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LA VISITA DELL'EMIRO

Italia-Qatar, una stretta di mano lontano dal clamore

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La visita nel vecchio continente dell’emiro del Qatar Tamim Al Thani. Doha teme possibili contraccolpi dopo il Qatargate che ne ridimensionino la capacità d’influenza, meglio quindi accertarsi di persona che i vari interlocutori operino in continuità con il passato, senza sorprese. La stretta di mano ottenuta al Quirinale dal presidente Mattarella, è garanzia che l’Italia non ha intenzione di rivedere al ribasso la cooperazione. 

Politica 18_02_2023

Tutto scorre, dice il celebre aforisma greco e ciò sembra valere oggi anche per il Qatargate, a qualche anno di distanza dallo scandalo dei Qatar Papers. La pubblicazione nel 2019 delle carte che hanno dimostrato, semmai ce ne fosse stato bisogno, che da Doha è caduta in Europa, Italia compresa, una pioggia di decine e decine di milioni di euro per la promozione dell’islamismo, ha lasciato l’amaro in bocca a chi aveva sperato che la denuncia potesse far aprire gli occhi a chi li aveva chiusi, risvegliando le coscienze di chi era stato connivente o era semplicemente non informato dei pericolosi risvolti del grande business con il Qatar.

L’auspicio era quello di un cambiamento in senso positivo, quanto meno un riequilibrio nei rapporti, all’insegna del sì alle intese commerciali, sì ai mega contratti nel settore della difesa, sì a gas e petrolio, ma senza importare anche islamismo sotto forma di associazioni, militanti, imam, predicatori, moschee fai da te, come trampolino di lancio per la conquista religiosa e culturale dell’Europa. È questa infatti la vera posta in gioco del “jihad economico” degli emiri del clan Al Thani, volto ad aprire la strada alla penetrazione sistemica dell’esercito dei Fratelli Musulmani, schierato a macchia d’olio in tutto il continente europeo e non. Un esercito che ha sempre potuto contare sulla sponda di una certa sinistra per sostegni e coperture dal punto di vista politico-istituzionale, come dimostrato dal “sistema Panzeri” (e non solo).

Invece, la denuncia non ha sortito alcun effetto. Troppo ricchi e potenti gli emiri, per temere ripercussioni sulla propria egemonia in Europa. Anche i mondiali della corruzione e delle violazioni dei diritti umani hanno avuto luogo regolarmente, con qualche scossone ma tutto sommato in scioltezza, come se nulla fosse accaduto e sempre con il sorrisino beffardo sulla bocca e sotto i baffi, quelli di Tamim Al Thani, il presidente e volto giovane del Qatar che vuole sedere sul trono del mondo. 

Tutto scorre sì, anche i Mondiali quindi, “i migliori di sempre” secondo il numero uno della FIFA, Gianni Infantino, che aveva però detto la stessa cosa dei precedenti Mondiali in Russia. Ma se tutto scorre, non deve necessariamente scorrere nella stessa direzione. Da un lato, il prolungato basso profilo con cui ha affrontato l’arrivo del Qatargate, sembrava voler trasmettere da parte di Doha una percezione di sicurezza, come se tutto fosse sotto controllo, indifferente e superiore alla tempesta mediatica e giudiziaria. 

D’altro canto, se Doha si era ridotta ad arricchire qualche peones dell’euro-parlamento (guarda caso del gruppo socialista) per avere qualche discorso favorevole e poco più, vuol dire che gli emiri sono alquanto suscettibili quando si tratta della loro immagine e hanno così cercato di ripulirla dal fango, naturalmente nello stile che gli appartiene, ovvero non cambiando comportamento ma corrompendo profumatamente deputati in contanti per dire nient’altro che bugie.

La recente visita nel vecchio continente dell’emiro Tamim può allora essere interpretata come un segnale di preoccupazione. Doha teme possibili contraccolpi che ne ridimensionino la capacità d’influenza, meglio quindi accertarsi di persona che i vari interlocutori operino in continuità con il passato, senza sorprese. Da questo punto di vista, la stretta di mano ottenuta al Quirinale dal presidente Mattarella, è garanzia che l’Italia non ha intenzione di rivedere al ribasso la cooperazione con Doha. Allo stesso tempo, la sobrietà e il basso profilo mediatico dell’incontro, assai distanti dal clamore della famosa cena al Quirinale del non troppo lontano novembre 2018, depongono a favore di quel cambiamento o riequilibrio che erano stati auspicati a seguito dello scandalo Qatar Papers. 

Il governo era sì presente, ma non in formato plenario come la volta precedente. Per motivi di salute, la premier Giorgia Meloni ha lasciato che fossero il ministro degli affari esteri, Antonio Tajani, e il ministro della difesa, Guido Crosetto, a rappresentare l’esecutivo per confermare che le relazioni diplomatiche, economiche, industriali, energetiche ed in ambito difesa proseguiranno nel solco degli accordi già stabiliti. In questo, il governo persegue gli interessi legittimi dell’Italia, ma per coerenza è chiamato contemporaneamente a marcare una netta differenza dalla gestione PD-Cinquestelle.

Forse, la presenza al vertice anche del ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, avrebbe messo maggiormente in chiaro fin da subito che con il nuovo esecutivo gli affari con Doha non contempleranno più in parallelo il mantenimento della porta aperta all’islamismo dei fratelli musulmani. Alla luce dei danni già provocati, il Qatar può ritenersi soddisfatto e un’inversione di tendenza per l’Italia non è più rinviabile. Inoltre, sulla spinta del rilancio della politica estera italiana nella regione del Mediterraneo e Medio Oriente, Roma ha davanti a sé la possibilità di dare un nuovo impulso a livello strategico ai legami con altri paesi del Golfo. 

Dopo il Quirinale, Tamim Al Thani si è recato all’Eliseo per stringere la mano del presidente francese, il quale ha annunciato il prossimo rafforzamento della cooperazione con Doha, dopo una stagione di allontanamento da parte di Parigi in direzione Abu Dhabi, per dimenticare la “primavera araba” di Sarkozy. Si tratta di un’opportunità che l’Italia può e deve cogliere, affinché non si verifichi nuovamente che con gli emiri del Qatar tutto scorre ma senza cambiare niente.