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Ora di dottrina / 170 – La trascrizione

I bambini morti senza battesimo – Il testo del video

La sorte eterna dei bambini morti senza battesimo è una questione ampiamente dibattuta, su cui non c’è un insegnamento definitivo della Chiesa. Dalla dottrina sul Limbo alla nota della Commissione Teologica Internazionale (2007). La certezza: bisogna battezzare i bambini il prima possibile.

Catechismo 06_07_2025

Come preannunciato domenica scorsa, facciamo una catechesi un po’ particolare, dedicandola alla questione della sorte dei bambini morti senza battesimo. La scorsa volta, parlando della discesa del Signore agli inferi, abbiamo visto quali sono state le anime liberate dal Signore: non sono state liberate evidentemente le anime dell’Inferno, mentre sono state liberate le anime dei giusti che attendevano la salvezza del Signore nel cosiddetto Limbo dei patriarchi. E abbiamo accennato anche alla condizione del Limbo dei bambini, cioè dei bambini evidentemente morti senza battesimo.

La questione, come accennavo, è ampiamente dibattuta. Propongo un riassunto di quella che è stata un po’ la linea di sviluppo della tradizione della Chiesa su questo tema, quali sono le obiezioni che più di recente sono state mosse, come attualmente ci si colloca all’interno di questo tema e anche un accenno su alcune posizioni che a mio avviso sono poco difendibili. Andiamo con ordine. Premetto che si tratta di una questione dibattuta: non abbiamo su questo tema un insegnamento definitivo della Chiesa, sebbene si debba notare che la dottrina sul Limbo dei bambini – adesso vedremo che cos’è e come si è sviluppata – sia stata ritenuta da alcuni teologi dottrina comune e abbia trovato spazio anche all’interno di un catechismo molto conosciuto e molto importante, come il Catechismo di San Pio X.

Il primo pronunciamento magisteriale importante, di peso, su questa questione risale al 385. Si tratta di una lettera di papa Siricio al vescovo Imerio. In questa lettera, tra le altre cose, il Papa esorta a battezzare i bambini quanto prima «perché non accada che uscendo da questo mondo qualcuno perda sia il Regno che la vita». È evidente che si riferisce all’uscire da questo mondo senza battesimo. Questa espressione manifesta una verità profonda e cioè che il battesimo è necessario alla salvezza. Ne riparleremo quando vedremo i sacramenti, ma intanto ricordiamo che questa verità si fonda sulle parole stesse del Signore: «Chi non rinasce dall’acqua e dallo spirito non può entrare nel regno dei cieli» (cfr. Gv 3, 5). La Chiesa, sempre sulla base delle Scritture e non per propria fantasia, ha ampliato la questione mostrando che oltre al battesimo sacramentale, cioè con l’acqua, esistono altre due forme: il battesimo di sangue, che si riceve con il martirio, confessando Cristo, e il battesimo di desiderio. Il desiderio può essere esplicito, manifesto, come nel caso dei catecumeni, nel caso dovessero morire prima di ricevere il battesimo, o implicito, occulto, dunque conosciuto solo da Dio che scruta i cuori, vedendovi il desiderio della redenzione di Cristo.

Risale al 417 un altro insegnamento importante, stavolta di Innocenzo I: «Che agli infanti possa essere donato il premio della vita eterna anche senza la grazia del battesimo è grande stoltezza». Quindi, in un tempo piuttosto ravvicinato, due pontefici ci dicono in sostanza che: 1) i bambini che escono da questo mondo senza essere battezzati perdono il Regno (Siricio); 2) è stolto pensare che ai bambini possa essere data la vita eterna senza la grazia del battesimo (Innocenzo I).

L’anno successivo, nel 418, un concilio regionale ma importante, ai tempi di sant’Agostino, ovvero il concilio di Cartagine – che era una grande e importante regione ecclesiastica – proprio sulla base di questa asserzione di Innocenzo I, il quale era ben cosciente di questa questione dibattuta all’interno delle Chiese africane, condannava l’esistenza di un luogo «dove vivono come beati i bambini che morirono senza battesimo, senza il quale non possono entrare nel regno dei cieli». Quindi è anatema chi ritiene che esista un luogo dove i bambini morti senza battesimo possano vivere come beati, dunque godendo della visione beatifica.

