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MEDIO ORIENTE

Israele al voto Panico in casa Netanyahu

Israele, si vota martedì: i sondaggi danno in vantaggio la coalizione a guida laburista che sfida il premier Netanyahu. Il leader likudista paga lo scotto delle defezioni nel suo schieramento: Livni e Khalon, soprattutto. Ma si è tirato contro anche i vertici militari, che temono una sua rottura con gli Usa di Obama.

Esteri 15_03_2015
Israele, elezioni in vista

"La sinistra e i media israeliani e stranieri si sono coalizzati per portare illegalmente al potere Herzog e Livni". Come nel più classico degli schemi un Benjamin Netanyahu decisamente nervosetto dalla sua bacheca su Facebook sta già gridando al complotto alla vigilia delle elezioni politiche, in programma in Israele martedì. Mette le mani avanti e - curiosamente - in un'intervista radiofonica se la prende con il più improbabile dei nemici: i Paesi scandinavi che - a suo dire - avrebbero investito milioni per influenzare le scelte degli elettori israeliani.

Basterebbe questo da solo a dire quanto stia dilagando il panico nello stato maggiore del Likud - il partito del premier uscente, la forza storica della destra israeliana - a poche ore dall'appuntamento con le urne. Dopo essere stati appaiati per settimane - infatti - gli ultimi sondaggi assegnano un vantaggio sorprendentemente netto alla Zionism Union, l'alleanza formata per l'occasione dai Laburisti di Isaac Herzog e da Hatnuah, il partito di Tzipi Livni, l'ex pupilla di Ariel Sharon. Netanyahu risulterebbe quattro seggi dietro, un'enormità per un Paese come Israele con un parlamento di 120 seggi in tutto, distribuiti con il sistema proporzionale a una pletora di partiti. Certo, bisognerà aspettare i risultati delle urne - anche perché comunque molto difficilmente la Zionism Union andrà oltre i 26 seggi e dunque dopo formare un governo sarà la solita impresa a Gerusalemme. Eppure in Israele si respira aria di batosta per Netanyahu, l'uomo da 22 anni in prima linea alla Knesset, 9 dei quali trascorsi nell'ufficio del primo ministro, alla guida di ben tre governi diversi.

Era stato lui stesso a volere le elezioni anticipate rompendo proprio con Tzipi Livni e Yair Lapid (l'ex anchor-man sceso in politica che fu il vincitore morale delle elezioni del 2013). Con questa mossa aveva tagliato i ponti con l'ala moderata del suo governo, pensando di uscire dalle urne rafforzato. Sapeva che in realtà il partito Laburista - lo storico avversario del Likud - non va oltre il 15% dei consensi in Israele. Ma non aveva calcolato che c'è un'ampia fetta del Paese oggi disposta a votare chiunque non sia Netanyahu.

Bibi paga la gestione personalistica del Likud: non solo Tzipi Livni ma anche i leader di altri due partiti concorrenti - Neftali Bennett e Moshe Khalon - sono ex likudnik che si sono messi in proprio per trattare con lui da posizioni di forza. Khalon - in particolare - lo insidia sul suo vero tallone d'Achille: l'economia. Perché gli anni di Netanyahu per Israele sono stati anche quelli dei prezzi delle case alle stelle a Tel Aviv e Gerusalemme e dei tagli allo Stato sociale. Mentre la costruzione di nuove case negli insediamenti continuava a essere sussidiata con un flusso ininterrotto di denaro. Come pure lo staff del premier e la sue spese di rappresentanza.

Netanyahu - però - oggi paga soprattutto l'opposizione dei vertici militari di Israele: non si erano mai visti in campagna elettorale tanti ex generali ed ex comandanti del Mossad criticare le scelte del premier uscente sulla sicurezza. In particolare la sua ossessione sull'Iran. E in effetti - alla luce di quanto sta accadendo in Medio Oriente, con le milizie qaediste sunnite di Jabat al Nusra posizionate sulle alture del Golan e lo Stato Islamico con i suoi alleati nel Sinai - è quantomeno un po' bizzarro costruire tutta la propria visione geopolitica sul contrasto a Teheran. Per di più il discorso davanti al Congresso a Washington - con un premier di Israele entrato a gamba tesa nella politica interna americana, per sostenere i Repubblicani contro il presidente in carica - non è piaciuto per nulla ai vertici di Tzahal, che non hanno proprio nessuna voglia di correre rischi con chi alla Casa Bianca stacca puntualmente assegni insostituibili per garantire gli attuali standard del sistema di difesa israeliano.

In una situazione del genere a Netanyahu non è bastato indossare i panni dell'attore in uno spot televisivo abbastanza improbabile in cui si presentava come il Bibi-sitter, il leader affidabile a cui lasciare senza patemi i propri bambini quando si esce la sera a cena. Il mito della sicurezza da solo non attacca più. Così adesso il Bibi-sitter - rimasto solo in casa - aspetta nervosamente i risultati elettorali di martedì sera: se il suo Likud dovesse andare sotto i 20 seggi per lui si metterebbe decisamente male. E per Israele? Si aprirebbe una fase nuova, tutta da decifrare. Perché finora i suoi avversari sono stati uniti più dall'opposizione al leader del Likud che da una direzione chiara da imprimere a Israele. In un Paese dalle mille stratificazioni che oggi quanto mai fatica a trovare un minimo comune denominatore.