Il mistero del Natale nelle parole dei santi
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Da san Francesco d’Assisi a sant’Alfonso Maria de’ Liguori, da sant’Ambrogio a sant’Agostino, da san Pio da Pietrelcina a santa Teresa Benedetta della Croce. Una carrellata di santi che hanno celebrato con gesti e scritti la nascita di Gesù.
Quando si pensa al rapporto dei santi con il Natale, il primo nome che viene in mente è quello di san Francesco d’Assisi. Il suo volto suscita nel fedele sentimenti profondi. E, in una certa misura, non si comprende il perché, sembra quasi che ognuno di noi in questo ricordo possa ritornare un po’ bambino: è la tenerezza di san Francesco che suscita questa armoniosa sinfonia di sentimenti, tutti legati al Santo Natale. Lui, il santo della città umbra, che ebbe l’idea di “riproporre” a Greccio, attraverso una rappresentazione sacra, la santa notte della nascita di Gesù. Ma non c’è soltanto il presepe del 1223. C’è molto altro nella spiritualità di Francesco d’Assisi, il santo che «aveva per il Natale del Signore più devozione che per qualunque altra festività dell’anno. Invero, benché il Signore abbia operato la nostra salvezza nelle altre solennità, diceva il santo che fu dal giorno della sua nascita che egli si impegnò a salvarci. E voleva che a Natale ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, il quale ha dato a noi tutto se stesso, fosse gioiosamente generoso non solo con i bisognosi, ma anche con gli animali e gli uccelli», così è scritto nelle Fonti francescane.
Altro nome che non può mancare è quello di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, l’avvocato santo, autore della famosa Quanno nascette ninno a Betlemme, ossia del Tu scendi dalle stelle che tutti conosciamo. Ma, anche in questo caso, non ci sono solo le note della celebre canzone natalizia. Sono, infatti, diverse le occasioni in cui il santo ha celebrato il Natale. Come, ad esempio, in questi versi: «Io t’amo, o Dio d’amor, ch’essendo amante/ per farti amar da me nascesti Infante […]./ Amor t’ha vinto: amor t’ha qui ristretto prigion tra queste fasce, o mio Signore». Parole composte da sant’Alfonso Maria de’ Liguori nel 1734 e rivolte A Gesù bambino nel presepe. E in un’altra occasione scrive: «Nel presepio tutto dà pena: tutto dà pena alla vista, perché non si vede che pietre rozze e oscure; tutto dà pena all’udito, perché altro non si sente, che voci d’animali quadrupedi; tutto dà pena all’odorato, per la puzza che vi è di letame; e tutto dà pena al tatto, perché la culla non è altro che una piccola mangiatoia, ed il letto non è composto che di sola paglia». In questo panorama così umano, e in un certo modo anche così derelitto, si colloca la nascita del Salvatore: e Alfonso sottolinea questo aspetto non a caso, ovviamente. Le pietre rozze e oscure sono illuminate dalla bellezza del mistero della nascita del Bambino Gesù.
Figura-simbolo di Milano, il suo santo vescovo Ambrogio, dottore della Chiesa, in una predica scriveva: «Cristo è il nostro nuovo Sole!». Il riferimento al paganesimo è assai palese: durante l’impero romano, il culto del sole poteva cadere tra il solstizio d’inverno e il 25 dicembre. Con il cristianesimo, allora, ecco comparire il nuovo Sole, l’unico e grande, il Signore Gesù. Sempre in merito a questo confronto, sant’Ambrogio scriveva ancora: «Non a torto il popolo chiama questo santo giorno della nascita del Signore “il nuovo sole”, affermando così che anche ebrei e pagani si ritrovano in tale espressione. Ben volentieri manteniamo questa espressione, perché col sorgere del Salvatore si rinnova non solo la salvezza dell’umanità, ma anche la luminosità del sole. Poiché se durante la Passione di Cristo il sole si oscura, così esso deve splendere più luminoso che mai alla sua nascita».
Quando si nomina sant’Ambrogio diviene quasi naturale ricordare un altro santo, suo discepolo, sant’Agostino d’Ippona. In questo caso, la letteratura è davvero vasta. Le pagine sul mistero dell’Incarnazione riempiono l’immensa opera di Agostino, che ad esempio scriveva: «Voi siete il prezzo dell’Incarnazione del Signore». Gesù Bambino «volle farsi pargolo, volle farsi bimbo» affinché ogni uomo «possa divenire uomo perfetto»: «avvolto in pochi panni», così lo definisce. Pochi panni per essere noi sciolti «dai lacci di morte», precisa Agostino. Una nascita, quella di Gesù, segnata dalla povertà, che per ogni fedele è «ricchezza» in quanto «la debolezza del Signore» è la nostra forza.
Anche il secolo scorso, il Novecento, annovera non pochi santi devotissimi del Natale. Difficile non far menzione di san Pio da Pietrelcina. Ad una sua figlia spirituale, Raffaelina Cerase, scriveva: «Al cominciare della sacra novena in onore del santo Bambino Gesù, il mio spirito si è sentito come rinascere a novella vita: il cuore si sente come abbastanza piccino per contenere i beni celesti; l’anima si sente tutta disfarsi alla presenza di questo nostro Dio per noi fatto carne. Come fare a resistere a non amarlo sempre con novello ardore?». E ancora, al suo direttore spirituale, padre Agostino da San Marco in Lamis, diceva: «Il celeste Bambino faccia sentire anche al vostro cuore tutte quelle sante emozioni che fece sentire a me nella beata notte allorché venne deposto nella povera capannuccia! Oh Dio, padre mio, non saprei esprimervi tutto quello che sentii nel cuore in quella felicissima notte. Mi sentivo il cuore traboccante di un santo amore verso il nostro Dio umanato». Descrizioni, parole, sentimenti che poco si confanno con il consueto ed erroneo dipinto di un padre Pio scorbutico e chiuso nelle dimostrazioni di affetto. In queste parole, vibra tutto il padre Pio-bambino che, contento, esterna il suo amore per il Bambino Gesù, per la Natività.
La lista di santi sarebbe molto lunga. Per brevità, scegliamo solo un altro nome: quello di una donna, santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein. Una santa che è conosciuta soprattutto per il suo rapporto con la Pasqua, con la Croce. Ma, anche lei, ci ha lasciato pagine memorabili sulla nascita del Salvatore: «Il Bambino protende nella mangiatoia le piccole mani, e il suo sorriso sembra già dire quanto più tardi, divenuto adulto, le sue labbra diranno: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e affaticati” […]. Di fronte ad essi sta la notte dell’indurimento e dell’accecamento incomprensibile: gli scribi, che sono in grado di dare informazioni sul tempo e sul luogo in cui il Salvatore del mondo deve nascere, ma che non deducono da qui alcun “Andiamo a Betlemme!”, e il re Erode che vuole uccidere il Signore della vita. Di fronte al Bambino nella mangiatoia gli spiriti si dividono. Egli è il Re dei re e il Signore della vita e della morte, pronuncia il suo “Seguimi!”, e chi non è per lui è contro di lui. Egli lo pronuncia anche per noi e ci pone di fronte alla decisione di scegliere tra la luce e le tenebre».


