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INTERVISTA

Il patriarca dei copti cattolici racconta l'Egitto

«C'è il rischio fondamentalismo,
ma ci sono molti giovani e intellettuali che vogliono uno stato civile e democratico», dice il cardinale Naguib.

Attualità 29_08_2011
egitto manifestazioni
«Per noi cattolici egiziani la cosa più importante è che il regime di Mubarak sia finito, anche se la situazione oggi è confusa e sul futuro pesa la minaccia integralista. In ogni caso invitiamo i nostri giovani a partecipare alla battaglia politica per una società civile e democratica». Il cardinale Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei Copti, che incontriamo a Rimini dove ha partecipato al Meeting di Cl, appare diviso tra due sentimenti. Il sorriso bonario e la serenità con cui ci racconta dell’Egitto mostrano un certo ottimismo e fiducia nel futuro, ma sotto sotto si capisce la forte preoccupazione per l’emergere di forze integraliste che potrebbero trasformare il sogno di un Egitto libero e democratico in un incubo.

Cardinale Naguib, da gennaio a oggi molto è cambiato in Egitto, la situazione rimane altamente incerta. Cosa sta a cuore ai cattolici egiziani in questo momento di travaglio?
Noi sentiamo che questa è l’occasione di un cambiamento radicale in Egitto, una transizione verso uno stato civile, democratico, che dia a tutti i cittadini pari diritti e doveri, e possibilità di responsabilità nella cosa pubblica.

Pensa che questo obiettivo sia realistico?
E’ vero che sarà difficile raggiungerlo, ma ci sono molti che in Egitto lottano per questo. Noi da parte nostra incoraggiamo i  nostri fedeli a partecipare alle correnti e ai partiti che lavorano in questa direzione.

Avete pensato anche a un partito cristiano?
Abbiamo discusso da subito di questa possibilità, ma siamo stati uniti nel dire no, perché un partito cristiano significherebbe chiudersi in un ghetto. No, non è questa la strada, bisogna lavorare nei vari partiti che vogliono la democrazia.

Timori per i partiti integralisti, i Fratelli Musulmani?
Sì, ovviamente c’è preoccupazione. Non ci sono soltanto i Fratelli musulmani, ci sono gruppi più radicali, i salafiti, tre o quattro gruppi di islamisti estremisti. La loro presenza nel futuro parlamento è sicura. E questo nessuno lo può impedire e se vogliamo veramente la democrazia è giusto che sia così. Il problema è che in futuro possono anche arrivare alla presidenza dell’Egitto, e a quel punto potrebbe essere applicata la legge islamica nel modo più rigido. Quindi il pericolo c’è, ma abbiamo sempre fiducia nella saggezza della cultura e della civiltà egiziana: c’è anche un buon numero di intellettuali e ci sono tutte queste correnti di giovani che sono decisi ad avere uno stato civile democratico. Speriamo che abbiano la forza per affermarsi subito nelle prossime elezioni.

Intanto però la nuova Costituzione mantiene quell’articolo 2 che fonda la legge sulla sharia.
E’ vero e l’articolo 2 della Costituzione sarà molto difficile cambiarlo, perciò molti pensano di chiedere almeno una clausola oppure di aggiungere un altro articolo che dica che per ciò che ha rapporto con il culto e la partecipazione alla vita delle Chiese, ogni comunità religiosa segue le sue leggi, i suoi statuti. Se si raggiungerà questo sarà già un successo.

C’è anche da considerare i rapporti tesi con le autorità islamiche egiziane che, ancora prima della rivoluzione, erano state protagoniste di una clamorosa protesta contro il Papa per quell’invito a tutelare i cristiani in Medio Oriente..
Ah, questo è davvero un mistero. Tuttora noi vescovi egiziani non riusciamo a capire né il perché né il senso dell’atteggiamento del presidente dell’Università Al Azhar, la più grande istituzione musulmana sunnita nel mondo. Perché la sua presa di posizione – prima ancora della rivoluzione – era basata su una interpretazione sbagliata delle parole del Papa che aveva chiesto ai governi dei paesi della regione di proteggere le minoranze religiose nei singoli paesi. La ben nota tv Al Jazeera ha presentato le parole del Papa dicendo che faceva appello ai governi stranieri cristiani – come se ci fossero dei governi cristiani – di intervenire nei paesi della regione per proteggere le minoranze cristiane. Il che è completamente falso. In seguito a questo, il presidente di Al Azhar, il grande imam, ha preso la decisione di rompere le relazioni politiche con il Vaticano. Questo ha destato una grande sorpresa e anche molti interrogativi, perché di per sé Al Azhar non ha niente a che fare con le relazioni diplomatiche tra stati. Ho mandato una delegazione di due vescovi ausiliari per portare al presidente di Al Azhar il testo esatto pronunciato dal papa. Glielo hanno dato, lui ha detto: “Bene, vedrò dopo, lo studierò”. Ma non ha mai cambiato posizione. Allo stesso tempo il patriarca greco-melchita al Cairo, è andato anche lui dal ministro per i Beni religiosi per portare lo stesso documento e anche lui ha detto: “Sì, noi adesso capiamo, possiamo fare il necessario cambiamento”. Ma niente è cambiato. E’ venuta la rivoluzione, pensavamo che le cose cambiassero ma niente è più cambiato. Il nunzio apostolico al Cairo è andato a visitare il nuovo grande imam, di Al Azhar, per proporre di riprendere il dialogo: di nuovo un rifiuto. E tutte le volte che c’è una delegazione straniera che va dal grande imam e gli chiedono qualcosa, lui ripete sempre: noi non riprenderemo il dialogo se non dopo una scusa ufficiale del papa per aver offeso l’islam. Ma non aveva offeso l’islam! E non riusciamo a capire il perché di questo atteggiamento. D’altra parte, lui è molto gentile con i capi cristiani delle Chiese in Egitto e ha lanciato l’iniziativa della Casa della famiglia per il dialogo interreligioso, dove ci sono tutti i rappresentanti delle Chiese. E lavorano molto bene insieme. Perciò davvero non riusciamo a capire. Anche l’ambasciatrice d’Egitto presso la Santa Sede e il ministro degli Esteri hanno fatto visite in Vaticano in seguito alle quali avevano annunciato che la situazione sarebbe stata regolata. Ma niente è cambiato: c’è un mistero lì che non capiamo.

