Elezioni regionali, schieramenti lacerati e intese lontane
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Le elezioni regionali in arrivo rischiano di trasformarsi in un lungo e logorante spezzatino elettorale, che potrebbe tenere il Paese ostaggio di una campagna permanente per tutto l’autunno.

Le elezioni regionali in arrivo rischiano di trasformarsi in un lungo e logorante spezzatino elettorale, che potrebbe tenere il Paese ostaggio di una campagna permanente per tutto l’autunno. Si parte ufficialmente il 5 e 6 ottobre con il voto in Calabria, ma il calendario ancora in via di definizione e la volontà di molte Regioni di non accorpare le consultazioni rischiano di generare un effetto a cascata, con una regione al voto quasi ogni fine settimana.
Questo scenario, oltre a rendere complesso il coordinamento tra i partiti, impedisce anche che uno dei due schieramenti – centrodestra o centrosinistra – possa intestarsi in modo netto una vittoria complessiva o, al contrario, sia costretto ad ammettere apertamente una sconfitta. Le valutazioni verranno così diluite e il quadro politico nazionale potrebbe rimanere in sospeso per settimane, se non per mesi.
All’interno dei due fronti principali, però, è già evidente come le tensioni sulle candidature e le alleanze regionali stiano mettendo a dura prova la tenuta delle coalizioni. A partire dal centrosinistra, le situazioni più complesse si registrano in Puglia, Marche, Campania e Veneto. In Puglia, ad esempio, il nome più forte in campo sarebbe quello di Antonio Decaro, ex sindaco di Bari e attuale europarlamentare del Partito Democratico, che gode di un largo consenso personale e che potrebbe garantire la continuità di governo per lo schieramento progressista. Tuttavia, Decaro ha posto condizioni nette: non intende candidarsi se nelle liste del centrosinistra figureranno, come semplici candidati consiglieri, l’attuale presidente della Regione Michele Emiliano e l’ex governatore Nichi Vendola. Decaro teme di essere commissariato politicamente dai due, in particolare da Emiliano, che ha sempre mantenuto una forte influenza sulla macchina del partito e sulle dinamiche regionali. La sua disponibilità a correre per la guida della Regione è quindi appesa a un compromesso delicato. In assenza di un nome di peso come il suo, il centrosinistra, pur favorito nei sondaggi, rischia di trovarsi in difficoltà.
La situazione nelle Marche è altrettanto fluida e potenzialmente esplosiva. Il centrosinistra ha puntato su Matteo Ricci, europarlamentare, come candidato unitario, ma la sua posizione è appesantita da una vicenda giudiziaria in corso. Se il suo coinvolgimento nelle inchieste dovesse aggravarsi o avere sviluppi negativi nelle prossime settimane, il Movimento 5 Stelle, che ha accettato con riluttanza l’alleanza, potrebbe ritirare l’appoggio, lasciando Ricci isolato e riaprendo il campo al centrodestra, dove l’attuale presidente Francesco Acquaroli – esponente di Fratelli d’Italia – punta alla riconferma con il vento in poppa. Anche qui, dunque, lo scenario resta incerto e fortemente condizionato dalle decisioni della magistratura e dalle evoluzioni interne del campo largo.
In Campania, la grana principale riguarda la convivenza difficile tra il M5S e il PD. Il candidato naturale sarebbe Roberto Fico, ex presidente della Camera e figura di spicco del Movimento, che godrebbe di un buon margine di consenso, soprattutto a Napoli. Tuttavia, la sua candidatura è legata a doppio filo alle dinamiche interne al Partito Democratico campano, dove è in corso una trattativa delicata: Elly Schlein dovrebbe assegnare la guida del partito regionale a Piero De Luca, figlio dell’attuale governatore Vincenzo De Luca. Quest’ultimo, ormai da tempo in rotta con la segretaria nazionale, minaccia di muoversi autonomamente qualora il figlio non venisse investito del ruolo politico. In quel caso, non è da escludere che De Luca senior possa creare una propria lista civica e appoggiare – direttamente o indirettamente – il candidato del centrodestra, in aperta rottura con il campo progressista. Una simile eventualità rappresenterebbe una scossa profonda per l’intera coalizione e metterebbe seriamente a rischio la tenuta dell’alleanza a livello nazionale.
Sul fronte del centrodestra, le divisioni principali si concentrano in Veneto, dove Luca Zaia – governatore uscente e figura carismatica della Lega – ha fatto sapere di voler costruire una propria lista personale, autonoma dai partiti tradizionali della coalizione. Un’operazione che potrebbe riequilibrare i rapporti di forza interni al centrodestra ma che al tempo stesso rischia di creare tensioni con Fratelli d’Italia, che punta a rafforzare la propria presenza in tutte le Regioni e guarda con crescente fastidio alle mosse di Zaia, considerato troppo indipendente. La scelta del governatore veneto potrebbe anche avere ricadute nazionali: una lista Zaia di successo potrebbe rilanciare le ambizioni personali dell’attuale governatore del Veneto e modificare gli equilibri interni alla Lega, mettendo in difficoltà la leadership di Matteo Salvini, già in calo nei sondaggi.
In Calabria, dove si aprirà il calendario elettorale, la situazione è relativamente più stabile, con il centrodestra pronto a ricandidare il governatore uscente Roberto Occhiuto e un centrosinistra ancora alla ricerca di un nome credibile da opporgli. Ma anche qui le incognite non mancano, a cominciare dall’eventualità che una parte del centrosinistra scelga di non convergere su un candidato unitario, spianando di fatto la strada alla conferma del centrodestra.
In sintesi, il panorama delle regionali autunnali si presenta estremamente frammentato, con forti tensioni e divisioni in entrambi gli schieramenti. Il centrosinistra si trova a fare i conti con personalismi, veti incrociati e il difficile equilibrio tra PD e Movimento 5 Stelle, che a livello nazionale si dicono alleati ma che sul territorio faticano a trovare candidati comuni e programmi condivisi.
Il centrodestra, pur apparentemente più compatto, deve invece fare i conti con le ambizioni personali dei suoi governatori uscenti e con una crescente competizione interna tra Fratelli d’Italia e Lega. Il rischio concreto è che ogni Regione diventi un caso a sé, svincolato da una lettura nazionale coerente, e che si crei un clima di campagna elettorale permanente in grado di logorare i partiti, di confondere gli elettori e di rendere difficile la governabilità. L’autunno che si apre, insomma, non sarà solo una stagione di voto, ma una lunga partita a scacchi in cui le mosse locali potrebbero influenzare equilibri molto più ampi su base nazionale.