo limpido, la sua voce quieta, le sue pagine, taglienti e sincere, ha saputo — pur anziano e malato — domare e perfino ribaltare il peso di un potere arbitrario, semplicemente non piegandosi. Un regime che lo ha arrestato senza motivo, imprigionato senza giustizia, spinto da un vecchio rancore antifrancese e dall’idea feroce di un islam che non tollera contraddizioni né repliche.
A mettere nei guai Sansal, non erano state soltanto le dichiarazioni in cui sosteneva che la parte occidentale dell’Algeria storicamente era del Marocco, o il suo legame con Israele, ma sono stati una trentina di titoli tradotti in tutto il mondo che gli hanno valso il titolo di “Orwell algerino”. La minaccia islamista è al centro dell’opera profetica dello scrittore che vede, in una religione che è anche un progetto politico la forma suprema di un totalitarismo capace di schiacciare l’esistenza nei suoi minimi dettagli e cerca di soggiogare la terra dei figli della libertà.
È quanto mai evocativo, allora, che Sansal sia stato liberato alla vigilia dell’anniversario degli attentati del 13 novembre. Su Le Figaro, sei anni dopo il più fatale degli attentati islamici subiti dalla Francia, dichiarava, «certo, gli omaggi sono necessari, ma se non sono seguiti da azioni forti, confermano la codardia e l’incompetenza delle autorità. (…) Un comandante in capo non seppellisce i suoi morti, non pronuncia discorsi pieni di lacrime; tuona, agisce, colpisce con rapidità e decisione. Questo è ciò che i morti e i vivi esigono».

