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Green Pass per lavorare, la protesta di piazze pacifiche

Siamo l'unica democrazia al mondo che chiede un lasciapassare sanitario, il Green Pass, per poter accedere al posto di lavoro. Ieri si è svolta la protesta, pacifica, a Trieste e in tante altre città italiane. Non sarà l'ultima e il governo sbaglierebbe a sottovalutare il disagio. Un provvedimento duro, di cui non si sentiva il bisogno.

Politica 16_10_2021
La protesta no Green Pass a Trieste

Il governo sbaglierebbe a pensare che tutto sia finito ieri, primo giorno di obbligatorietà del Green Pass sui luoghi di lavoro. I manifestanti contro il Green Pass hanno tutta l’intenzione di non fermarsi di fronte a nulla e di proseguire a oltranza la loro protesta per chiedere la revoca del certificato verde. L’Italia è l’unico Paese in cui è stata introdotta questa restrizione e il disappunto nell’opinione pubblica è molto più esteso di quanto non si voglia far credere. In nessun altro Stato europeo, per andare a lavorare, bisogna esibire questo lasciapassare e, nonostante tutto, ci sono nazioni nelle quali le restrizioni sono state allentate molto prima che da noi e senza ricorrere a questo giro di vite. Con risultati, in termini epidemiologici, uguali a quelli italiani.

Ieri è andata in scena una protesta pacifica e convinta in moltissime piazze. La più attesa e anche la più partecipata è avvenuta al Porto di Trieste, come era ampiamente annunciato. Le cifre ufficiali parlano di almeno 5mila persone, provenienti anche da altre parti d’Italia, che hanno urlato il proprio no all’obbligo di Green Pass. «La protesta va avanti fino a quando non tolgono il Green Pass», ha annunciato Stefano Puzzer, leader del Coordinamento lavoratori portuali di Trieste, in una conferenza stampa. «Siamo qui perché con oggi più del 40% di lavoratori non avrebbero potuto entrare a lavorare. Cioè circa 400 che hanno lavorato per due anni – io sono vaccinato – senza sanificazioni», ha spiegato. «Noi abbiamo sempre lavorato e il volume di traffico è aumentato del 45%. La risposta è stata: se non avete il Green Pass non entrate. Il Green Pass non è una misura sanitaria ma economica, un ricatto che è stato fatto alla gente per far andare a far vaccino», ha aggiunto. A riprova della spontaneità della mobilitazione dei portuali, sono stati respinti estremisti di sinistra e di destra, in particolare Forza Nuova e CasaPound, che cercavano di introdursi nell’area portuale per aggregarsi alla protesta.

A Cagliari, nel migliaio e più di manifestanti, c’era anche il “popolo delle partite Iva”, che ha invocato la revoca di misure come il Green Pass, definite “liberticide”. A Genova la polizia ha tentato di sgomberare la strada occupata per ore dal movimento No Green Pass. A Milano, invece, poche centinaia di manifestanti all’Arco della pace e pochi disagi nel settore mobilità. «Sono 272 i lavoratori su 9.800 sprovvisti del certificato verde e ieri c’è stato segnalato un incremento di persone oggi in malattia, dato che ci ha costretto a ridurre del 4% i servizi di superficie», riferisce l’Atm, azienda di trasporto pubblico urbano.

Oggi a Roma è previsto il corteo anti-fascista, convocato dalla Cgil, ma non mancheranno, come ogni sabato, manifestazioni anti Green Pass e c’è grande attesa per capire se si verificheranno i disservizi di sabato scorso, che hanno consentito agli estremisti di monopolizzare un corteo pacifico per imporre il loro disegno distruttivo per le strade della capitale.

Intanto la situazione socio-sanitaria non sta procedendo nella direzione auspicata dal governo. Due giorni fa, alla vigilia dell’entrata in vigore del Green Pass obbligatorio per i luoghi di lavoro pubblici e privati, si è registrato un boom di download di Green Pass (oltre 500mila), ma derivanti prevalentemente da tamponi rapidi fatti in farmacia. Non a caso le farmacie hanno dovuto fare gli straordinari per soddisfare tutte le richieste e ora hanno prenotazioni fino a dicembre. La gente che non intende vaccinarsi si difende e si attrezza come può, anche producendo certificati di malattia. Rispetto al venerdì precedente, ieri se ne sono registrati un 23,3% in più, cifra indicativa dell’esasperazione che monta tra i lavoratori. Il primo ottobre erano arrivati negli uffici pubblici 44.903 certificati, l’8 ottobre 38.432 e ieri 47.393. E non è detto che non aumentino con il passare delle ore, considerato il fatto che è diventato quasi impossibile fare un tampone e che chi non è vaccinato rischia di dover rimanere a casa.

La domanda più logica è se si sarebbe potuto evitare questo “green caos”, senza ostinarsi su una misura di problematica applicazione, che non consente verifiche puntuali ed efficaci, neppure con l’ausilio delle tecnologie, e che rischia di rivelarsi discriminatoria e di frenare lo slancio del Paese verso la ripartenza. Se milioni di lavoratori si vedono costretti a non andare a lavorare o intendono manifestare bloccando la produzione di beni e l’erogazione di servizi, a perdere sarà il Paese nel suo complesso perché si rallenterà la faticosa ripartenza immaginata e auspicata in questi mesi. Una gestione più ragionevole e sensata della situazione, con la sensibilizzazione verso i vaccini e l’incentivazione delle cure domiciliari, senza imporre obblighi e restrizioni, avrebbe disinnescato la mina delle tensioni sociali e spinto verso l’alto gli indici della ripresa italiana. Si è scelta la linea rigorista e non è detto che il risultato finale sarà quello immaginato dal governo.