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TEST PRENATALI

Il Piemonte, il Nipt e la china scivolosa sui bimbi Down

Il caso del Piemonte di centrodestra che chiede, con la sinistra, l’inserimento nei Lea dei test prenatali di ultima generazione per individuare le principali anomalie cromosomiche. Protestano le associazioni pro life. Per la leghista Zambaia, il fine è «tutelare la vita», ma tenere un figlio disabile o abortirlo è una «scelta» della donna. Il rischio di una deriva pericolosa.

Attualità 18_02_2021

Mercoledì 3 febbraio sono stati approvati dal Consiglio regionale del Piemonte due ordini del giorno riguardanti il Nipt (Non invasive prenatal testing), il test prenatale non invasivo che consente di individuare (con un’attendibilità del 92-99%) alcune delle principali anomalie cromosomiche, in particolare le sindromi di Down, Edwards e Patau. La notizia ha suscitato la reazione di diverse associazioni pro vita.

Andando ai provvedimenti, si tratta dell’Odg 170, che ha come suo primo firmatario il consigliere Marco Grimaldi di Luv (Liberi, Uguali, Verdi) ed è intitolato «Gratuità del Nipt test per tutte le donne residenti in Piemonte»; e dell’Odg 174, che ha come sua prima firmataria la leghista Sara Zambaia e si intitola «Valutazione della fattibilità dell’introduzione del “Test del Dna” (NIPT) da erogare attraverso il Sistema Sanitario Regionale». La differenza principale tra i due Odg è che il primo mira a ottenere la gratuità del test per tutte le donne, «indipendentemente dall’età e dalla presenza di fattori di rischio», mentre il secondo mira a fornirlo gratuitamente (o dietro pagamento di ticket) quando c’è un «rischio medio» di trovarsi in presenza di un’anomalia cromosomica.

Diversamente da quanto riportato da alcuni organi di stampa, ad oggi in Piemonte non è cambiato in concreto nulla, nel senso che il Nipt continua a essere fornito dal solo settore privato a un costo che va dai 500 ai 1.000 euro circa. Gli Odg approvati - che hanno goduto di una quasi unanime convergenza tra maggioranza di centrodestra e opposizione - sono semplici atti di indirizzo politico. In particolare, l’Odg presentato da Zambaia impegna la giunta regionale e l’assessore alla Sanità a farsi promotori, innanzitutto, presso la Conferenza delle Regioni «dell’esigenza di inserire il NIPT test all’interno dei LEA [Livelli essenziali di assistenza, ndr], affinché tutte le regioni italiane possano intraprendere il cammino verso la sua promozione, senza le limitazioni imposte dai bilanci sanitari»; in secondo luogo, «a valutarne la fattibilità all’interno del SSR attraverso uno studio economico-scientifico». L’Emilia Romagna, quindi, è ancora ‘lontana’. E tuttavia ricordiamo che il proposito di aggiornare i Lea in tal senso era stato espresso dal Governo Conte-bis nel gennaio 2020.

I due Odg, la cui approvazione è stata ritardata dal Covid, risalgono all’inizio del 2020. In merito ai loro proponenti si è parlato, vedi Repubblica, di “strana coppia”, visto che Grimaldi è di sinistra e la Zambaia della Lega. «Io e il collega Grimaldi abbiamo fatto questi due ordini del giorno lavorando in modo indipendente l’una dall’altro, averli presentati nello stesso periodo è stata una casualità. Entrambi siamo neo genitori e, come me, anche Grimaldi con sua moglie aveva fatto ricorso al Nipt», ci spiega al telefono Sara Zambaia. «Di solito, per le regole del Consiglio regionale, gli Odg su temi analoghi vengono trattati insieme. C’è stato un ampio accordo politico sui due documenti e il centrodestra ha votato anche quello di Grimaldi perché lui l’ha reso più sostenibile, modificandolo laddove chiedeva alla Regione di garantire la gratuità del test, rispetto a cui alla Regione mancano i fondi necessari», aggiunge l’esponente della Lega.

In Piemonte il Servizio Sanitario Regionale garantisce già altri test di screening come il combinato e l’integrato, anch’essi non invasivi, anch’essi capaci di individuare anomalie cromosomiche ma con un’attendibilità inferiore rispetto al Nipt. L’idea di Zambaia, frutto di una collaborazione con l’Ospedale Sant’Anna e l’assessore alla Sanità, è quella di stilare una scala di rischio (basso, medio, alto) sulla base dei suddetti test di screening già disponibili (e facoltativi) nel settore pubblico. Qualora questi test riportino un «basso rischio» di anomalia cromosomica, non si dovrebbe procedere con il Nipt. Invece, in caso di «alto rischio», secondo l’Odg 174, «è caldamente consigliato di procedere con ulteriori esami invasivi come la villocentesi o l’amniocentesi», test diagnostici. Il Nipt eventualmente gratuito - se così sarà inserito nei Lea - sarebbe assicurato qualora i test di screening preliminari riscontrassero un «medio rischio» di anomalia cromosomica.

