
Sono trascorsi 12 anni dal pogrom dei nazionalisti indù contro i cristiani scatenato nel distretto di Kandhamal e nei suoi dintorni nello stato indiano dell’Orissa. Ancora le vittime attendono giustizia e intere famiglie non hanno fatto ritorno ai villaggi d’origine. A scatenare la furia omicida degli induisti nell’agosto del 2008 era stata l’uccisione di Lakhsamananda Sarasvati, uno dei capi della Vishva Hindu Parishad, una organizzazione induista, di cui furono accusati i cristiani anche se i colpevoli erano i militanti di un gruppo maoista. Alla fine del pogrom la conta dei danni è stata terribile: almeno 100 persone uccise, 40 donne stuprate o oggetto di umiliazioni sessuali, oltre 75.000 sfollati, molti casi di conversioni forzate all’induismo, sotto minaccia, 6.500 abitazioni e 395 chiese e luoghi di culto cristiani, adivasi e dalit distrutti, scuole, servizi sociali, centri sanitari distrutti o gravemente danneggiati. All’epoca furono sporte 3.300 denunce, ne furono accettate solo 820 e registrate 518. Di queste 247 sono andate a giudizio, le altre sono ancora in attesa di essere esaminate. Attualmente nessun responsabile delle distruzioni è in carcere, le sentenze di condanna sono state il 5,1 per cento e, considerando tutte le denunce presentate, la percentuale scende all’1 per cento. Quanto ai risarcimenti per i danni subiti, molte proprietà non sono state neanche incluse nell’elenco dei beni da rifondere e per molte, benché incluse nell’elenco, i proprietari sono ancora in attesa di ricevere il compenso stabilito. Alcune organizzazioni cristiane hanno celebrato l’anniversario del pogrom il 25 agosto. Molti cristiani hanno deciso di ricordarlo partecipando a due settimane di preghiera e di altre attività pastorali. Secondo il Forum di solidarietà nazionale, l’attacco ai cristiani del 2008 è stato uno degli episodi di intolleranza verificatosi in India.