La Comunione sulla lingua, le ragioni di un gesto
Diverse importanti ragioni portarono la Chiesa a preferire di evitare che l’Eucaristia entrasse in contatto con le mani dei fedeli: la preoccupazione per la perdita dei frammenti, il rischio di profanazioni, il senso del sacerdozio. La lezione dei Vangeli.

La Comunione sulla mano, così come è oggi praticata, appare sulla scena della liturgia della Chiesa cattolica dopo almeno un millennio di sparizione della pratica “cugina” della Comunione sul palmo. Quest’ultima venne meno per ragioni non chiare, ma non si è lontani dal vero se si pensa che diverse ragioni importanti e convergenti portarono la Chiesa a preferire di evitare che l’Eucaristia entrasse in contatto con le mani dei fedeli.
La prima, già abbondantemente testimoniata nei testi dei Padri, era la preoccupazione per la perdita dei frammenti; porre la Comunione direttamente nella bocca del fedele apparve ben presto come il modo più sicuro per evitare questa dispersione. Tanto più che, come si è già ricordato, era in uso, anche nella Chiesa latina, il pane lievitato, chiaramente più predisposto alla formazione di briciole. Non si deve però commettere l’errore di pensare che, con l’arrivo del pane azzimo, e specialmente del pane eucaristico in forma di particola, il problema sia definitivamente risolto. In verità, le attuali particole sono tutt’altro che esenti dal rilasciare frammenti sulle superfici di contatto, tanto più che ormai, nella preparazione delle pissidi, è divenuta sempre più rara la setacciatura previa delle ostie. La modalità del duplice contatto con il Pane consacrato, prima sul palmo della mano sinistra, poi con le dita della mano destra, non fa che raddoppiare il pericolo. L’attività prensile da parte del fedele – la quale, si è visto, sembra cadere sotto il divieto di autocomunicarsi – favorisce anche la vera e propria profanazione dell’Eucaristia, che può essere facilmente asportata e utilizzata per altri fini. Potremmo dunque asserire che una più piena consapevolezza del mistero eucaristico, una più profonda venerazione per il Corpo e il Sangue del Signore, abbia spinto a modificare il rito della Comunione ai fedeli in favore della Comunione direttamente in bocca.
È poi significativo che si trovi traccia, nel Concilio di Costantinopoli del 680-681, di un divieto ai fedeli di amministrarsi da sé la Comunione, con pena prevista di scomunica per una settimana. È possibile che la prescrizione di inchinarsi per assumere direttamente con la bocca l’Eucaristia posta sulla mano destra fosse non di rado disattesa da alcuni fedeli; un tale divieto, infatti, non è rivolto ai ministri che permetterebbero ai fedeli di prendere da sé l’Eucaristia, su una pisside collocata sull’altare o nelle mani del ministro stesso (come si vede oggi fare in certe chiese), ma agli stessi fedeli. Questo fa pensare che l’Eucaristia fosse posta correttamente dal ministro sulla mano del fedele, il quale però, probabilmente prendendola con le dita, si comunicava poi da sé. E questi abusi potrebbero essere stati una seconda motivazione che spinse le diverse chiese d’Oriente e d’Occidente a porre le sacre Specie direttamente nella bocca del fedele, evitando qualsiasi contatto con le mani.
