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DIPLOMAZIA

Grano, immigrati, Libia: l'Italia si piega alla Turchia

Il vertice italo-turco ha avuto un significato ben preciso: l’Italia è nei guai nel Mediterraneo e deve stringere i rapporti con la Turchia accettandone la leadership determinante in Libia, Mar Nero e Mediterraneo orientale.

Politica 08_07_2022
Draghi e Erdogan al vertice italo-turco

L'apertura dei corridoi del grano nel Mar Nero per consentire l’export dei cereali ucraini soprattutto in Africa e in particolare di svuotare i silos ucraini per far posto al prossimo raccolto di settembre è uno dei temi trattati nel corso della visita di Mario Draghi (accompagnato da diversi ministri) ad Ankara ma non è neppure in modo marginale un successo italiano come diversi media cercano di presentarlo.

L’accordo caldeggiato dall’ONU ha avuto chiaramente il via libera da Kiev e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ne parlerà in questi giorni con Vladimir Putin per ottenere luce verde anche da Mosca. Per questo se i mercantili carichi di cereali ucraini solcheranno il Mar Nero e attraverseranno Bosforo e Dardanelli senza rischiare di venire coinvolti in battaglie o blocchi navali si tratterà di un grande successo turco, potenza regionale nel Mar Nero e nazione che pur vendendo armi (non regalandole) a Kiev non applica sanzioni alla Russia e ha saputo mantenere un determinante ruolo diplomatico per tentare di risolvere il conflitto.

Il "gruppo" che sta lavorando a un accordo sullo sblocco delle forniture di cereali "deve garantire che le navi passino in sicurezza, che non ci siano attacchi russi e che queste navi non portino armi. Le tre parti - Nazioni Unite, Ucraina e Turchia - sono pronte, si sta aspettando l'adesione finale del Cremlino", ha detto Draghi in conferenza stampa congiunta con il presidente turco aggiungendo che "dobbiamo liberare al più presto queste forniture, e quelle di fertilizzanti (prodotti in Russia – NdR) per evitare una catastrofe umanitaria e sociale nei Paesi più poveri del mondo”.
“Questo accordo è molto importante anche da un punto di vista generale. Nel complesso degli sforzi per la pace sarebbe un primo atto di concordia: questo sarebbe il primo tentativo di arrivare a un accordo per un fine che deve coinvolgerci tutti perché ne va della vita di milioni di persone nelle aree più povere del mondo", ha aggiunto Draghi.

In tale contesto però l’Italia non ha alcun ruolo benché sia noto che aspiri a inviare navi militari nel Mar Nero per scortare i mercantili carichi di grano, compito che però la flotta turca è in grado di espletare nella massima autonomia e senza bisogno di condividere prestigio e visibilità.
Purtroppo Roma, ben più “fedele” all’America di Biden di quanto non lo sia Ankara, ha pregiudicato ogni possibilità di svolgere un ruolo diplomatico autonomo e rilevante nella crisi ucraina aderendo alle sanzioni a Mosca e alla fornitura di armi a Kiev.

"La Turchia e l'Italia sono state unite da valori, principi e obiettivi comuni nel corso della storia in Europa e nella regione del Mediterraneo. Questa solida e ampia base consente ai due Paesi di rafforzare la cooperazione in tutti i settori”, si legge nella dichiarazione congiunta stilata al termine del vertice italo-turco: contenuti concilianti che sembrano voler far dimenticare che solo nell’aprile 2021 Draghi definì Erdogan “un dittatore”.

Meglio però affrontare con realismo la questione dei rapporti italo-turchi poiché un approccio moralistico imporrebbe di valutare come il via libera di Ankara all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO stia comportando l’abbandono dei curdi (i nostri “eroi” che armammo per combattere lo Stato Islamico) e la prevista consegna ai turchi di una quindicina di loro esponenti, ospiti dei paesi scandinavi insieme ad altrettanti oppositori turchi in esilio.
Valutazioni etiche che conviene evitare di analizzare, poiché in caso contrario dovremmo chiederci perché boicottiamo, isoliamo e condanniamo la Russia per l’aggressione all’Ucraina ma siamo amici e alleati (persino in modo subalterno) della Turchia che da anni ha invaso la Siria Settentrionale colpendo le popolazioni curde.

