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Il fenomeno

Il jihadismo online si è radicato anche in Italia

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La nuova frontiera del terrorismo islamico corre silenziosa lungo i cavi di fibra ottica. Dal Sud al Nord, sono diverse le storie di influencer del jihad emerse negli ultimi mesi, alcuni arrestati, altri rimpatriati grazie al lavoro dell’intelligence e dei reparti antiterrorismo.

Attualità 05_11_2025

Tra le pareti di un ex albergo riconvertito in struttura per immigrati, Slaim Omar, 33 anni, tunisino, accendeva la fotocamera del telefono e, con voce ferma e lo sguardo fisso nell’obiettivo, lanciava i suoi messaggi: «O uomini della jihad, restate saldi sul terreno... terrorizzate gli infedeli». È così che da un anonimo centro di accoglienza incastonato tra i monti del Cilento, in uno di quei luoghi nati per offrire alloggi, cure mediche, assistenza legale, supporto per le procedure di asilo, percorsi di integrazione e tanto altro, un uomo ha trasformato la sua stanza in una cattedra di propaganda islamista per colpire l’Italia. Arrivato a Lampedusa quasi due anni fa, e ospite del Centro di accoglienza straordinaria Il Sentiero a Sicignano degli Alburni, in provincia di Salerno, Omar ha pubblicato su TikTok oltre duecento tra video e immagini che inneggiavano al terrorismo jihadista. Un flusso costante di contenuti che non si è interrotto nemmeno dopo una perquisizione, avvenuta nel novembre 2024. Con le accuse di istigazione a delinquere e apologia di più delitti di terrorismo attraverso strumenti informatici, il giudice per le indagini preliminari ha disposto per lui la misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

Accendeva la fotocamera del telefono e parlava al mondo da vero influencer del jihad. I suoi video, scanditi dal ritmo ipnotico dei nasheed (canti di guerra islamici) e montati con precisione quasi cinematografica, diffondevano un’estetica della violenza studiata per colpire. Immagini di combattimenti, voci che inneggiavano al sacrificio e alla guerra santa, citazioni di predicatori salafiti come Sulayman al-Alwan, e slogan che richiamavano la “gloria del combattente di Allah”. In uno dei filmati più visti, la voce in arabo proclamava: «Lo Stato islamico è stato fondato con il sangue dei fedeli. Ma ora è sorta l’alba, attende la grande vittoria…». In un altro, un’esortazione diretta a colpire i kuffar, gli infedeli, e i taghut, gli idolatri. Poi la celebrazione del massacro di sessanta cristiani nella Repubblica Democratica del Congo: «È lo Stato islamico, avanti, sconfiggi i miscredenti».
C’era di tutto nel flusso digitale costruito da Slaim Omar: video, immagini di miliziani di Hamas, citazioni, preghiere e appelli alla jihad. Un mosaico di contenuti pubblicati online che gli hanno permesso di raggiungere migliaia di visualizzazioni e condivisioni per reclutare nuovi adepti.

Una vicenda che attraversa silenziosamente il cuore dell’Italia, dove i luoghi dell’accoglienza si intrecciano con le nuove frontiere della radicalizzazione digitale. Non più le pietre dell’Intifada, né l’eco sinistra delle autobombe. La nuova frontiera del terrorismo islamico corre silenziosa lungo i cavi di fibra ottica. Perché i fatti di Salerno non sono un unicum. Negli ultimi mesi, l’intelligence e i reparti antiterrorismo italiani hanno condotto un lavoro metodico e quasi invisibile, costruendo un mosaico di indagini che ha portato all’arresto o all’espulsione di diversi soggetti che stanno disegnando la nuova scena del jihad online. Figure che avevano raccolto, condiviso o diffuso materiali di propaganda legati allo Stato Islamico, ad al-Qaeda o alla Jihad Islamica. Alcune inchieste restano ancora aperte, altre si sono concluse negli ultimi mesi tra manette e il rimpatrio degli aspiranti martiri di Allah.