Quest’ultimo rilievo introduce una terza ragione, più squisitamente legata allo sviluppo della dignità sacerdotale e al senso del sacerdozio. Nella III parte della Summa Theologiæ, san Tommaso d’Aquino si domanda a chi competa la distribuzione dell’Eucaristia (cf. q. 82, a. 3). Tra le ragioni che sostanziano che il ministro dell’Eucaristia sia il sacerdote, troviamo la seguente: «Perché per rispetto verso questo sacramento esso non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote per poter toccare questo sacramento. A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di un caso di necessità: se, p. es., stesse per cadere a terra, o in altre contingenze simili». Il testo riportato salda tra loro l’eminente dignità del Corpo e del Sangue del Signore e la dignità del sacerdozio, che esiste in funzione della sacra Eucaristia. Il sacerdote viene consacrato principalmente perché sia ministro del Sacro, il Signore Dio, e delle cose sacre. L’Eucaristia è non soltanto res sacra, ma il Santo stesso, Dio venuto nella carne e presente in forma sacramentale. Per questa ragione, Tommaso precisa che quanto entra in contatto con le Specie consacrate dev’essere a sua volta consacrato, ossia separato dal mondo e destinato esclusivamente al servizio divino, sia esso un oggetto, come il corporale, o un uomo, il sacerdote.
A questo testo si obietta che anche i fedeli sono consacrati, mediante il battesimo; oppure che le mani del fedele non sono essenzialmente diverse dalla sua bocca. A ben vedere, però, qui Tommaso presenta un principio che sfugge a queste obiezioni e che ne mostra l’inconsistenza. La consacrazione battesimale abilita il fedele a ricevere sacramentalmente il Verbo incarnato, ma non gli dà potere sul Corpo e il Sangue del Signore. Nell’articolo 1 della medesima quæstio, l’Aquinate spiegava che «al battezzato viene concesso da Cristo il potere di ricevere l'Eucarestia», mentre «al sacerdote viene conferito nell'ordinazione il potere di consacrare questo sacramento in persona di Cristo». Il sacerdozio permette di offrire le oblate al Signore e di consacrarle; pertanto, spiega Tommaso, «come al sacerdote appartiene la consacrazione del corpo di Cristo, così appartiene a lui distribuirlo». L’obiezione non tiene dunque conto della differenza tra il sacerdozio comune o battesimale e quello propriamente ministeriale, che esiste per offrire a Dio le offerte dei fedeli e donare ai fedeli la risposta d’amore di Dio, nell’Eucaristia.
Quanto alla seconda obiezione – non ci sarebbe differenza tra il fatto che l’Eucaristia entri in contatto con le mani del fedele o con la sua lingua –, essa non tiene in considerazione il fatto che il problema non è tanto l’entrare in contatto in senso assoluto, cosa che escluderebbe la Comunione stessa, bensì il toccare con la mano, il prendere con la mano. Perché questa sottolineatura è così importante? Se si ripercorrono i testi dei sacri Vangeli, ci si può rendere conto che non si trovano indicazioni di persone che osino afferrare il Signore con le mani, ad eccezione dei suoi carnefici. L’emorroissa “osa” toccare solo le frange della sua veste; la peccatrice nella casa di Simone, il Fariseo, lava i piedi del Signore con le lacrime, li asciuga con i capelli, li bacia, tutti gesti di adorazione che la tengono lontana dallo stendere le mani per afferrare il suo Signore. Anche Maria di Betania sparge il corpo del Signore con il nardo e ne asciuga i piedi con i capelli, ma non lo stringe con le sue mani. Al contrario, vediamo che è il Signore a toccare con la mano malati e peccatori; è lui a farsi prossimo agli uomini, stendendo la sua mano per sanarli e rialzarli. Si comprende dunque che, per la Chiesa antica, fosse inimmaginabile che il fedele prendesse in mano l’Eucaristia; egli la riceveva, in bocca o sul palmo, e si inchinava in segno di adorazione per assumerla. Era il gesto che indicava l’umile accoglienza del Signore che si fa prossimo a noi peccatori e teneva lontano l’arroganza del prendere, dell’afferrare con la mano, cosa che era assolutamente proibita. Il rito ha seguito scrupolosamente i Vangeli: è il Signore che tocca l’uomo, ma non è l’uomo che afferra il suo Signore. In questa differenza c’è tutto il senso del gesto che sprigiona l’adorazione umile e amorosa a fronte del gesto che conduce a (o mostra già) una familiarità disinvolta. E beato chi lo comprende e lo vive.
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