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IL CASO

Dopo il terremoto, è la crisi demografica a minacciare la rinascita dei comuni colpiti

Nel dibattito sulla ricostruzione dei paesi terremotati, c’è un fattore che viene da tutti ignorato e che pure è la vera ipoteca sul futuro: la crisi demografica. Amatrice, Monteleone, Arquata: la popolazione più numerosa è quella ultra 75enne e i giovani sono quasi la metà della media nazionale, già molto bassa. Ricostruire allora significa non soltanto fornire nuove abitazioni, ma pensare a misure che favoriscano la permanenza dei giovani e la natalità.
- SICUREZZA DELLE CASE? ECCO COME, di Francesco Ramella

Cronaca 29_08_2016
Il terremoto ad Amatrice

Mentre si scava ancora tra le macerie e la terra non smette di tremare, nelle zone comprese tra Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo colpite dal terremoto del 24 agosto si parla già – e giustamente - di ricostruzione. E, come sempre, si confrontano le diverse scuole di pensiero: ricostruire nello stesso posto, rispettando la struttura originaria del paese, o in luogo più sicuro, magari poco distante ma decisamente una realtà nuova? Privilegiare l’identità del luogo, con i tempi che questo comporta, o la rapidità nella riconsegna di case sicure? Iniziare dal centro storico o dalle periferie? Amatrice, il comune più colpito con 229 morti accertati sui 290 totali, ha già fatto la sua scelta: il sindaco Giuseppe Pirozzi ha annunciato che le nuove abitazioni saranno costruite accanto a quelle distrutte, verrà ricreato l’originale centro storico e il lavoro comincerà dalle frazioni (ce ne sono ben 68). Altri comuni forse faranno altre scelte, ma pensando alla ricostruzione c’è un fattore che viene da tutti ignorato o sottovalutato e che pure è la vera ipoteca sul futuro di questi paesi: ovvero la crisi demografica. 

Perché ciò su cui non si riflette abbastanza è il fatto che per far rivivere un paese – grande o piccolo che sia – non basta ricostruire le case, ci vogliono abitanti che abbiano sufficienti motivi per viverci, per costruirci il loro futuro, per progettare uno sviluppo dell’area. C’è bisogno di una progettualità e di uno slancio che necessita di una popolazione giovane, capace di immaginare e dare corpo a un futuro. 

Già, ma i giovani purtroppo non ci sono. È qui, in queste zone e in occasione di un evento tragico come il terremoto, che vengono i nodi al pettine di una realtà italiana da decenni votata al suicidio demografico. E se a livello nazionale la situazione è drammatica, in queste zone colpite dal terremoto il dramma è all’ennesima potenza.

Se prendiamo come riferimento i maggiori comuni colpiti dal terremoto (Amatrice, Accumoli, Montereale, Arquata del Tronto) possiamo avere un quadro realistico della situazione. Partiamo dall’Indice di invecchiamento, ovvero il rapporto tra ultra-65enni e under 14: in Italia è di 151,4 (cioè ci sono 3 anziani per ogni due ragazzi) contro una media nell’Unione Europea di 116,5. Peggio di noi nella UE c’è solo la Germania con 158,4. Ebbene in questi quattro paesini l’Indice di invecchiamento varia dai 271,03 di Montereale ai 380,56 di Arquata del Tronto. E non è che parliamo di grandi paesi: il più popoloso – prima del sisma – era Amatrice con 2.660 abitanti, seguito da Montereale (2.633), Arquata (1.224), Accumoli (676).

In tutti e quattro i comuni la popolazione con meno di 18 anni varia tra il 10 e il 12% (il 18,8% è il dato nazionale) e tende a diminuire, vale a dire che i giovani rappresentano davvero una parte marginale, mentre gli ultra75enni sono in tutti i comuni la fascia di età più numerosa: erano il 17,58% a Montereale, il 18,53 ad Amatrice, il 19,38 ad Accumoli e addirittura il 20,92 ad Arquata del Tronto. In Italia è l’11,3%. Aggiungiamo che, ampliando l’orizzonte notiamo che, sempre in questi quattro comuni, gli ultra 55enni sfiorano la metà della popolazione totale. E possiamo facilmente intuire che con tutto ciò che il dopo-terremoto comporta - dai tempi tecnici necessari per la ricostruzione al riavvio delle attività - tale rapporto possa solo peggiorare perché almeno parte dei giovani sarà spinta dalle circostanze a cercare opportunità altrove.

I dati perciò sono impietosi: il terremoto – anche se è doloroso dirlo - ha distrutto paesi già agonizzanti. E a maggior ragione non basterà ricostruire le case per riportarli in vita. O meglio: le abitazioni sono necessarie e nei tempi più brevi possibili, ma ricostruire significa anche pensare a una serie di misure che favoriscano sia la permanenza dei giovani sia la natalità. Altrimenti le case ricostruite con grandi investimenti pubblici saranno destinate ad essere abbandonate nel giro di pochi anni.