A proposito, quando si parla di cristiani in Egitto, si dà quasi per scontato che si tratti di ortodossi. Invece la sua stessa presenza e il ruolo di cui gode (oltre che cardinale è stato anche relatore all’ultimo Sinodo sul Medio Oriente) ci dicono che c’è anche un’importante comunità cattolica. Chi sono i cattolici egiziani?
Sono anzitutto i cristiani copti d’Egitto che sono fedeli all’autorità del papa. E la comunità copto-cattolica ha cominciato con le missioni francescane a partire dal XIV secolo, poi con quelle gesuite, crescendo abbastanza per chiedere alla santa Sede l’istituzione di una propria gerarchia. Cosa che ha fatto il Santa Padre Leone XIII nel 1895 restaurando la sede di Alessandria per i copti cattolici: la sede di Alessandria, dopo il Concilio di Calcedonia che nel 451 ha segnato la separazione delle Chiese orientali, era sempre stata occupata dal patriarca copto ortodosso. Nello stesso tempo dopo quel Concilio è rimasta sempre una comunità cattolica, ma formata da quelli che chiamiamo melchiti, cioè greci arabi. Melchita viene dal nome di Malek, cioè l’imperatore di Bisanzio che è rimasto fedele alla fede di Calcedonia. Però con il Grande scisma tra Occidente e Oriente, nel secolo XI, anche questa comunità si è indebolita molto e non ci sono più stati vescovi melchiti.
Poi, come dicevo, con le missioni è rinata la comunità di egiziani copti in unione con la sede di Roma, con il Papa, ed è cresciuta così fino a quando abbiamo avuto la costituzione della sede di Alessandria per i copti cattolici. Io sono il quinto patriarca.

Quanti sono i cattolici in Egitto?
La nostra comunità conta 250mila cattolici mentre gli ortodossi formano circa un decimo del paese, 8 milioni su 88 milioni di egiziani. Quindi siamo una piccola minoranza e abbiamo sette diocesi: oltre a quella patriarcale di Cairo-Alessandria e Delta, ci sono altre sei diocesi. Con sette vescovi diocesani, due vescovi ausiliari del patriarca e un vescovo emerito. In tutto dieci vescovi.
Accanto a noi, ci sono altre Chiese cattoliche in Egitto: latina, melchita, armena, siriana, caldea e maronita. Ma queste hanno un solo vescovo ciascuna e in tutto poche migliaia di fedeli in tutto il Paese.

Che rapporti avete con i copti ortodossi? Alcuni dicono che siano difficili.
Ci sono vari livelli, bisogna distinguere. C’è un livello personale, e le relazioni sono buone. Poi ci sono i livelli di cooperazione e dialogo. E dobbiamo confessare che lì purtroppo non ci sono delle strutture di dialogo né di lavoro comune. Ci ritroviamo quando ci sono degli avvenimenti importanti per il paese, quando vogliamo prendere una posizione comune, come è accaduto in occasione della rivoluzione; ci ritroviamo per le feste. E ovviamente esprimiamo solidarietà e offriamo aiuto ogni volta che ci sono attacchi fondamentalisti contro le chiese. Ma per il resto non c’è nulla. 

A proposito degli attacchi dei fondamentalisti. Colpiscono soltanto la comunità ortodossa o anche i cattolici sono nel mirino?
A dire la verità quando ci sono degli attacchi, non si informano prima se questi sono cattolici, protestanti o ortodossi. In genere quel che succede è un piccolo conflitto personale che vede coinvolti un cristiano e un musulmano, poi questo diventa automaticamente - per la mentalità socio-religiosa che c’è In Egitto - un conflitto comunitario. E siccome la presenza dei cristiani in Egitto è di maggioranza assoluta ortodossa, quasi sempre succede tra ortodossi e musulmani. Non è perché non vogliono attaccare cattolici o protestanti