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arte sacra

Joseph Aubert, un pittore al servizio della Vergine

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L'incendio a Notre-Dame-des-Champs ha danneggiato sei tele del ciclo mariano, frutto della dedizione e della devozione dell'artista bretone che visse la propria esistenza sotto lo sguardo di Maria.

Cultura 11_08_2025
Wikimedia Commons - Autore: Delfin Le Dauphin

Nel duplice incendio che a fine luglio ha colpito la chiesa parigina di Notre-Dame-des-Champs sono rimaste danneggiate sei delle ventidue tele del ciclo dedicato alla vita della Vergine dipinto a partire dal 1889 dal pittore Joseph Aubert, che culmina con il trionfo di Nostra Signora sulla volta dell'abside. Che il danno e il dolo siano almeno felix culpa offrendo l'occasione di scoprire (o riscoprire) la figura e l'opera dell'artista bretone che, si diceva, «pregava mentre lavorava». Ma il suo stesso lavoro «era una preghiera nel senso più alto del termine, un atto di fede e un atto di pietà», ricordava il sacerdote e scrittore don Jean Calvet che ebbe occasione di frequentarlo e due anni dopo la morte del pittore gli dedicò una biografia intitolata Joseph Aubert (1849-1924), un artiste chrétien (Parigi 1926).

L'arte come “vocazione” è espressione ricorrente e forse abusata, ma nel caso di Joseph Aubert va intesa in senso stretto, come ricerca della volontà di Dio su di lui, che emerge in modo esplicito nei suoi appunti giovanili: «Mio Dio, fammi conoscere la tua volontà per me... Quale carriera dovrei abbracciare?», scriveva nel quaderno degli esercizi spirituali svolti nel 1867 e sempre proponendosi il «maggior bene possibile». Ricerca che sfocia nella risoluzione, adottata un paio d'anni dopo e sempre in occasione di un ritiro, di «entrare nel mondo per rendere gloria il più possibile al mio Dio», espressa in termini analoghi a quelli di chi sceglie di «entrare» in un monastero. E non siamo troppo lontani dal vero, poiché l'ingresso nel mondo per Joseph Aubert era il luogo in cui meglio compiere la volontà divina, «disposto tuttavia a lasciarlo in qualsiasi circostanza», precisava, se la volontà di Dio si fosse manifestata diversamente.

Nello stesso spirito visse il matrimonio con Pauline Bouquet, che sposò nel 1872: «Questa sera la signorina Pauline e io entriamo in ritiro spirituale sotto la guida di padre Du Lac». La famiglia era parte integrante della vocazione di Aubert che mai acconsentì a sacrificarla all'arte. Respinse con decisione le parole del collega Louis Guedy: «Conosco solo il mio studio, il Louvre e la mia stanza», gli disse quasi scoraggiandolo, persuaso che che nulla avrebbe dovuto distrarre l'artista e che avrebbe dovuto vivere solo in funzione dell'arte. A questa sorta di ascesi artistica prospettata da Guedy, Aubert preferì sempre le gioie familiari e amicali. Nel 1898 acquistò la dimora di campagna dell'Ermitage, dove «amava riunire la sua numerosa famiglia e i suoi amici nei mesi estivi», racconta Calvet, che all'Ermitage fu a lungo ospite e ricordava il compiacimento del pittore nel vedersi «circondato come un patriarca».

Negli anni seguenti la sua opera si fece notare ai Salon parigini, ma non si lasciò mai travolgere dalle mode e dalle avanguardie pur di attirare l'attenzione, tanto che «i classicisti lo combattevano per il suo realismo, mentre gli impressionisti lo trattavano da arretrato». Accettò l'isolamento perché la sua opera non dipendeva dalle correnti, ma era «sostenuta da una grande fede, che era il ritmo stesso della sua vita». Semmai si doleva nel vedere l'arte sacra inseguire le mode dell'epoca (figuriamoci cosa avrebbe pensato dell'arte sacra che insegue le mode di oggi), ricevendo però grande conforto, al tramonto della sua vita, da un messaggio di Benedetto XV che nella sua arte «al servizio di una illuminata ispirazione cristiana» riconobbe quelle caratteristiche che il Dottore Angelico «voleva trovare in ogni bella opera», vale a dire «l'integrità delle forme, la proporzione e la chiarezza dei mezzi espressivi. Queste sono precisamente le caratteristiche della vostra», gli scrisse il Papa.

