Il grande inganno del suicidio assistito
Un'introduzione all'evento "Libertà o abbandono? Il grande inganno del suicidio assistito". Parla Antonio Brandi, presidente della Onlus Pro-Vita e Famiglia
- Londra legalizza il suicidio assistito
- Dolce morte di Rino Cammilleri

Questa edizione del Venerdì della Bussola, più breve del solito, è un'introduzione all'evento "Libertà o abbandono? Il grande inganno del suicidio assistito". L'incontro si terrà martedì 24 giugno, al Teatro Rosetum di Milano (via Pisanello, 1), alle ore 21. Battaglia quantomai attuale in tutto il mondo, proprio ieri il suicidio assistito è stato legalizzato nel Regno Unito, che diventa il 14mo paese al mondo in cui la morte è legale. Antonio Brandi, presidente della Onlus Pro-Vita e Famiglia, risponde alle domande di Stefano Chiappalone.
Parlando di libertà di scelta, i sostenitori del suicidio assistito dimenticano la realtà sottostante: «Se posso permettermi, direi subito che se l’autodeterminazione fosse assoluta dovremmo lasciare suicidare i depressi e far morire di fame gli anoressici - esordisce Brandi - La disperazione non è libertà. Quando non si è lucidi e si ha paura della vita più della morte, legalizzare la morte diventa auspicabile per chi è fragile o non ha assistenza. Non è un fatto privato, è un fatto sociale, un cambiamento sociale profondo. La morte non può essere una soluzione alla sofferenza. Questi abusi sociali su persone sole, malate, anziane e fragili sono enunciate anche dalla Consulta in due sentenze importanti. Per spingere la legalizzazione del suicidio, si enfatizzano casi estremi mediaticamente potenti, ma se la legge ha un valore astratto deve poter essere applicata a tutti, non solo a casi estremi e mediatici, obbedendo a una logica di propaganda. La falsa narrativa fa passare pochi casi isolati per emergenza nazionale».
Sempre i sostenitori della legalizzazione del suicidio assistito ritengono più dignitosa la morte rispetto a una vita nella dipendenza da cure altrui. Ma, si chiede Brandi, «Un neonato ha meno dignità perché dipende dai genitori? La dignità è intrinseca all’essere umano, non è un qualcosa che deve essere riconosciuto. E non è la malattia che toglie la dignità, ma l’abbandono. Perdere il senso della propria vita perché dimenticati da tutti».
Eppure esistono cure palliative. E, dice Brandi, «Il dolore non si cura con la morte, ma con le cure e l'assistenza. Per quanto riguarda l’assistenza: vorrei sottolineare che la legge 28/2010 sulle cure palliative non prevede solo antidolorifici e assistenza, ma una rete di aiuto che, ad oggi, non esiste. Il 70% degli adulti malati che hanno diritto alle cure palliative non ne hanno accesso, per i bambini fino all’80%. Se a un malato fragile e solo viene negato l’aiuto, che senso ha parlare di suicidio assistito».
E sì che abbiamo esperienza di cosa succede all’estero. Pensiamo ad esempio al caso Shanti De Corte, in Belgio, la ragazza che è sopravvissuta a un attentato dell'Isis, ma poi ha deciso di ricorrere all'eutanasia perché sopraffatta dal trauma. «All’estero è già una realtà chiedere l’eutanasia anche se la persona non è malata e non le manca nulla - fa notare Stefano Chiappalone - I paletti che ci poniamo sono illusori». Questo lo possiamo affermare in forza dell'esperienza. Ma: «Su 194 paesi al mondo, dopo 40 anni di propaganda martellante, solo 14 (incluso il Regno Unito) hanno legalizzato eutanasia o suicidio assistito - osserva Brandi - La coscienza collettiva mondiale è contraria alla legalizzazione della morte. Dobbiamo proprio essere noi i quindicesimi? Con tutte le cure che mancano, dobbiamo proprio legalizzare la morte? Nei paesi in cui è legale, come Canada, Belgio e Olanda, si era cominciato uccidendo solo malati terminali, ora si uccidono anche disabili, depressi, malati psichici, anoressici. Si è perso il senso di vivere. Ci sono molti esempi ormai, come la 17enne olandese Noa Pothoven, abusata sessualmente. Era depressa: uccisa. Oppure Stephanie Packer, una mamma californiana, malata di cancro che si è vista rifutare la chemioterapia e offrire l'eutanasia. Noi siamo italiani e siamo diversi, quindi qui non può succedere? Ma 10 anni fa avreste mai pensato che un ragazzo di 15 anni potesse collassare, come è successo a Torino, perché i genitori gli hanno tolto il telefonino? Cose finora impensabili stanno diventando realtà. C’è una deriva che va vista e va bloccata.
Ma non è una battaglia di retroguardia battersi per la vita? Non è una battaglia di retroguardia e non riguarda solo i credenti. «Anche per gli atei dovrebbe essere ovvio che la soluzione al dolore è l’antidolorifico e non la morte», conclude Brandi.
i.