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COVID ED ECONOMIA

Il vero modello cinese è Taiwan. Ma nessuno lo vede

Se la Cina emerge come vincitrice mondiale della sfida pandemica ed economica, spesso si dimentica che esiste un’altra Cina che costituisce un modello decisamente più attraente per il mondo libero. E’ la Cina di Taiwan. Registra minor mortalità, maggiore crescita. Eppure, per tutte le organizzazioni internazionali, Taiwan "non esiste".

Economia 03_02_2021 Español
Capodanno cinese a Taipei, Taiwan

Se la Cina emerge come vincitrice mondiale della sfida pandemica e dalla crisi economica, tanto da presentarsi al Forum Mondiale del Commercio come potenza che detta le sue regole al mondo, spesso si dimentica che esiste un’altra Cina che costituisce un modello decisamente più attraente per il mondo libero. E’ la Cina di Taiwan che ha sconfitto l’epidemia con pochissimi morti e presenta, ora, dei dati di crescita economica indubbiamente strabilianti. E senza trucchi.

Perché sull’impetuosa crescita economica cinese, così come sul bassissimo numero di vittime del Covid-19, di dubbi ne restano parecchi. Già ad ottobre, osservatori economici internazionali, notavano delle discrepanze nelle statistiche economiche di Pechino. Se il dato macroeconomico che tutti conoscono è quello di una crescita annua del Pil del 2,3%, questo è in contraddizione con un aumento della disoccupazione giovanile nel 2020 (+4% annuo) e con un crollo dei consumi nei primi tre trimestri del 2020 (-6,6%), oltre al calo dei profitti in tutte le maggiori aziende del Paese. Le imprese di Stato hanno avuto le perdite maggiori (-14,3%); più contenute quelle del settore privato (-0,5%).

Ieri sono stati diffusi altri dati economici che contraddicono la narrazione ufficiale di una Cina vincitrice e in crescita economica. L’indice Pmi (che misura lo stato di salute delle industrie) di Caixin/Markit relativo allo scorso mese è sceso a 51,5 punti, un punto in meno rispetto al 52,6 previsto. Dato corroborato anche dal sondaggio effettuato da Pechino: l’indice Pmi dell’Ufficio nazionale di statistica si è fermato a 51,3, meno di quanto registrato in dicembre (51,9). E si tratta del risultato peggiore dal gennaio 2012. Una situazione che indica una crescita incerta, con possibili nuove crisi che si potrebbero verificare nel corso dell’anno.

Al contrario, l’altra Cina, quella di Taiwan, presenta uno scenario decisamente più solido. Dichiara una crescita del 2,3% del Pil, uguale alla Cina, ma non è contraddetta da altri dati economici. In gennaio l’indice Pmi per l’industria è arrivato a 65,1 punti, con un picco di 70,5 nel settore trasporti. Numerose aziende taiwanesi che, negli anni scorsi avevano aperto in Cina, nel 2020 sono rientrate in patria, con investimenti pari a 32 miliardi di euro e la creazione di altri 100mila posti di lavoro. Non solo l’occupazione è in crescita, ma attira anche forza lavoro qualificata. Nel 2020, Taiwan ha registrato l’ingresso di 800mila immigrati regolari, fra cui quasi mille uomini d’affari e 124 giornalisti (che preferiscono seguire la Cina dall’isola in cui possono almeno esprimersi senza temere di essere espulsi o arrestati).

D’altra parte anche i dati su come la pandemia ha colpito le “due Cine” sono molto significativi. La Repubblica Popolare, primo Paese infettato, ha pubblicato dei dati che sono sempre meno credibili, alla luce di come la stessa malattia ha mietuto vittime in tutto il resto del mondo: 4636 morti in totale, dunque 3 morti per milione di abitanti. Ma se qualcuno prova a documentare l’epidemia senza il consenso esplicito del governo, rischia il carcere, come dimostra il caso della giornalista indipendente Zhan Zhang. A Taiwan, invece, non c’è censura governativa, la stampa è libera di investigare e narrare la realtà sul campo. I dati sono dunque più credibili e infinitamente migliori anche rispetto a quelli ufficiali diffusi dalla Cina comunista: 915 casi totali, 8 morti in tutto, in proporzione 0,3 morti per milione di abitanti.

Però, nel mondo alla rovescia in cui viviamo, il modello cinese che piace è quello della Repubblica Popolare. L’Oms ha dato sempre ascolto al regime di Pechino durante tutta la crisi, anche attirandosi le ire degli Usa, ma non ha mai voluto accettare la cooperazione di Taiwan, nazione di cui non riconosce neppure l’esistenza, considerandola, per volontà di Pechino, una provincia della Cina. Di converso, l’isola cinese democratica non ha ricevuto alcun aiuto dall’Oms, né in termini di informazioni, né di sostegno materiale. Ha dovuto fare tutto da sola. Al Forum Mondiale del Commercio, così come in tutti gli altri consessi internazionali, è la Cina che si presenta come la grande potenza emergente, mentre Taiwan, letteralmente, non esiste. Proprio perché è la Cina “come potrebbe e dovrebbe essere” se non fosse comunista, un controfattuale vivente e funzionante, Taiwan rischia veramente la sua esistenza. E più ha successo, più attira le ire del regime di Pechino, mentre aumentano nei suoi cieli le incursioni di aerei da guerra cinesi.