Cina, purga continua: arrestato l'aspirante ministro degli Esteri
Liu Jianchao è stato arrestato in Cina, a seguito di una sua visita ufficiale a Singapore, in Sudafrica e in Algeria, alla fine di luglio. Da allora non si hanno più sue notizie. Era l'astro nascente della politica estera cinese e amico degli Usa.

Liu Jianchao è stato arrestato in Cina, a seguito di una sua visita ufficiale a Singapore, in Sudafrica e in Algeria, alla fine di luglio. Da allora non si hanno più sue notizie. Liu Jianchao è un diplomatico di carriera, membro del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, direttore del suo dipartimento per gli Affari Internazionali e già capo del dipartimento estero della Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare. Finora era dato quasi sicuro come prossimo ministro degli Esteri, oggi parrebbe essere stato epurato senza preavviso.
Le epurazioni si susseguono. Appena due anni fa era stato destituito Qin Gang dall’incarico di ministro degli Esteri, dopo appena sette mesi dalla sua nomina. Benché la causa della destituzione fosse un’indagine su una sua relazione sessuale extraconiugale, pare che la moglie dell’ex ministro, amica della consorte di Xi Jinping, abbia interceduto per lui, evitando pene severe. Ora Qin lavora in una casa editrice specializzata in politica estera. Al suo posto è ritornato il precedente ministro Wang Yi. Ma Liu Jianchao era pronto a subentrargli. La sua epurazione (ancora presunta) segna dunque una nuova scossa nell’apparato diplomatico di Pechino.
Quando Liu era ancora un astro nascente della politica estera del regime comunista, nel gennaio 2024 il Partito lo aveva mandato a New York, Washington e San Francisco per rafforzare la sua visibilità nella comunità imprenditoriale e politica degli Stati Uniti. «I cinesi ci stavano sostanzialmente dicendo che lui sarebbe diventato il prossimo ministro degli Esteri - aveva dichiarato, allora, al Wall Street Journal, un funzionario statunitense - Dicevano: “Sta per dedicarsi a progetti più grandi”». In quei mesi, l’amministrazione Biden e Xi Jinping erano ancora ai ferri corti per l’incidente dei palloni spia cinesi e per la guerra in Ucraina, in cui la Cina mantiene tuttora una neutralità ambigua. La visita aveva l’aria di un primo segnale di distensione. Accompagnata da gesti concreti, come la ripresa delle comunicazioni tra le forze armate statunitensi e cinesi e la cooperazione nella lotta al traffico di fentanyl, la droga più letale negli Usa.
Laureato ad Oxford, prima traduttore ufficiale per il Ministero degli Esteri, poi diplomatico di carriera, Liu era stato ambasciatore nelle Filippine e in Indonesia. In quanto capo della Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare del Partito, nel 2015 aveva contribuito alla caccia dei funzionari cinesi fuggiti all’estero, accusati di corruzione. Era l’Operazione Caccia alla Volpe. «Quando fuggono dal Paese, in passato non si poteva fare nulla per loro – aveva detto alla stampa americana nel suo viaggio del 2024 - Ma poi abbiamo deciso di riportarli indietro con il supporto e l’aiuto dei nostri partner, dei nostri colleghi di altri Paesi».
Ma, come in tutti i regimi comunisti, c’è sempre qualcuno più puro che ti epura. Da quando Xi ha preso il potere nel 2012, gli ispettori del partito hanno punito oltre 6,2 milioni di funzionari, a tutti i livelli, per reati che includono corruzione, “comportamento indegno”, “inerzia burocratica” e divulgazione di segreti di Stato. Benché non si conoscano ancora i motivi dell’arresto di Liu, gli osservatori del regime cinese ritengono che abbia pagato cara la sua esperienza negli Stati Uniti e la sua fama di amico del nemico americano. Il vento gira e, mentre alla fine dell’amministrazione Biden gli Usa e la Cina parevano avviati alla distensione, la guerra commerciale scatenata da Trump ha riacceso la tensione. Un amico degli americani, in questa fase, non serve più. Un’altra ipotesi, che non esclude la prima, è che Liu abbia agito troppo in veste di ministro degli Esteri in pectore, un comportamento che potrebbe aver infastidito i vertici del Partito e lo stesso Xi Jinping, pronto a tagliare le teste che si alzano troppo. Alla fine, è comunque un evento che rientra nella natura del Partito, soprattutto sotto la guida neo-maoista dell’attuale presidente, un fanatico del giustizialismo, della “sobrietà” e della disciplina di partito.