Uno di questi casi emerge da Brescia, dove un giovane pakistano di 24 anni, già condannato a un anno e mezzo, è stato espulso dopo un lungo braccio di ferro legale: aveva infatti presentato ricorso al Tar per bloccare l’espulsione. Il suo nome compariva in un fascicolo dell’antiterrorismo: era sospettato di diffondere online contenuti ispirati ad al-Qaeda, come immagini, documenti, proclami, video. Un archivio digitale dove i bersagli erano sempre gli stessi: i cristiani, indicati come infedeli, e i musulmani moderati, accusati di tradimento. A Bergamo, nel luglio scorso, una storia simile. Protagonista un ragazzo di origini marocchine, anche egli ventiquattrenne, il cui campo di battaglia era Facebook. Nel dicembre 2023, aveva condiviso con quasi cinquemila contatti un’immagine simbolica quanto inquietante: il sigillo dello Stato Islamico sovrapposto a un Corano, accompagnato da invettive in arabo contro i cristiani, definiti “corrotti e ipocriti”. Un anno prima aveva pubblicato una preghiera rivolta ad Allah: «Perdonami, rendimi uno di coloro che entrano in paradiso».
In Emilia-Romagna, a settembre, reparti specializzati della Polizia hanno avviato accertamenti su un gruppo di individui sospettati di avere contatti con la rete Haqqanie, una diramazione mediatica dello Stato Islamico, e con il circuito digitale Al Raid Media Archive, uno dei principali network di propaganda jihadista globale. Cinque persone sono finite sotto indagine per istigazione a delinquere. Utilizzavano i propri dispositivi per consultare, archiviare e condividere video, audio e testi inneggianti al martirio, all’uccisione dei cristiani e alla guerra contro i “nemici dell’islam”. Ad ottobre, a Bologna, un diciottenne, legato alla stessa rete online, è stato intercettato: in casa aveva manuali per costruire una bomba

Lo scorso Natale, compare il nome di Rida Mushtaq, 22 anni, di origini pakistane, residente a Bologna. Era lei, secondo gli investigatori, la giovane capobanda che avrebbe organizzato un progetto di attentato in Italia. Aveva trascorso un periodo in Pakistan, prima di rientrare improvvisamente nel Paese pochi giorni prima della cattura. L’ipotesi è che il viaggio fosse finalizzato a rinsaldare i legami con esponenti locali del terrorismo. Una vasta operazione antiterrorismo del Ros dei Carabinieri ha portato all’arresto di quattro persone a lei legate tra Bologna, Milano, Perugia e Udine. Secondo l’accusa, avevano costituito un’organizzazione d'ispirazione jihadista e avviato un processo di radicalizzazione interna, operando attraverso la rete per sostenere gruppi come lo Stato Islamico e al-Qaeda. A destare particolare preoccupazione era stato il ritrovamento di materiale bellico acquistato online. 

Nei sermoni dei teorici del movimento jihadista, da decenni si sottolinea l’importanza della propaganda e della guerra mediatica. Come sottolinea Laurence Bindner, ricercatore ed ex membro di un centro di analisi del terrorismo, «ci sono molti manifesti che affermano che il jihad mediatico rappresenta il 50% del jihad. La propaganda è sempre stata molto importante in termini di comunicazione e di posizionamento ‘marketing’ di un gruppo terroristico. Questo ruolo centrale è ulteriormente aumentato con lo sviluppo dei social network e delle applicazioni per smartphone».

I recenti fatti italiani pertanto non sorprendono e s’inseriscono così in quel filone lunghissimo di esempi eclatanti — come Roshonara Choudhry che, nel 2010, accoltellò un deputato inglese dopo essersi radicalizzata online — che confermano come la propaganda terroristica veicolata attraverso il web sia la principale minaccia nell’ambito del radicalismo jihadista.