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MEDIO ORIENTE

Gerusalemme si infiamma, poche ultime speranze per la pace

Attentati palestinesi alla sinagoga di Neve Yaakov, vendetta per l'attacco israeliano a Jenin, poi un nuovo attentato alla Città di Davide e una clamorosa aggressione di ebrei estremisti al quartiere cristiano di Gerusalemme. La Città Santa si sta infiammando di nuovo. Blinken arriva in visita. I palestinesi invocano la mediazione del Papa. 

Esteri 30_01_2023
Palestinesi celebrano l'attentato alla sinagoga di Neve Yaakov

Fuochi d'artificio, falò lungo le strade e nelle piazze, sia a Gaza che in molti villaggi della Palestina. Sono queste le indecorose e vergognose scene che si sono presentate davanti alle telecamere, dopo che si era diffusa la notizia dell'attacco terroristico dello scorso venerdì che ha provocato la morte di sette israeliani e il ferimento di altri venti davanti alla sinagoga di Beit Hanina, un quartiere di Gerusalemme Est. La strage segue quella del giorno precedente, a Jenin, villaggio vicino a Ramallah, dove sono stati uccisi nove palestinesi, tra cui una donna anziana, e feriti venti.

Ma non è tutto: sempre a Gerusalemme Est a distanza di poche ore dal precedente attacco, vicino all’ingresso del sito archeologico della Città di Davide, un ragazzo di appena tredici anni, Muhammad Aliyat, ha esploso una serie di colpi con una pistola ferendo due persone, padre e figlio. Quest’ultimo atto terroristico è accaduto sabato mattina, a Ma'alot Street nel quartiere di Silwan. La polizia sta cercando di capire se il ragazzo abbia agito da solo. Nel frattempo, il commissario di polizia Kobi Shabtai ha ordinato che un reparto di agenti dell'unità antiterrorismo d'élite Yamam sia di stanza a Gerusalemme dopo i due attacchi. Ma non è tutto. Nella notte dì domenica nel villaggio palestinese di Majdal Bani Fadil sei auto e un’abitazione sono state date alle fiamme da parte di alcuni coloni.

Ma cosa sta accadendo in Israele e soprattutto a Gerusalemme e in particolare nella zona "A" della Palestina, sotto il controllo dell'Autorità Nazionale Palestinese? Gli attentati di Gerusalemme seguono di poche ore, oltre all’incursione israeliana di Jenin, un'azione vandalica perpetrata da giovani ebrei ortodossi, affiancati da coloni, e avvenuta nelle vicinanze di una delle porte della Città Vecchia, Porta Nuova, nel cuore del quartiere cristiano di Gerusalemme e nelle vicinanze della Custodia di Terra Santa e dal Patriarcato di Gerusalemme dei Latini. Da mesi, gli ebrei provocano i residenti cristiani, e a nulla sono valse le proteste e gli inviti alle forze di polizia per ristabilire l'ordine.

Quella verificatasi la scorsa notte è stata una vera e propria azione punitiva. All'improvviso, un consistente numero di giovani ebrei con bandiere, canti e urla si è avvicinato agli avventori dei bar posti all’esterno dei locali ed ha iniziato a scaraventare e distruggere sedie e tavolini. I clienti, nella maggior parte turisti, sono scappati velocemente, ma poco dopo è nata una colluttazione tra cristiani residenti ed ebrei, che si è protratta per quasi un’ora, fino a quando non sono arrivate le forze dell’ordine che hanno fermato e portato via gli aggressori. Alcuni sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari. «Questa ingiustificata violenza ha seminato terrore tra i negozianti, i residenti e i turisti del quartiere cristiano. Purtroppo - sottolineano in una nota congiunta i responsabili dell'Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa - questo è solo l'ultimo di una serie di episodi di violenza da parte di estremisti ebrei che sta colpendo i simboli della comunità cristiana e non solo. A nome dell'Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa, condanniamo tali attacchi ed esprimiamo la nostra preoccupazione per l'escalation di violenza nella Città Santa».