“Da alleati Nato e partner G20, che godono di una stretta cooperazione e coordinamento reciproco su questioni regionali e internazionali, la Turchia e l'Italia contribuiscono in modo significativo alla pace e alla stabilità internazionale in Europa e altrove", si legge nella dichiarazione. "Il Terzo Vertice bilaterale si è riunito in un momento di importanti sviluppi sul piano regionale e globale, come la guerra Ucraina-Russia, l'insicurezza alimentare ed energetica, la ripresa dalla pandemia di Covid-19, la migrazione irregolare e i cambiamenti climatici, nonché i disastri naturali che richiedono una risposta coerente e assistenza umanitaria urgente", si sottolinea.

Al netto del linguaggio diplomatico il significato del summit è ben preciso. L’Italia è nei guai nel Mediterraneo e deve stringere i rapporti con la Turchia accettandone la leadership determinante in Libia, Mar Nero e Mediterraneo orientale. La recente conferma della permanenza della missione militar-sanitaria italiana a Misurata (Libia) è giunta dopo il via libera dei turchi che in quell’aeroporto mantengono una base militare e una sede della loro intelligence,

In una Libia che torna a infiammarsi e in cui gli italiani da tempo non hanno più voce in capitolo, l’unica possibilità che ha Roma di mantenere una presenza e un’influenza è legata al benestare della Turchia, potenza di riferimento in quella Tripolitania dove lo stesso giorno del summit italo-turco le autorità hanno decretato il taglio del 25 per cento delle forniture di gas all’Italia perché necessario a far fronte alla grave crisi energetica interna.

Draghi era accompagnato dai ministri Lorenzo Guerini, Luigi Di Maio, Giancarlo Giorgetti, Roberto Cingolani e Luciana Lamorgese, che hanno firmato intese e accordi di cooperazione con i rispettivi omologhi turchi.
Sul piano economico l’interscambio è di 20 miliardi di dollari annui ma l’impegno è salire a 25 miliardi quest’anno puntando ai 30 miliardi nei prossimi anni.

Draghi ha toccato anche il tema dell’immigrazione illegale verso l’Italia che coinvolge anche la Turchia, non solo perché potenza di riferimento a Tripoli, ma anche perché dalle coste turche salpano con cadenza costante barche e velieri diretti sulle coste ioniche italiane cariche di immigrati clandestini per lo più asiatici.
Degli oltre 29 mila clandestini sbarcati dall’inizio dell’anno in Italia oltre 5.600 sono arrivati dalla Turchia contro i 1.600 dell’anno scorso.

I ministri dell’Interno, Lamorgese e Soylu, stanno redigendo un nuovo accordo per rafforzare la collaborazione tra i corpi di polizia per i controlli ma anche per la prevenzione degli sbarchi. “Siamo il Paese meno discriminante e più aperto ma abbiamo dei limiti e ora ci siamo arrivati", ha detto Draghi senza però all’apparenza ottenere impegni precisi da Erdogan a bloccare i flussi in partenza dalla Turchia.
Anzi, Erdogan ha sostenuto che il “problema è costituito dalla Grecia che, con i suoi respingimenti nell'Egeo, rappresenta "una minaccia anche per l'Italia".  In pratica il presidente turco afferma tra le righe che da quando i greci respingono in acque turche i clandestini e trafficanti sono costretti a organizzare più viaggi illegali diretti in Italia.

Per noi italiani l’esempio greco dovrebbe rappresentare la “soluzione”, non “il problema”. Invece di imitare la Grecia, l’Italia continua ad accogliere chiunque paghi criminali per raggiungerne le coste.