Nel 1888 ricevette l'incarico per la decorazione di Notre-Dame-des-Champs: «un'opera immensa, che gli richiese diciotto anni di sforzi», ricorda Calvet. Per intraprenderla, Aubert sentì il bisogno di toccare con mano i luoghi toccati da Gesù e da Maria: «scese dall'impalcatura già eretta, lasciò lì i suoi dipinti e partì come pellegrino verso la terra di Cristo», per ben tre volte. Fu uno di questi viaggi a far conoscere don Calvet e l'artista, che «andò ingenuamente verso l'Oriente, da devoto cristiano in pellegrinaggio e da pittore curioso alla ricerca di linee e colori», registrandone i ricordi in un diario per poterli un giorno condividere con i suoi cari. Tenne invece più riservate le impressioni più intime e spirituali (quasi «meditandole nel suo cuore»... come Maria), che tuttavia affiorano qua e là, come a Betlemme, dove rivisse le gioie di quando lui stesso era bambino di fronte al presepe.

Tanta dedizione segnò l'inizio di Notre-Dame-des-Champs e altrettanta dedizione (e umiltà) ne segnò la conclusione. A pochi giorni dall'inaugurazione, il celebre William-Adolphe Bouguereau, invitato da lui stesso a vedere in anteprima il trionfo dipinto sull'abside, gli fece notare che dal basso, tolta l'impalcatura, la figura dell'Eterno Padre sembrava dormire. Aubert fece riallestire un ponteggio per correggere quell'unico difetto. Ma c'è un aneddoto molto più significativo sullo spirito con cui l'artista si accostava alla vita e al trionfo della Vergine e, in generale, all'arte sacra. Durante una pausa, su una panchina del Boulevard du Montparnasse, lo raggiunse il pittore Jean-Jacques Henner, che aveva appena visto i lavori in corso a Notre-Dame-des-Champs, e gli chiese: «Amico mio, credete davvero in ciò che fate?» - «Certo, maestro, e con tutta l'anima», rispose Aubert. «Ma quindi credete», incalzò Henner, «credete davvero alle scene che raccontate?». «Certo, maestro, e con tutto il mio cuore...».

Nel frattempo a Besançon aveva realizzato un altro capolavoro mariano: il corteo della Vergine, che nella locale chiesa di Notre-Dame raffigura in una solenne processione le invocazioni delle litanie lauretane: Regina patriarcharum... Regina profetarum... Regina apostolorum... così che il fedele non solo vede sfilare, ma si unisce ai patriarchi, profeti, apostoli, vergini, confessori, martiri che convergono verso la candida statua della Madre di Dio. «Salve Regina: ecco il primo commento che l'opera di Joseph Aubert impone», osserva il suo biografo.

Lo sguardo alla Vergine fu anche l'ultimo della sua vita. La morte lo colse il 23 maggio 1924, nel convento di religiose a Fontenelles, dove soggiornava prima di proseguire per l'Ermitage. Durante l'agonia, scandita dalla preghiera del Rosario e dagli ultimi sacramenti, il morente si raccomandava a San Giuseppe e a San Camillo de' Lellis, offrendo a Dio le proprie sofferenze «per i miei... per la Francia... per Fontenelles...», voltandosi per fissare fino alla fine la statua di Maria che era a capo del suo letto. «Morì così», scrive Calvet, «guardando colei che aveva glorificato col suo pennello».



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