In Ucraina i russi avanzano, Trump torna alla strategia di Biden
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Sul terreno le forze ucraine sono sempre più in difficoltà, Putin punta sull'annientamento delle capacità belliche ucraine. L'annuncio di un possibile invio di missili Tomahawk da parte degli Usa, segna una svolta di Trump: se si realizzasse segnerebbe una escalation senza precedenti.

I russi avanzano intorno e dentro le ultime roccaforti ucraine nel Donbass, i due belligeranti continuano a colpire in profondità le rispettive infrastrutture energetiche e gli Stati Uniti di Trump sembrano riscoprire la vecchia e fallimentare strategia dell’Amministrazione Biden tesa a logorare la Russia. Questi in sintesi i temi nevralgici intorno ai quali si registrano gli ultimi sviluppi del conflitto russo-ucraino.
Benché i media in Europa abbiano ornai rinunciato a parlarne per evidenti ragioni propagandistiche, l’avanzata russa nelle regioni di Donetsk, Kharkiv, Dnipropetrovsk e Zaporizhia sta allungando il passo intorno a tutte le ultime roccaforti ucraine. Il comando russo sembra non avere fretta, consapevole che l’ordine impartito dal quartier generale ucraino di combattere fino all’ultimo uomo in capisaldi ornai indifendibili e senza speranze di vittoria permetterà alle forze di Mosca di eliminare un gran numero di reparti e mezzi nemici minando ulteriormente il morale delle sempre più esauste ed esigue forze ucraine.
Secondo fonti del parlamento ucraino sono già 250 mila i disertori dall’inizio della guerra. Secondo un rapporto del think-tank polacco OSW, le forze ucraine necessiterebbero di 300mila uomini per ricostituire le proprie brigate, ridotte numericamente al 50% e in alcuni casi addirittura al 30% degli organici previsti. Inoltre, secondo media ucraini, solo il 20% delle nuove reclute (arruolate spesso con la forza) raggiunge il fronte, gli altri disertano.
La rapida conquista del territorio non sembra essere la principale priorità dei russi, che privilegiano invece l’annientamento delle capacità belliche ucraine; l’estensione della linea del fronte da mille a 1.250 chilometri in seguito alle più recenti offensive russe sta penalizzando le forze di Kiev, ormai prive di riserve, che devono decidere quali settori rinforzare e quali invece sacrificare.
Putin ha annunciato nei giorni scorsi che dall’inizio dell’anno 5.000 chilometri quadrati di territorio ucraino sono stati “liberati” dalle forze di Mosca che controllano oggi quasi il 20 per cento del territorio ucraino, inclusa la Crimea, pari a oltre 115.000 chilometri quadrati.
Anche se gli ucraini e fonti occidentali tendono a ridimensionare le conquiste russe giocando sull’estensione della “zona grigia”, l’area lungo la prima linea in cui il possesso del territorio non è ancora stabilizzato, è indubbio che i russi avanzano oggi a un ritmo costante senza precedenti dall’inizio della guerra.
Come rivelano i canali Telegram militari ucraini, il generale Oleksandr Syrsky, alla testa delle forze armate di Kiev, avrebbe ordinato di resistere ad ogni costo a Pokrovsk e Kupyansk: per farlo ha ritirato quattro delle migliori brigate dalle regioni di Sumy e Kharkiv, dove infatti i russi hanno ripreso le operazioni offensive puntando a sfruttare l’indebolimento delle linee nemiche.
Nonostante i rinforzi però, a Kupyansk la città è in buona parte in mano ai russi e la sua caduta da un lato imporrà agli ucraini di ritirarsi da tutta la riva occidentale del fiume Oskol per evitare l’accerchiamento e dall’altro permetterà ai russi di puntare da est sulla città di Kharkiv e a sud di attaccare verso Lyman dove già le forze di Mosca che avanzano da est sono giunte a meno di 10 chilometri dal centro urbano.
