Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Caterina da Siena a cura di Ermes Dovico
100 ANNI DI CALVINO / 29

Il declino della società e il compito dello scrittore

Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità sono i temi di cinque capitoli de Le lezioni americane e ci parlano dei valori che Calvino vuole trasmettere.

Cultura 22_01_2024

Nel declino della società Calvino vuole consegnare alcuni valori irrinunciabili non solo per l’attività degli scrittori, ma anche per ogni gesto della vita, spesso sciatta e svagata. I cinque capitoli de Le lezioni americane, che ripercorrono in un certo senso l’itinerario artistico di Calvino, riguardano in ordine la leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità, la molteplicità. La leggerezza è associata alla precisione e alla determinazione, «non con la vaghezza e l’abbandono al caso»:

«Leopardi, nel suo ininterrotto ragionamento sull'insostenibile peso del vivere, dà alla felicità irraggiungibile immagini di leggerezza: gli uccelli, una voce femminile che canta da una finestra, la trasparenza dell'aria, e soprattutto la luna. La luna, appena s'affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo».

La genialità creativa di Leopardi è riuscita nel miracolo «di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare». La luna compare nei versi di Leopardi in pochi versi, che, però, «bastano a illuminare tutto il componimento di quella luce o a proiettarvi l'ombra della sua assenza». Con Leopardi tanti altri autori come Lucrezio, Dante, Boccaccio, Shakespeare, Cervantes, Cyrano de Bergerac sono stati maestri della leggerezza della lingua che sa toccare argomenti alti, esistenziali, corposi con una soavità che li rende sostenibili.

Leopardi è maestro anche di un’altra qualità della scrittura: la rapidità «dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura; […] qualità che s'accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, […] a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte». Nello Zibaldone il Recanatese annota il 3 novembre 1821: «La rapidità e la concisione dello stile piace perché presenta all'anima una folla d'idee simultanee, così rapidamente succedentisi, che paiono simultanee, e fanno ondeggiar l'anima in una tale abbondanza di pensieri, o d'immagini e sensazioni spirituali, ch'ella o non è capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare in ozio, e priva di sensazioni».

Lo stesso Leopardi, che ha teorizzato la poetica del vago, dell’indefinito e della rimembranza, è emblema della precisione del linguaggio. L’uomo è dotato di una facoltà immaginativa che opera come una seconda vista capace di veder quello che non c’è, di intravedere quanto lo sguardo naturale e sensitivo non coglie. L’immaginazione opera laddove un bene appaia lontano, sfuggente, oppure venga percepito solo in parte con i sensi della vista, dell’udito. Laddove un oggetto, una persona, una musica siano vaghi e indefiniti, noi percepiamo un’impressione di piacevolezza perché la nostra facoltà immaginativa può creare nella mente quello che non vede e può pensare a quell’infinito piacere che nella realtà non vede. Ecco perché tendiamo a idealizzare donne viste per poco tempo o con cui non abbiamo la possibilità di stare a lungo o che ci risultano fuggevoli. La nostra immaginazione tende a idealizzare e a percepire più affascinante quanto è sfuggente e non è concretamente presente.

Nello Zibaldone Leopardi afferma che l’idea del vago e dell’indefinito desta nel nostro animo piacere, proprio perché richiama quell’infinito cui il nostro cuore anela. Il vago e l’indefinito di cui si avvale Leopardi nascono da un’estrema precisione dei dettagli e del lessico utilizzato.

L’attività di Calvino tende all’esattezza in due direzioni differenti. Da una parte lo scrittore punta all’eliminazione graduale di ogni riduzione degli «avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui si possano compiere operazioni e dimostrare teoremi»; in altre parole, Calvino vuole eliminare ogni ideologia dall’opera, ogni semplificazione della realtà a modello o rappresentazione di un’idea. Dall’altra, l’autore ricerca con sforzo titanico le parole che possano «render conto con la maggior precisione possibile dell'aspetto sensibile delle cose». Si tratta di «uno sforzo di adeguamento minuzioso dello scritto al non scritto, alla totalità del dicibile e del non dicibile». La realtà è più ricca di ogni immaginazione o come direbbe l’Amleto shakespeariano: «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia».

L’ultimo capitolo de Le lezioni americane è dedicato alla molteplicità:

«La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d'ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo».

Per Calvino l’ispirazione che ubbidisce soltanto ad ogni impulso è una schiavitù. «Il classico che scrive la sua tragedia osservando un certo numero di regole che conosce è più libero del poeta che scrive quel che gli passa per la testa ed è schiavo di altre regole che ignora» (Perec, Segni, cifre e lettere). Lo scrittore deve sfuggire all’arbitrarietà dell’esistenza, deve seguire delle regole, perseguire una precisione, dar conto delle infinite possibilità della scrittura e del racconto, che sono specchio dell’inesauribilità del reale. La forza centrifuga che si sprigiona dall’opera e la pluralità dei linguaggi diventano garanzia d'una verità non parziale.

Lungi dall’evasione in mondi alternativi e dal descrivere il relativismo imperante nella cultura contemporanea, l’opera di Calvino ricerca quindi la verità, come già venticinque anni prima ne Il cavaliere inesistente la narratrice, suora del convento, annotava: «È verso la verità che corriamo, la penna e io, la verità che aspetto sempre che mi venga incontro, dal fondo d’una pagina bianca, e che potrò raggiungere soltanto quando a colpi di penna sarò riuscita a seppellire tutte le accidie, le insoddisfazioni, l’astio che sono qui chiusa a scontare».

In Calvino emerge tutta la consapevolezza del limite umano, della difficoltà di raggiungere la verità e di comunicarla attraverso le parole. C’è in lui la coscienza che dovrebbe essere la verità a rivelarsi a noi («la verità che aspetto sempre che mi venga incontro»).