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Reportage

Il Libano si gode il Papa, ma con lo spettro di un futuro attacco di IDF

Densa di impegni, in mezzo a folle commosse, la seconda giornata di Leone XIV nel Paese dei Cedri. Ma i libanesi vivono con il terrore di una nuova aggressione israeliana subito dopo la visita del Papa. Gli appelli, raccolti dalla Bussola, di don Charbel Chidiac e padre Abdo Raad.
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Ecclesia 02_12_2025
Il Papa nel Santuario di Nostra Signora del Libano, Harissa (Vatican Media/LaPresse)

La seconda giornata della visita papale in Libano è scivolata via come previsto, densa di impegni: di buon mattino il Santo Padre ha visitato la tomba di san Charbel ad Annaya, di seguito ha incontrato il clero presso il santuario di Nostra Signora del Libano, ad Harissa. Dopo il pranzo in Nunziatura Apostolica ha partecipato ad un incontro interreligioso in centro a Beirut e infine al raduno dei giovani a Bkerke, ospite del patriarca maronita Bechara Rai.

La strada che Leone XIV ha seguito durante la giornata ha visto folle plaudenti e sinceramente commosse giunte ad attenderlo lungo il percorso, una teoria ininterrotta di bandierine e di poster in tre lingue a riproporre in maniera quasi ossessiva il suo volto, in linea con un certo culto della personalità tutto mediorientale. La giornata è andata liscia, l’accoglienza perfetta, lo scambio di cortesie eccellente, le misure di sicurezza abnormi. Le parole pace, unità, speranza, riconciliazione, amore, dialogo hanno scandito i vari momenti del giorno; impossibile però non notare l’enorme rimosso collettivo, pesante come un macigno sulla coscienza del Paese, e che pure non è riuscito ad affiorare nei colloqui istituzionali del Papa. In Libano serpeggia il terrore di una nuova, imminente, aggressione israeliana, terrore rafforzato dal fatto che gli attacchi di IDF nel sud del Paese non si sono fermati nemmeno durante la visita del Santo Padre.

«Caro Papa, dicono che quando se ne andrà dal Libano scoppierà la guerra: quando viene a stare qui? Perché non si trattiene un po’ di più?». Il duo comico libanese al femminile Coffee Break si incarica di esprimere in un video le angosce più profonde di un popolo che si sente sull’orlo dell’abisso: «Santità, la chiamano peacemaker (il motto della visita papale è “Beati gli operatori di pace”, citazione dal Vangelo di Matteo), ma noi pensiamo che lei sia più un undertaker (becchino in lingua inglese)».

«È vero, diversi giornalisti e politici parlano di una nuova offensiva israeliana subito dopo la visita del Papa», dice alla Nuova Bussola Quotidiana don Charbel Chidiac, parroco maronita di Nostra Signora dei Doni, quartiere cristiano di Beirut. «Mi viene in mente che nello stemma di Leone XIV c'è il cuore trafitto dall’amore di Cristo. Preghiamo e speriamo che le parole del Santo Padre in questi giorni abbiano trafitto il cuore dei politici, risvegliando in loro consapevolezza e responsabilità. Anche se la guerra può esplodere da un momento all’altro, il Papa ha seminato speranza e un nuovo slancio che nessun male può cancellare. Quando il Santo Padre Giovanni Paolo II visitò il Libano nel 1997, il Paese era occupato dall’esercito siriano, e la gente si sentiva oppressa e scoraggiata. Dopo la visita del Papa l’occupazione durò ancora per molti anni, ma ciò che Giovanni Paolo II aveva seminato nei cuori ha dato la forza di affrontare la realtà e di guardare avanti con coraggio e fiducia nel futuro».

Padre Abdo Raad, sacerdote libanese fidei donum della Diocesi di Campobasso-Bojano, rivolge in primis il suo pensiero alle istituzioni libanesi, che in questi giorni hanno mostrato al Papa una versione quantomeno edulcorata del Paese: «Come la visita di Gesù ha cambiato la vita di tante persone – penso a Zaccheo, al pubblicano, a Matteo, a Maria Maddalena – così spero che anche il Santo Padre con questa visita possa cambiare i cuori dei nostri governanti, affinché si prendano finalmente cura della gente. Questo è il bisogno del popolo, questo è il bisogno della gente».

Durante l’incontro papale con i giovani a Bkerke, una cerimonia non dissimile da quelle a cui ci hanno abituato le Giornate mondiali della gioventù (canti, spettacoli, performance e battimani), ha fatto timidamente capolino il dolore dei cristiani del villaggio di confine di Yaroun. I rappresentanti della gioventù locale hanno portato con loro, assieme alle bandiere vaticane, immagini della chiesa di San Giorgio, completamente distrutta nell’offensiva israeliana dello scorso autunno. «La nostra casa, costruita con tanti sacrifici da mio nonno, è stata rasa al suolo, mentre i nostri campi di ulivi sono stati requisiti e distrutti dai bulldozer di IDF», ci dice Jad, diciassettenne di Khiam, altro villaggio cristiano di confine pesantemente danneggiato dal fuoco israeliano. Jad è arrivato a Bkerke con i suoi coetanei mettendo davanti al Papa il suo dramma, che è il dramma di un’intera regione che soffre e spera.

Nelle more di un attacco che ci auguriamo non si verifichi, i libanesi godono frattanto della presenza del Papa e degli effetti benefici che la visita sembra avere sul Paese anche a livello economico. Le prenotazioni alberghiere sono, a quanto si apprende, aumentate del 20%, mentre è cresciuto il lavoro di tassisti, operai, ristoratori, addetti ai servizi. È poco, ma è quanto basta per andare avanti un altro giorno.



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