Ora, questa non è una lectio magistralis sul tema; si potrebbero riportare molte più citazioni, ma ci bastano queste tre, tra le più antiche, per capire una cosa importante: questi e altri testi magisteriali mostrano con grande chiarezza e anche con costanza che non si può affermare in linea generale che i bambini che muoiono senza battesimo siano salvati, nel senso che possano godere della beatitudine eterna. Il minimo che si possa dire, secondo questo insegnamento che affonda le sue radici nei primi secoli della storia della Chiesa e viene ribadito con una certa costanza, è che non è possibile affermare che in generale morire con o senza battesimo sia la stessa cosa perché in entrambi i casi i bambini possono godere della visione beatifica.

Cosa c’è dietro a questa idea? Di nuovo, è l’idea fondamentale nella presente economia salvifica, che Dio stesso ha stabilito, che la Chiesa non ha altri mezzi, diversi dal battesimo, per dare la vita eterna ai bambini prima dell’uso di ragione. Perché, se riflettete, l’altra forma di battesimo, quella di desiderio, è un’ipotesi, una possibilità accessibile a chi è in grado di esprimere un desiderio, quindi è dotato di un sufficiente grado di ragione. Non perché i bambini non siano dotati di ragione, ma perché la loro razionalità si deve sviluppare secondo un normale iter di natura. Possiamo dire che fino a una certa età hanno la razionalità in potenza, la possibilità di scegliere in potenza, ma non ancora in atto, non ancora effettiva.

Per queste ragioni, la riflessione dei Padri prima e della Scolastica poi va in una direzione ben precisa, cioè si sposta verso un’altra questione: posto che i bambini morti senza battesimo non possono essere salvati, che ne è della loro sorte eterna? Ed è qui che abbiamo un ampio cambiamento: mentre sulla questione della salvezza c’è una costanza, per cui mai abbiamo trovato un insegnamento magisteriale che dicesse che i bambini morti senza battesimo si salvano a prescindere, sulla loro sorte eterna – cioè sulla risposta alla domanda “che ne è di loro?” – abbiamo avuto una variazione, uno sviluppo.

Riassumo questo sviluppo secondo questa linea di direzione: 1) in un primo tempo, alcuni Padri, tra cui sant’Agostino, hanno parlato di “pena mitissima”, cioè ci sarebbe una pena, ma molto mitigata dal fatto che questi bambini non hanno evidentemente delle colpe personali, ma hanno ereditato come tutti gli uomini il peccato originale, che gli è rimasto perché non hanno ricevuto il sacramento del battesimo; 2) poi, il transito a uno stato di beatitudine di natura, che possiamo ritenere come lo stadio più maturo.

Ora, quello che è chiarissimo in questo sviluppo è che si esclude il fatto che questi bambini possano essere dannati, cioè che questi bambini possano soffrire quelle pene che i dannati soffrono, in quanto evidentemente non hanno colpe personali. Dunque, sarebbe ingiusto ipotizzare una pena, anche mite, di questo tipo. E tuttavia rimane la pena legata alla colpa originale, che accomuna tutta la stirpe umana. E qual è questa pena? Ne abbiamo già parlato nelle due precedenti catechesi, in quanto era ciò che caratterizzava la situazione del Limbo dei patriarchi, cioè il fatto di non poter accedere alla gloria eterna, non poter entrare nella beatitudine eterna, perché con il peccato originale i cieli si sono chiusi; e non si sono semplicemente riaperti con la redenzione di Cristo, perché la redenzione di Cristo, nell’attuale economia salvifica, giunge attraverso il battesimo.

