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DIPLOMAZIA

Guerra in Ucraina, due appelli per tornare a negoziare

Un appello degli intellettuali e uno degli ex diplomatici, entrambi volti a trovare dei punti su cui ricominciare a negoziare fra Russia e Ucraina. L'appello degli ex diplomatici, in particolare, parrebbe un tentativo di far tornare in gioco l'Italia. Che sul piano diplomatico si è tagliata fuori, grazie alla politica del governo Draghi. 

Politica 19_10_2022
Ucraina, funerale militare

Intellettuali e diplomatici oggi non più in servizio attivo hanno redatto due bozze di programma tese a suggerire una road-map per portare al tavolo del negoziato russi e ucraini e scongiurare il proseguimento di un conflitto che vede già l’Europa come primo sconfitto.

Manifesti di ispirazione diversa ma in molti punti convergentiL’appello “Un negoziato credibile per fermare la guerra” (sottoscritto da Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani e Stefano Zamagni) si ispira alla necessitò di scongiurare una “apocalisse nucleare” evidenziando che “l’atomica è già stata usata e non è impossibile che si ripeta”. Ponendosi l’obiettivo di “offrire uno scenario credibile a una volontà razionale di pace per chiudere questo conflitto”, l’appello valuta che si tratta di “un conflitto che non può avere la vittoria tutta da una parte e la sconfitta tutta dall’altra. Tutti gli attori in conflitto, quelli che stanno sul teatro di guerra e quelli che l’alimentano o non lo impediscono, ne devono essere consapevoli”.

Questi i punti proposti su cui imbastire un’ipotesi di negoziato:

1) neutralità di un’Ucraina che entri nell’Ue, ma non nella Nato, secondo l’impegno riconosciuto, anche se solo verbale, degli Usa alla Russia di Gorbaciov dopo la caduta del Muro e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia;

2) concordato riconoscimento dello status de facto della Crimea, tradizionalmente russa e illegalmente “donata” da Krusciov alla Repubblica Sovietica Ucraina;

3) autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o in alternativa referendum popolari sotto la supervisione Onu;

4) definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse;

5) simmetrica de-escalation delle sanzioni europee e internazionali e dell’impegno militare russo nella regione;

6) piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina.

I firmatari definiscono questi “punti di partenza per un cessate il fuoco” simili peraltro a quelli proposti dal miliardario Elon Musk e da tempo sollecitati da Henry Kissinger, mentre sul piano concreto Putin sembra disposto a negoziare sulla base dell’ornai proclamata annessione delle quattro regioni in buona parte sotto il controllo delle sue truppe, opzione respinta decisamente sa Kiev.

Molta attenzione ha suscitato anche l’appello per l’avvio di negoziati per la pace in Ucraina promosso con una lettera aperta da un gruppo di oltre quaranta diplomatici italiani non più in servizio. Si tratta di ex ambasciatori che hanno ricoperto importanti ruoli internazionali, come nel caso di Antonio Armellini, Maria Assunta Accili, Rocco Cangelosi, Paolo Foresti, Armando Sanguini, Riccardo Sessa, Domenico Vecchioni. Diplomatici esperti che nel documento richiamano il rischio di un’azione nucleare russa a cui la Nato risponderebbe con il rischio concreto che la crisi sfoci in uno scontro nucleare simmetrico.

I firmatari rilevano inoltre che dopo 8 mesi di guerra “le posizioni di entrambe le parti si sono irrigidite. I falchi russi chiedono un utilizzo della forza senza remore, fino all’uso dell’arma nucleare tattica, ma anche nel campo occidentale molteplici sono le pulsioni per una continuazione del conflitto fino alla resa totale di Mosca. Un tale scenario apocalittico fa orrore”.

La proposta si compone di 3 punti su cui imbastire un cessate il fuoco e poi l’avvio immediato di negoziati tra le parti:

1) simmetrico ritiro delle truppe russe dall’Ucraina e delle sanzioni occidentali alla Russia;

2) definizione della neutralità dell’Ucraina sotto tutela dell’Onu;

3) svolgimento di referendum gestiti da Autorità internazionali nei territori contesi”.

Inoltre i firmatari sollecitano la convocazione di una Conferenza sulla Sicurezza in Europa, per promuovere il “ritorno allo spirito di Helsinki e alla convivenza pacifica tra i popoli europei”. Difficile dire se i diplomatici esprimano con questo appello il malumore dell’intera categoria e della diplomazia italiana, di fatto tagliata fuori da ogni ipotesi di poter lavorare per giungere a negoziati tra Kiev e Mosca dall’iniziativa del governo guidato da Mario Draghi che ha portato l’Italia nella lista dei fornitori gratuiti di armi a Kiev. Certo siamo fornitori di poche armi e mezzi militari, il cui impatto sulla guerra è stato insignificante, ma sufficienti a far inserire l’Italia nella lista delle nazioni ostili a Mosca precludendoci così il ruolo di “ponte” tra Russia e Occidente che Roma, con governi di ogni colore, aveva rivestito per decenni. Draghi e il suo governo hanno invece posto l’Italia “fuori ruolo” nel conflitto ucraino, nonostante alcune nazioni europee, ben meno ricche e rilevanti, abbiano fornito ampi esempi di approccio più riflessivo e attento agli interessi nazionali.

L’Austria (che non è membro della Nato ma solo della Ue) non fornisce armi a Kiev, come l’Ungheria che non applica neppure sanzioni a Mosca (pur restando nella Ue e nella Nato), ma compra dai russi gas e centrali nucleari. La Bulgaria, membro di Nato e Ue, ha nascosto le sue forniture militari agli ucraini triangolandole in Repubblica Ceca e ha ripreso ad acquistare gas dalla Russia con accordi e contratti nazionali, mentre la Turchia (che non è nella Ue, ma è membro della Nato) vende (non regala) armi a Kiev, stringe accordi economici ed energetici con Mosca e si pone da otto mesi come unico mediatore credibile del conflitto.

Gli appelli di intellettuali e diplomatici cercano (invano) di colmare il vuoto lasciato dalla politica sul fronte dei negoziati che avrebbe invece dovuto vedere l’Italia in pole position, tenuto conto che una trattativa per giungere al cessate il fuoco viene chiesto da tempo anche dal Pontefice e sarebbe negli interessi di tutti, belligeranti e non. Soprattutto di noi europei schiacciati dall’incudine di una crisi energetica di cui siamo stati noi stessi artefici e il martello di una classe dirigente, fuori e dentro la Commissione Ue, che usando un eufemismo possiamo senza dubbio definire del tutto inadeguata a gestire le sfide dei nostri giorni.