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LA SENTENZA

La Consulta resuscita il proporzionale. E l'ingovernabilità

Il tanto atteso verdetto della Consulta sull’Italicum consegna l’Italia all'ingovernabilità, ripristinando di fatto alla Camera un sistema elettorale proporzionale, che si affianca a quello già in vigore al Senato. Sparisce il ballottaggio. Il premio di maggioranza scatta per quel partito che raggiunge un (improbabile) 40% dei voti.

Politica 26_01_2017
Consulta

Il tanto atteso verdetto della Consulta sull’Italicum conferma alcune indiscrezioni della vigilia e consegna l’Italia all'ingovernabilità, ripristinando di fatto alla Camera un sistema elettorale proporzionale, che si affianca al Consultellum già in vigore al Senato. Le motivazioni della sentenza arriveranno entro 20 giorni. 

Il dispositivo è chiaro: l’Italicum è (parzialmente) incostituzionale. Dopo un’interminabile attesa di oltre otto ore, la Corte Costituzionale ha infatti abolito il ballottaggio fra le due liste che prendono più voti e ha invece “consacrato” il premio di maggioranza per la forza politica che raggiunge il 40% al primo turno e che, in quell’eventualità, conquisterebbe 340 seggi su 630. La legge elettorale, secondo i giudici della Consulta, “è suscettibile di immediata applicazione”.

È un Italicum, questo, molto differente rispetto alla versione originaria, un sistema di fatto ridotto a un proporzionale con un premio di maggioranza difficile da raggiungere. Una versione molto diversa rispetto alla legge che, secondo l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, avrebbe dovuto dare immediata certezza, agli elettori, su chi avrebbe governato il Paese. Alcuni punti della legge, invece, sono rimasti sostanzialmente identici. Innanzitutto, il ruolo dei capilista, che saranno i primi ad ottenere un seggio. Dal secondo eletto in poi, intervengono le preferenze (ogni elettore ne potrà esprimere due), reintrodotte rispetto al Porcellum. L'Italicum prevede, inoltre, una distribuzione dei seggi su base nazionale ma al tempo stesso, per limitare il proliferare di gruppi parlamentari, al riparto potranno accedere solo le liste che supereranno la soglia del 3%.

Restano le candidature multiple, vero e proprio “cavallo di Troia” per i capilista che si candidano in più posti e alla fine optano in base alle convenienze e ai tatticismi e non in base all'effettivo radicamento territoriale. Tuttavia, non saranno più loro a decidere in quale collegio risultare eletti, bensì un sorteggio. Questa novità toglierà dalle mani dei segretari di partito e dei capicorrente il potere di avvantaggiare i propri “cavalli” rispetto a quelli delle minoranze interne ai propri partiti.

Al momento – appunto - la legge elettorale Italicum è valida solo per l’elezione dei deputati, perché è stata scritta presumendo che la riforma costituzionale sarebbe stata approvata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre, e i senatori non sarebbero più stati eletti a suffragio universale. Per l’elezione dei senatori vige invece il Consultellum, un proporzionale puro con soglia di sbarramento all’8% per i singoli partiti (3% se confluiscono in una coalizione) e nessun premio di maggioranza.

Ma che cosa potrebbe accadere, concretamente, se si andasse alle urne in tempi brevi? Con la bocciatura del ballottaggio, se nessuna lista – come è probabile - arrivasse al 40% dei voti, si applicherebbe di fatto il sistema proporzionale, che imporrebbe le larghe intese dopo il voto. Dunque il rischio è quello di costringere forze politiche assai eterogenee a coalizzarsi dopo le elezioni per assicurare la formazione di un governo. La riproposizione dell’attuale quadro politico di centrosinistra, con un Pd intorno al 30% e Area popolare più qualche cespuglio appare irrealistica, almeno sulla base dei sondaggi che circolano in questi mesi. Se non scatta il premio di maggioranza, ben difficilmente quei partiti potranno arrivare al 50% dei seggi. Le larghe intese destra-sinistra potrebbero perciò materializzarsi concretamente, con l’esclusione delle cosiddette ali estreme: da una parte la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia, dall’altra la sinistra più ideologica. 

Il Movimento Cinque Stelle, senza ballottaggio, non ha alcuna possibilità di andare al governo, a meno che non raggiunga il 40% dei voti. In alternativa, l'ipotesi di un blocco “populista” tra pentastellati, leghisti e post-fascisti - non escluso dalla stessa Meloni in un’intervista di qualche giorno fa - potrebbe concretamente realizzarsi. Di sicuro, chi scalpita (almeno ufficialmente) per tornare alle urne sono Matteo Renzi  - che però ha visto la sua legge rottamarsi sotto i suoi stessi occhi - e i suoi fedelissimi. Oltre, ovviamente, a Beppe Grillo e a Matteo Salvini.

"Si sono create le condizioni per andare a votare subito – ha dichiarato Ettore Rosato del Pd - Noi rilanciamo con forza la possibilità di convergere sul Mattarellum. Non è una questione di tempo, serve una disponibilità politica vera". "Il 40% era il nostro obiettivo – ha rilanciato Grillo - Ora si vada al voto subito, noi non faremo alleanze con nessuno". Della stessa opinione il leader della Lega Nord Matteo Salvini, che ha tuonato da Twitter: "Non ci sono più scuse: ora la parola agli italiani!".  

In conclusione, il sistema del Senato e quello della Camera ora si somigliano e finiscono per ricreare un quadro proporzionalista. Tuttavia, per una piena armonizzazione tra i due sistemi elettorali, sarà necessario un intervento del Parlamento. Per sbarrare definitivamente la strada a ogni ipotesi di vittoria grillina basterebbe che i partiti tradizionali trovassero un’intesa per modificare il “legalicum”, cioè la legge elettorale partorita ieri dalla Consulta, introducendo il premio di maggioranza alla coalizione anziché alla lista. I Cinque Stelle, invece, vorrebbero estendere il “legalicum” al Senato affinchè in entrambe le Camere si possa votare con lo stesso metodo. Chi la spunterà?