Un interessante pronunciamento di Pio VI, la bolla Auctorem fidei del 1794, ha difeso esplicitamente la dottrina del Limbo, cioè una condizione in cui «abbiamo la pena del danno senza la pena del fuoco». La pena del danno è la privazione della beatitudine eterna dovuta al peccato originale; la pena del fuoco è la pena dovuta ai peccati personali, che viene espiata nel Purgatorio per le anime che si salvano; nell’Inferno, invece, per le anime che hanno rifiutato la salvezza di Cristo. Ora, il punto forte di questa posizione del Limbo sta nel fatto che non c’è altro mezzo, all’infuori del battesimo, per comunicare la vita soprannaturale al bambino che non ha ancora l’uso di ragione. E questo è ribadito dallo stesso papa Pio VI: «Senza il battesimo non vi è altro mezzo per comunicare questa vita al bambino che non ha ancora l’uso di ragione». Dall’altra parte, però, essi non pagano, non possono pagare per colpe che non hanno compiuto. Dunque, diciamo che nella sua formulazione più matura il Limbo è ciò che armonizza queste due verità importanti.

Tuttavia, questa posizione non nasconde alcuni punti deboli, alcune vulnerabilità, di fronte alle quali anche papa Benedetto XVI aveva chiesto in qualche modo una nuova riflessione teologica sul tema.

Dopo questa apertura, c’è stata nel 2007 la pubblicazione di un documento da parte della Commissione Teologica Internazionale, che ha riesaminato un po’ la questione e ha riaperto il tema. Sui giornali è uscito un po’ di tutto, tipo che il Papa aveva abolito il Limbo, ma la realtà è un po’ diversa. Questo documento affronta due domande importanti, che – come dicevo – sono un po’ il vulnus della prospettiva del Limbo, che costituisce una condizione di privazione della pena, di ogni pena dei sensi, di ogni pena che è caratteristica dell’Inferno o dello stesso Purgatorio, ma nel quale rimane presente la pena dovuta al peccato originale. Dunque, la visione teologica più matura riteneva questa condizione come una condizione di beatitudine naturale, non soprannaturale: è difficile descrivere questa cosa, ma questo era il punto d’arrivo.

Il primo dei suddetti punti deboli era la conciliazione di questa dottrina del Limbo con la volontà salvifica universale di Dio. Perché? Si è detto che Dio vuole salvare tutti: dalla Scrittura è evidente questa volontà, che Dio vuole salvare tutti gli uomini. Ora, che molti uomini di fatto non si salvino per colpa propria non lede questa volontà salvifica, perché rimane la parte dell’uomo, la sua resistenza a questa volontà. Ma dall’altra parte ci troviamo con dei bambini che di per sé non pongono un ostacolo a questa salvezza. E dunque come si concilia la volontà salvifica di Dio con la condizione di non beatitudine eterna di questi bambini?

La seconda questione ammessa parte dal fatto che c’è la volontà salvifica universale di Dio e, dall’altra parte, abbiamo la necessità del battesimo; tuttavia si è fatto giustamente notare che noi uomini siamo legati ai mezzi di salvezza, ma non Dio: Dio può salvare le anime anche senza i mezzi che Egli stesso ha istituito nella Chiesa, essenzialmente i mezzi sacramentali. Dio, evidentemente, non può salvare una persona che non vuole essere salvata, ma può salvare una persona che non ha potuto ricevere i sacramenti, non che li ha rifiutati scientemente o comunque non che ha rifiutato la salvezza.

Ora, queste sono obiezioni importanti, di peso.