La Zambaia sottolinea alla Bussola che «con il Nipt la donna evita in buona parte dei casi l’amniocentesi o la villocentesi che presentano dei rischi, per quanto piccoli, per l’embrione e per la donna. Per questo io dico sempre che il Nipt tutela la vita. Non è altro che l’evoluzione dei test di screening quasi sempre gratuiti che ci sono già, è un progresso della scienza, che non si può fermare». A domanda se, prima di presentare l’ordine del giorno, la classe politica abbia avuto modo di guardare i dati di Paesi come l’Islanda o il Regno Unito dove l’uso massiccio del Nipt ha portato a una drastica riduzione nelle nascite dei bambini con sindrome di Down, la Zambaia ci ha risposto: «No, non li abbiamo guardati questi dati, e nemmeno ci interessa guardarli perché l’obiettivo non è quello. Quando ho letto sui giornali come hanno usato il Nipt in certi Paesi mi sono venuti i brividi, perché per me, che ho a cuore il tema della disabilità, è una cosa atroce. Il punto è il diritto all’informazione. Se noi dobbiamo sperare che una donna tenga un figlio disabile semplicemente perché la scienza non l’ha messa nella condizione di poterlo sapere con maggiore precisione, per me è folle. Se una donna sceglie di tenere un figlio disabile è una lodevolissima scelta, ovviamente, ma se sceglie diversamente è una sua scelta ingiudicabile».

Un pensiero, questo, in linea con la Legge 194, rispetto a cui l’esponente della Lega non prende le distanze. Anzi, a proposito di salute della donna, dice che «io intendo anche la salute mentale. La donna non è un contenitore di un embrione che deve essere cresciuto secondo gli standard della società».

Se il sistema che ha portato negli ultimi anni l’Islanda ad essere una nazione quasi senza nascite di nuovi bambini con la trisomia 21 è tristemente noto, va ricordato a titolo d’esempio l’altro già accennato caso del Regno Unito. Lì, da quando è stato introdotto il Nipt, sulla base dei dati forniti da 26 trust ospedalieri e relativi al 2013-2017, i bambini nati con sindrome di Down sono diminuiti di circa il 30%.

Il punto che dovrebbe essere chiaro non è qui il «diritto all’informazione» (come lo chiama la Zambaia) ma il diritto alla vita del nascituro, che tale rimane - sul piano della legge naturale - anche se una legge ingiusta come la 194 lo calpesta. Pur tenendo bene a mente che ci si muove su un terreno minato, un conto è se il Nipt o gli altri screening prenatali hanno la finalità di vedere per curare; e un altro è se questi test vengono promossi con il fine - anche solo eventuale, cioè a discrezione dei genitori - di poter abortire il bambino di cui si è successivamente accertata con i test diagnostici (al netto di sempre possibili errori umani) l’anomalia cromosomica. Questa seconda opzione è cattiva.

In un comunicato del 12 febbraio, Claudio Larocca, presidente di Federvi.P.A. ha sottolineato tra l’altro che «la politica ha una grave e decisiva responsabilità in questo senso: non basta semplicemente rendere disponibili delle tecniche: è necessario anche vietarne l’eventuale uso contrario al principio di giustizia, che pone sempre al centro la tutela dei soggetti più deboli e indifesi». A seguito del comunicato, Larocca ha ricevuto la disponibilità a un incontro con l’assessore ai Rapporti con il Consiglio regionale, Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia), e l’assessore alla Famiglia, Chiara Caucino (Lega). Disponibilità simile l’ha espressa anche la Zambaia. Ma ora bisognerà vedere se la classe politica di centrodestra (dopo aver contestato le nuove linee guida sulla Ru486) che guida il Piemonte - grazie anche ai voti del popolo pro vita - passerà alle azioni concrete.

La domanda che sorge a corollario di quanto detto è la seguente: se non c’è una cura specifica (e per restare alle tre trisomie sopra indicate questa cura ad oggi manca), a che serve sapere prima se la trisomia c’è o no? E perché chiedere di impiegare soldi pubblici che si potrebbero certamente meglio richiedere e impiegare, per esempio, a sostegno di gravidanze difficili?

Al di là di quali siano le intenzioni alla base dei relativi provvedimenti, diffondere la mentalità che sia necessario sapere se un nascituro abbia un’anomalia cromosomica o no si traduce, specie nel clima culturale in cui siamo immersi, in più facili pressioni, debolezze o tentazioni ad abortire qualora quel ‘difetto’ venga riscontrato: lo dicono i fatti, sia all’estero che in Italia, dai numeri già richiamati alle testimonianze di uomini e donne che denunciano la deriva eugenetica. Bisognerebbe tenerne conto.