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RAPPORTO OPEN DOORS

La Chiesa profuga: cristiani in fuga dalle loro terre

Open Doors, che ogni anno pubblica il rapporto sulla persecuzione dei cristiani nel mondo, quest'anno dedica un rapporto speciale ai cristiani costretti a lasciare le loro case, allontanati a forza dalle loro terre. Un fenomeno di dimensioni crescenti, in Africa e Medio Oriente, causato dalla pressione di gruppi jihadisti o della società

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Open Doors, l’organizzazione che ogni anno pubblica l’elenco dei 50 Stati in cui i cristiani sono più perseguitati, ha diffuso nei giorni scorsi, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato che ricorre il 20 giugno, un documento dal titolo The Church on the Run: 2022 Idp & Refugee Report (“Chiesa profuga”, nella versione in italiano), un rapporto sui cristiani sfollati e rifugiati. L’indagine, svolta tramite ricerche documentali, questionari e interviste a esperti regionali di Open Doors, delinea i principali fattori che, nella specificità della condizione di perseguitati per motivi religiosi, costringono i cristiani a lasciare le loro case e le conseguenze che la fuga ha sulle vite loro e di chi invece resta.

Allontanare da casa o dalle comunità di origine i cristiani – esordisce il rapporto – può essere una deliberata strategia di persecuzione religiosa. Talvolta l’allontanamento può essere “percepito come un involontario effetto secondario della persecuzione, ma in molti casi è intenzionale e può essere parte di una strategia per sradicare completamente il cristianesimo da un villaggio, una regione o una nazione. In alcuni casi si tratta di una strategia dichiarata e pubblica, in altri è invece segreta e informale”. La persecuzione inoltre non sempre finisce una volta lasciato il paese di origine perché i cristiani possono essere vittime di persecuzione in qualsiasi fase del loro viaggio. In effetti hanno maggiori probabilità di subire violenze fisiche e psicologiche  a causa della loro identità e pratica religiose persino quando dovrebbero considerarsi al sicuro e questo succede anche perché, come sottolinea il rapporto nelle pagine introduttive, “il loro bisogno di protezione è spesso poco compreso o persino volutamente ignorato. Sebbene ciò possa essere dovuto a una negligenza involontaria, in alcuni casi i governi e le organizzazioni internazionali (o i rispettivi rappresentanti) possono essere complici della discriminazione e delle privazioni dei cristiani profughi”.

Le dinamiche stesse, complesse e molteplici, che forzano le persone ad andarsene per motivi religiosi ricevono scarsa attenzione, spiega Open Doors. Il World Watch Research, il dipartimento di ricerca dell’associazione, ha individuato quattro agenti primari che, da soli o in sinergia, svolgono un ruolo chiave nella decisione dei cristiani di trasferirsi altrove, individualmente o in gruppo, abbandonando casa, famigliari e comunità: famiglia, stato, comunità e gruppi religiosi violenti. Ecco in sintesi come e dove agiscono.

La pressione famigliare a trasferirsi altrove colpisce chi si converte al cristianesimo. Succede che venga espulso e rinnegato dai famigliari, minacciato di morte, sottoposto a vessazioni così forti da deciderlo alla fuga come unico scampo. La pressione statale si manifesta sia con leggi che limitano, controllano e proibiscono la pratica religiosa sia omettendo di proteggere le comunità cristiane minacciate e di perseguire chi viola la libertà religiosa e usa violenza su di loro. Le comunità, di quartiere o villaggio, estromettono o convincono a partire famiglie e persone cristiane con abusi e umiliazioni, isolandole, negando l’accesso a risorse e mezzi di sostentamento. Infine a costringere alla fuga i cristiani sono i gruppi religiosi radicali violenti che li terrorizzano, specie nei paesi in cui sono una minoranza, con attacchi e attentati, con il dichiarato obiettivo di liberare della loro presenza il territorio in cui agiscono sia esso una nazione o una regione.

Il numero più elevato di cristiani sfollati e rifugiati si registra in 27 Stati che fanno tutti parte dei 50 in cui la persecuzione contro di loro è più dura. Open Doors ha esteso la ricerca ad altri 26 Stati, per un totale di 76, individuando in tutto 58 paesi in cui dei cristiani risultano sfollati e rifugiati. In Africa sub sahariana i maggiori responsabili della fuga in massa dei cristiani sono i gruppi jihadisti affiliati ad al Qaeda e all’Isis, attivi ormai in almeno 15 paesi. Rifugiati e soprattutto sfollati si contano a milioni. Anche nel Nord Africa e in Medio Oriente il jihad è una gravissima minaccia, ma integrata da pressioni famigliari e comunitarie e da azioni governative. I convertiti al cristianesimo a volte corrono rischi anche dopo che hanno lasciato il paese d’origine. In Asia i principali fattori di pressione a fuggire sono le comunità, che infieriscono sulle minoranze cristiane, le famiglie, incapaci di accettare che un parente abiuri e si converta al cristianesimo, e alcuni stati che limitano la libertà religiosa, primo fra tutti la Cina. Cresce inoltre l’influenza dei gruppi integralisti islamici e induisti. Diverso infine è il caso dell’America Latina dove alcuni governi sono ostili ai cristiani, ma il pericolo maggiore è rappresentato dalla criminalità organizzata e da alcuni gruppi paramilitari rivoluzionari. 

Il quadro della situazione dei profughi cristiani che emerge dalla ricerca condotta da Open Doors è drammatico. Delinea una condizione di maggiore vulnerabilità, individua sfide e minacce aggiuntive legate all’identità religiosa. Sollecita maggiore consapevolezza e interventi più ponderati da parte delle autorità laiche e religiose.

Eppure, a differenza di altre persone, di altre comunità immerse nel limbo della condizione di profugo, i cristiani – e Open Doors lo sottolinea - hanno una forza in più poiché “la fede rappresenta una fonte di speranza e resilienza”. È la stessa forza che aiuta chi invece rimane in contesti sociali difficili, tra persone ostili, capace tuttavia di continuare a essere testimone e portatore del messaggio evangelico.