Tuttavia, dobbiamo subito prendere le distanze da alcune posizioni che si sono manifestate dopo questa apertura del 2007. Secondo alcuni autori, infatti, tutti i bambini morti senza battesimo di fatto si salvano. Ora, riguardo al perché si salvino, alcuni autori presentano ragioni diverse; alcune di queste posizioni sono francamente inaccettabili, come quella per esempio che vorrebbe una presunta risposta cosciente del bambino nel grembo materno, dove in qualche modo riceverebbe una luce particolare di coscienza, di consapevolezza e quindi diventerebbe capace di rispondere alla grazia e perciò di porre una sorta di battesimo di desiderio. Ora, non voglio dire che siamo alla fantascienza, ma quasi: c’è un ordine delle cose e non si può affermare ciò che dall’osservazione non risulta, se non c’è una prova evidente; certamente Dio può fare tutto, può fare volare gli asini, però gli asini continuano a non volare; quindi non si possono fare ipotesi su quello che Dio “potrebbe”, anche perché un’ipotesi di questo tipo introdurrebbe un’altra questione: se questi bambini dovessero avere questo momento di coscienza, nessuno ci dice che in questa coscienza risponderebbero affermativamente a Dio perché, se c’è la libertà, allora c’è anche la libertà di rifiutare. E dunque, ipotizzare questa strada non porterebbe comunque a poter sostenere una salvezza universale dei bambini morti senza battesimo.

Un’altra moda che si sta un po’ diffondendo è quella di pregare per questi bambini. Anche questa a mio avviso ha delle criticità importanti: perché? Perché, se sono salvi, non serve pregare. Per chi si prega? Noi preghiamo per i vivi, e per i morti che sono in Purgatorio. Ora, sappiamo che questi bambini non sono in Purgatorio evidentemente, perché non hanno colpe personali da espiare; e sappiamo anche che sicuramente non sono all’Inferno. Prendiamo le due ipotesi: se sono salvi, non c’è bisogno di pregare per loro; ma anche se si accetta la teoria del Limbo, non ha senso pregare per loro. Quello che possiamo fare è pregare loro, perché sicuramente non sono anime che finiscono nel nulla e dunque in qualche modo tutti gli uomini possono intercedere presso Dio per noi che siamo su questa terra. Dunque, possiamo pregare loro, ma a mio avviso non ha senso pregare per loro.

È altrettanto falso dire che la Chiesa abbia rigettato il Limbo – si è trattato invece di aprire una discussione, non di rigettarlo – e abbia affermato che tutti i bambini che muoiono senza battesimo si salvano; anche questo è falso. Se andate a leggere il documento del 2007 – che non è un documento magisteriale, è un documento della Commissione Teologica Internazionale, che è un documento importante ma di studio, non di magistero – e il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 1261, non si dice che i bambini che muoiono senza battesimo si salvano, si dice invece che la Chiesa li affida alla misericordia di Dio, così come si fa nel rito delle esequie dei bambini che muoiono senza battesimo. Dunque, li affida alla misericordia di Dio e, a mio avviso, l’unica via percorribile è proprio quella di affidare a Dio le loro anime.

Bisogna invece pregare per i bambini morenti: bambini morenti nel grembo delle loro madri, per un aborto spontaneo, per un aborto volontario, oppure che muoiono già nati senza aver ancora ricevuto il battesimo. Bisogna pregare per questi bambini. Perché è importante questa preghiera? Perché, appunto, noi non abbiamo altri mezzi per soccorrere questi bambini: i mezzi della Chiesa sono i sacramenti; ma abbiamo anche la preghiera. Semmai Dio voglia servirsi della nostra preghiera come mezzo straordinario di salvezza di alcuni di questi bambini – pochi o tanti, non lo sappiamo e non lo potremo mai sapere – ,noi offriamo volentieri a Dio questo mezzo, perché ordinariamente Dio cerca sempre la collaborazione dell’uomo, cerca sempre il mezzo che proviene dall’uomo, il mezzo dei sacramenti ma anche il mezzo della preghiera.

Dunque, quello che a mio avviso diventa veramente difficile coniugare con quanto la Tradizione ci consegna e anche con la verità di fede che senza il battesimo, in una delle tre forme, non si può essere salvati, è una concezione di una salvezza generale di tutti i bambini che muoiono senza battesimo, perché diventa poi veramente difficile sostenere che è il battesimo che, cancellando la colpa originale, dà ai bambini (e non solo ai bambini) la beatitudine eterna. Se io dico che qualunque bambino, battezzato o non battezzato, viene salvato, capite che diamo un colpo forte, direi quasi letale, alla necessità del battesimo.

