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TODI

Il gender negli scaffali per adulti: un cambio di rotta

La giunta di centrodestra di Todi ha deciso di trasferire i libri gender dedicati ai bambini nella sezione per adulti nella biblioteca comunale. Nonostante lo scandalo sollevato dalle associazioni Lgbt, non li ha censurati, ma ha dato ai genitori la possibilità di filtrare l'educazione gender. E' già un'importante inversione di tendenza.

Famiglia 27_11_2017

Due pinguini maschi che allevano un cucciolo senza la benché minima presenza della mamma; una principessa che molla il principe azzurro e scappa con un'amica che la introduce nel fantastico mondo della libertà e dell’autodeterminazione; una carrellata di famiglie omogenitoriali, i figli delle quali non si capisce bene mediante quali tecniche sono venuti al mondo; il racconto di una madre e di un padre che si separano, con il secondo che si scopre omosessuale e si rifà una vita con un compagno simpaticissimo, per la gioia dell’ex moglie e dei figli che vedono il papà realizzato e contento.

Sono solo alcune delle storie raccontate dai cosiddetti libricini gender per la prima infanzia, finiti al centro di numerose polemiche. Tutto questo succede perché finché verrà impedito il sistematico ingresso delle teorie di genere nelle scuole tramite piani di formazione strutturati e inseriti nel curriculum scolastico, la lettura di queste “fiabe”, insieme agli spettacoli teatrali di identico tenore culturale, saranno lo strumento più avanzato di una colonizzazione ideologica priva di qualsiasi base scientifica ma che viene spacciata a piene mani come lotta agli stereotipi ed educazione alle differenze.

C’è da aggiungere che queste letture non hanno alcun reale mercato di riferimento che ne giustifichi una diffusione commerciale, tuttavia sono promosse a macchia di leopardo sul territorio italiano da amministrazioni locali compiacenti attraverso eventi come festival per l’infanzia (ricordiamo il controverso Uscire dal guscio tenutosi nel bolognese la scorsa primavera) e iniziative nelle biblioteche delle scuole e dei comuni. Per questo motivo la decisione presa dalla giunta comunale di Todi, in Umbria, di rimuovere i libri gender dagli scaffali della biblioteca comunale dedicati ai bambini è un atto di grande valore politico che vale la pena di essere raccontato.

Lo scorso 9 novembre, con una direttiva firmata dall’assessore alle Politiche familiari, Alessia Marta, e dell’assessore alla Cultura, Claudio Ranchicchio, la nuova amministrazione di centro destra subentrata a giugno ha disposto lo spostamento dei libricini gender dalla sezione per l’infanzia a quella per gli adulti. Dunque non è avvenuta alcuna censura o rimozione, ma si è semplicemente ritenuto opportuno che temi così sensibili siano affrantati con l’ausilio di un adulto e non lasciati alla libera interpretazione dei bambini di Todi che frequentano regolarmente la biblioteca, nella cornice di un progetto di approccio alla lettura portato avanti dalle scuole.

La decisione non ha fatto altro che rispettare la libertà educativa delle famiglie e il primato educativo dei genitori riconosciti dall’articolo 29 della costituzione. Per dirla in termini pratici, se proprio esiste qualcuno che vuole insegnare ai figli che due pinguini maschi possono covare un uovo e allevare un cucciolo può sempre recarsi nelle sezione degli adulti e noleggiare il volume che ne racconta la storia; chi invece crede che la strutturazione delle personalità di un bambino non ha bisogno di queste forme di propaganda, e che il rispetto per le differenze passa per ben altre forme di educazione, potrà mandare i propri figli in biblioteca senza preoccuparsi riguardo a cosa potrebbe finire tra le loro mani.

L’assessore Alessia Marta ci ha spiegato che il provvedimento prende spunto e viene legittimato da una sensibilità espressa dalla cittadinanza. Lo scorso anno infatti una petizione a sostegno del consenso informato ha raccolto centinaia di firme e in questi giorni la stessa Marta dice di aver avuto riscontri molto positivi dalle famiglie della cittadina umbra.

Ovviamente non sono mancate le critiche avanzate dalle solite centrali del politicamente corretto. Basta dire che la direttiva per la biblioteca era un documento amministrativo interno che invece è stato reso pubblico probabilmente da persone che lavorano nella  macchina comunale e interessate ad alzare un polverone. Immediata la reazione del più importante circolo lgbt della regione, l’Omphalos di Perugia, che tramite il suo presidente ha parlato di “una direttiva oscurantista, da crociata medioevale che dimostra ancora una volta come certi personaggi e partiti politici non hanno per niente a cuore il benessere e l’integrazione della nostra società, ma solo l’imposizione della loro verità e la salvaguardia di una società basata sull’odio per tutto ciò che è diverso dal modello prevalente”.

La misura adottata dal comune di Todi risulta ancora più significativa se si considera che la giunta di centro sinistra che governa l’Umbria è la prima amministrazione regionale ad aver varato una legge contro l’omofobia. Il testo, approvato la scorsa primavera, è stato duramente contestato dalle opposizioni e dagli esponenti locali del Family day che additano agli aspetti più liberticidi del provvedimento che, tra le altre cose, prevede l’istituto di un osservatorio regionale che potrà intervenire sulle testate giornalistiche umbre, le aziende private e il personale della pubblica amministrazione.

Posto sempre il rispetto per le persone omosessuali e della pluralità delle opinioni, la nuova giunta di Todi dimostra quindi che alcuni processi condizionati dal pensiero unico dominante sono tutt’altro che irreversibili. Insomma, se legittimati dal voto popolare, cambiare verso alle politiche in materia di educazione e di promozione culturale non solo si può ma diventa anche un dovere nei riguardi degli elettori, soprattutto quando a questi si è chiesto il voto sulla base di precisi impegni di programma. Non è un caso, infatti, che il nuovo sindaco di Verona Federico Sboarina abbia preso un analogo provvedimento per le biblioteche della città scaligera. Ancora più significativa l’uscita dalla Rete ready (unione delle pubbliche amministrazioni che adottano prassi pro lgbt compresi piani educativi nelle scuole) dei comuni di Sesto San Giovanni e Piacenza; degna di nota anche Genova che non ha rinnovato il consueto patrocinio al gay pride. Tutte ex “roccaforti rosse” passate di mano alle ultime elezioni amministrative delle scorso giugno.