Non va meglio a Pokrovsk, dove la città è già in mano russa nella parte meridionale e l’intero settore è ormai un grande “imbuto” in cui gli ucraini possono usare una sola strada per inviare rifornimenti e rinforzi costantemente sotto il tiro russo. Anche i centri abitati di Mirnograd e Robynske vedono consistenti penetrazioni russe.
Anche nella guerra che si combatte a colpi di missili e droni contro le infrastrutture energetiche, i successi ucraini nel colpire diverse raffinerie russe hanno determinato carenza di carburante in alcune regioni russe ma la massiccia risposta di Mosca, che gode di una capacità di esprimere un ben maggiore volume di fuoco, ha distrutto molte centrali elettriche e almeno il 60 per cento delle riserve di gas dell’Ucraina.
A far crescere i rischi di escalation del conflitto contribuiscono due notizie provenienti dagli Stati Uniti. Ieri il Financial Times ha rivelato, citando esperti statunitensi, che gli attacchi alle raffinerie russe effettuati dai droni ucraini sono resi possibili dal supporto dei satelliti e dell’intelligence di Washington. Secondo le fonti si tratterebbe di uno sforzo coordinato per indebolire l'economia russa e costringere Putin al tavolo dei negoziati. Insomma, l’Amministrazione Trump sembra puntare sulla strategia di logorare Mosca, già risultato fallimentare nei tre anni e mezzo precedenti.
Fonti ucraine e statunitensi citate dal giornale riferiscono che le informazioni fornite dai servizi segreti statunitensi hanno permesso di sferrare attacchi contro importanti risorse energetiche russe, comprese raffinerie di petrolio anche oltre i mille chilometri dalla linea del fronte. «La condivisione di informazioni di intelligence è l'ultimo segnale che Trump ha intensificato il suo sostegno all'Ucraina mentre la sua frustrazione nei confronti della Russia è cresciuta», scrive il Financial Times
Presumibilmente con lo stesso scopo di logorare la Russia e indurla a trattare, Trump ha lasciato per ora aperta l’ipotesi fornire missili da crociera Tomahawk all’Ucraina, in grado di colpire obiettivi fino a 1.600 o 2.500 chilometri a seconda delle versioni.
Mosca finora ha risposta con freddezza a questa ipotesi. Putin ha affermato che in tal caso verrebbero rafforzate le difese aree (già ora in grado di abbattere i Tomahawk che volano a velocità subsonica) mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto ieri che il tema è «di estrema preoccupazione».
In termini concreti si tratterebbe di una escalation senza precedenti nel conflitto con una fornitura militare che neppure l’Amministrazione Biden aveva mai ipotizzato, anche perché i Tomahawk possono imbarcare anche armi nucleari. Inoltre il loro impiego non potrà certo essere affidato agli ucraini poiché richiede l’accesso a procedure e informazioni in possesso solo a personale americano, che dovrebbe venire quindi schierato in Ucraina per attaccare la Russia.
Considerato che Trump è restìo a regalare armi occorre chiedersi se anche i Tomahawk rientreranno nel conto sempre più salato che gli europei devono pagare per armare l’Ucraina con armi americane.
Infine, anche tenendo conto che il numero di missili che potrebbe venire eventualmente consegnato a Kiev sarebbe limitato, è facile comprendere che neppure questa arma costituirà un “game changer” in grado di rovesciare le sorti della guerra.
La consegna dei Tomahawk comprometterebbe però la ripresa delle relazioni USA-Russia dopo il vertice in Alaska e non ci sarebbe da stupirsi se la replica di Mosca vedesse lo schieramento di missili ipersonici Oreschink o Kinzhal (armi dotabili di testate nucleari ma non intercettabili da nessun sistema antiaereo oggi in servizio) a Cuba o in Venezuela, a pochissimi minuti di volo dal territorio statunitense. Opzione russa che per Trump significherebbe uno smacco senza precedenti.