Dall’altra parte, però, proprio perché Dio non è legato ai mezzi a cui noi siamo legati, non possiamo escludere che Egli possa intervenire a vantaggio di alcuni bambini; con quali criteri non lo sappiamo. Forse, come dicevo prima, servendosi della preghiera dei genitori, dei familiari, di tutte le anime buone, non lo sappiamo.

San Tommaso, nella quæstio 68 della terza parte della Summa, rispondendo alla prima obiezione dell’art. 11, parlava della possibilità di «conseguire la santificazione per qualche privilegio di grazia». Ci sono dei privilegi noti nelle Scritture: la Vergine Maria addirittura è stata concepita senza peccato; san Giovanni Battista viene santificato nel grembo materno, evidentemente senza battesimo, come il profeta Geremia, che si ritiene sia stato santificato nel grembo materno. Capite che sono privilegi di grazia. Dio li può certamente concedere. Ma Dio li concede sempre, in modo universale? Non lo possiamo dire, non lo possiamo affermare.

L’altro tentativo di accomunare per esempio tutti gli aborti volontari ai Santi Innocenti, la cui memoria liturgica è festeggiata il 28 dicembre, nell’Ottava di Natale, è un’idea un po’ particolare, anche rischiosa, perché si arriverebbe a un paradosso: quale sarebbe il paradosso? Il paradosso sarebbe quello di pensare che i bambini abortiti dalle loro madri riceverebbero una salvezza che i bambini abortiti involontariamente non riceverebbero: in questo secondo caso infatti sicuramente non c’è un battesimo di sangue, ipotizzando che il primo caso lo sia.

Dunque, vedete, è un po’ una questione problematica, macchinosa, di fronte alla quale, a mio avviso, penso che dobbiamo rispettare quello che Dio ha stabilito come Suo: Dio ha stabilito dei mezzi di salvezza per la Chiesa, ci dobbiamo attenere a questo; quello che Dio fa al di fuori di questi mezzi, salvo evidentemente il caso di una rivelazione speciale come per san Giovanni Battista, l’Immacolata Concezione, i Santi Innocenti, non lo sappiamo. E quello che a mio avviso è l’atteggiamento giusto, prudente, della Chiesa è affidare questi bambini alla misericordia di Dio, lottare perché finiscano gli aborti, e non “solo” perché sono un omicidio ma anche perché il rischio di privare questi bambini non solo della vita, ma della salvezza eterna è altissimo; non si può presumere che Dio intervenga sempre a sanare quello che l’uomo causa. Non lo si può negare, ma non lo si può neanche presumere per affermarlo come criterio generale.

Bisogna insistere perché i bambini nati vengano battezzati quanto prima, perché c’è un’altra moda che si sta diffondendo, ossia battezzarli dopo mesi dalla nascita: non va bene perché ordinariamente la vita eterna viene data a questi bambini con il battesimo, se dovessero morire prima… capite cosa scatta dopo: “ah, ma tanto Dio li salva lo stesso”. Ma sulla base di che cosa? Di qualcosa che obiettivamente nella Tradizione della Chiesa non abbiamo, cioè non troviamo da nessuna parte che siamo tranquilli, sereni e certi che tutti i bambini che muoiono senza battesimo siano salvi: anzi, abbiamo, come detto all’inizio, l’altra posizione.

Dunque, la posizione a mio avviso più corretta, più percorribile è quella di affidare queste anime alla misericordia di Dio, confidando che Dio può salvarle anche senza il battesimo, ma non presumere che questa sia una via ordinaria, parallela a quella del battesimo, perché provocherebbe problemi molto seri alla necessità del battesimo per la salvezza.

Lascio alla vostra riflessione queste considerazioni; preciso ancora una volta che il tema è aperto, è dibattuto. È vero che la Chiesa non ha un insegnamento definitivo su questo e tuttavia non possiamo neanche tacere che per duemila anni i testi, le riflessioni dei Padri, il Magistero autentico siano andati in una certa direzione e non in un’altra.

La prossima volta continuiamo con il commento delle quaæstiones della terza parte della Summa relativa ai misteri della vita del Signore.



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