L’episodio è accaduto nella via che conduce al Santo Sepolcro, il luogo cristiano più sacro al mondo, e nel quartiere cristiano che ospita numerosi monasteri e molte chiese. «È necessario – conclude la nota - che le autorità politiche e religiose, assumendosi le proprie responsabilità, si adoperino per riportare a maggiore serenità la vita civile e religiosa della città. Chiediamo alle forze dell'ordine di applicare le giuste sanzioni ai responsabili, al fine di impedire il ripetersi di tali atti insensati. Gerusalemme deve rimanere la patria dei credenti di tutte le fedi e non ostaggio di gruppi radicali».

Una manifestazione pacifica contro questi gesti intolleranti è stata organizzata dai cristiani residenti proprio per sabato sera, ma è stata sospesa all’ultimo momento per evitare che il clima di tensione che attualmente si vive a Gerusalemme possa peggiorare ulteriormente.

Proprio in quella stessa zona della città, vive Issa Kassisieh, ambasciatore della Palestina presso la Santa Sede. Il diplomatico è molto preoccupato di quanto sta accadendo nella sua terra. È però convinto che un intervento diretto di papa Francesco possa contribuire a riportare la calma della terra di Gesù. «Sono certo di interpretare il pensiero di tutti i cristiani della Terra Santa e dell’intero Medio Oriente, nel ritenere che il Santo Padre possa chiedere agli israeliani di deporre le armi e possa essere avviato, con la mediazione della Santa Sede, un dialogo sincero, nel solco della risoluzione proposta dalle Nazioni Unite, per la creazione di due stati per due popoli. Solamente attenendoci a quella risoluzione si potrà porre fine a un conflitto che ormai si trascina tragicamente da decenni»

Che questa azione vandalica e punitiva – e non solo - fosse prevedibile non è un mistero per nessuno, visto e considerato il clima di tensione che si è venuto a creare con la nascita del nuovo governo, guidato ancora una volta da Benjamin Netanyahu e soprattutto con la nomina del leader dell’estrema destra, Itamar Ben-Gvir, come ministro della sicurezza nazionale. Ben-Gvir ha l’obiettivo, dichiarato più volte in campagna elettorale, di rimettere in discussione lo status quo in vigore dopo la conquista di Israele dei Territori palestinesi e di Gerusalemme Est nel 1967, ovvero il divieto per gli ebrei di pregare sulla spianata delle moschee, nel luogo dove, circa duemila anni fa, sorgeva il tempio distrutto dai romani. All’inizio di questo nuovo anno, era il 3 di gennaio, Ben-Gvir attorniato da agenti di sicurezza, si è recato sulla spianata delle moschee, terzo luogo sacro dell’Islam e uno dei siti più problematici della terra, trascinando Israele in una tempesta diplomatica, di cui il primo ministro Netanyahu avrebbe volentieri fatto a meno. «Ho voluto sfidare gli islamisti di Hamas», ha detto. A dare man forte al ministro Ben-Gvir è intervenuto un deputato del suo partito che ha dichiarato che «l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi è “definitiva”». Dunque, stando alle sue parole, si tratta di un’annessione (pur non dichiarata) che seppellisce definitivamente l’ipotesi dei due stati.

Che la politica del governo israeliano non sia accettata dalla società è dimostrato dalle proteste che si susseguono. La riforma giudiziaria sta creando una spaccatura profonda e pericolosa, nel tessuto sociale e democratico del popolo israeliano. Sabato sera oltre ottantamila manifestanti sono scesi in piazza in molte città, da Gerusalemme ad Haifa, da Tel Aviv a San Giovanni d’Acri. Perfino il presidente israeliano Isaac Herzog ha alzato la voce e usato parole inequivocabili: «Siamo alle prese con un profondo disaccordo che sta lacerando la nostra nazione» - ha dichiarato. Ma il primo ministro Netanyahu tira dritto, forte del voto popolare che lo scorso novembre lo ha nuovamente portato alla guida del governo.

È in questo clima che il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, arriva in Israele, dove incontrerà Netanyahu, per essere poi a Ramallah, Cisgiordania, per un colloquio con Abu Mazen. Quella di Blinken è la seconda visita a Gerusalemme di un alto esponente dell'Amministrazione Biden dall'insediamento del nuovo governo. La prima pochi giorni fa è stata quella del consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan.