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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

BUONA NOTIZIA

Il distributismo porta la Rerum novarum in Africa

John Kanu ha deciso di impiantare in Sierra Leone un’iniziativa ispirata al distributismo. Una dottrina economica valida, pensata da Chesterton, Belloc e padre McNabb, e che applica i princìpi del bene comune proposti dalla Rerum novarum.

Dottrina sociale 21_10_2023

In rete nei giorni scorsi è rimbalzata la notizia di un’esperienza ispirata al distributismo realizzata in Africa, precisamente in Sierra Leone [vedi qui e qui]. Rimando a queste fonti per i dettagli dell’iniziativa di John Kanu (nella foto), originario della Sierra Leone e oggi cinquantanovenne che, dopo aver studiato in Inghilterra ed essere rimasto affascinato dalle teorie di Chesterton e compagni, ha impiantato in uno dei Paesi più poveri al mondo un’iniziativa economica e sociale ispirata a quelle idee. La cosa è di notevole interesse perché dimostra come la Dottrina sociale della Chiesa possa ispirare ancora oggi molte iniziative rispondenti alle esigenze naturali di un’economia umana perché realizzata secondo il progetto di Dio sull’umanità.

Il distributismo [vedi anche qui] è la dottrina economica pensata da Chesterton, Belloc e padre McNabb dietro l’ispirazione dell’enciclica Rerum novarum di Leone XIII, dei cui principi voleva essere un’originale applicazione.

I principi del distributismo sono (sinteticamente parlando) i seguenti. L’economia deve avere una base naturale, deve cioè conformarsi all’ordine sociale finalistico contenuto nella creazione. Cosa vuol dire questo principio generale? Vuol dire per prima cosa che il frutto del lavoro deve essere di chi lavora. Da qui il principio distributista secondo cui bisogna diffondere il più possibile la piccola proprietà e lottare contro le concentrazioni di potere economico che spersonalizzano il lavoro e lo rendono artificiale, non radicato nella vita delle persone, delle famiglie e delle realtà locali. Ai loro tempi i distributisti polemizzavano contro le concentrazioni commerciali che danneggiavano i piccoli negozi, ora si dovrebbe polemizzare contro ben altre concentrazioni.

Il distributismo, soprattutto in McNabb, è molto critico anche verso l’industrializzazione forzata perché ritiene che il lavoro della terra e quello artigianale mantengano il legame con la realtà della persona e dei suoi modi vitali. Collaterale a questo principio è anche l’insofferenza dei distributisti verso lo Stato che asservisce i cittadini, occupandosi direttamente di molte cose che spetterebbero a loro. Il distributismo è contrario anche alla solidarietà di Stato secondo i criteri del Welfare State o della socialdemocrazia e pensa la solidarietà secondo altri criteri.

L’economia inoltre deve avere al centro la famiglia e non la singola persona, sicché i distributisti vorrebbero favorire l’impresa familiare, soprattutto agricola e artigianale, piuttosto che la grande industria.

Un altro principio caro al distributismo è il recupero della logica delle corporazioni e delle gilde medievali. Essi non accettano che ci sia un contrasto tra capitale e lavoro e ritengono, con la Rerum novarum, che non possa esserci l’uno senza l’altro. Come favoriscono l’impresa familiare e la partecipazione degli operai alla gestione dell’azienda, così essi ripropongono la collaborazione tra imprenditori e lavoratori dentro la corporazione ove ambedue le categorie trovano spazio assieme alle loro famiglie. Non c’è motivo, essi sostengono, per ritenere l’organizzazione corporativa espressione solo del passato e inutile oggi. Dentro la corporazione o gilda, i partecipanti organizzano senza lotte e tensioni la produzione e il lavoro e pensano anche a forme di solidarietà reciproca al di fuori delle ingerenze del centralismo statalistico.

Il distributismo applica i principi del bene comune e della solidarietà proposti dalla Rerum novarum e fa non solo una proposta economica ma anche sociale e politica. La sua esportazione in Africa conferma la validità della proposta. (Stefano Fontana)