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Consenso informato

Ddl Valditara, l’avversione della sinistra ha radici antiche

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Approvato in commissione alla Camera un nuovo importante passaggio del Ddl sul consenso informato: anche alle medie sarà vietata la cosiddetta educazione sessuale. Le critiche dalla sinistra hanno radici antiche: l’odio alla famiglia (vedi Engels-Marx) e la rivoluzione sessuale.

Famiglia 21_10_2025

Mercoledì 15 ottobre, la Commissione Cultura della Camera ha approvato il disegno di legge Valditara sul consenso informato in merito all’educazione sessuale e affettiva, aggiungendo un punto importante: oltre che alla materna e alle elementari, anche alle medie l'educazione sessuale sarà vietata. Rimangono ferme le altre indicazioni: per le superiori è previsto l’obbligo del consenso scritto dei genitori, inoltre le scuole devono informare i genitori sulla natura dell’iniziativa, i suoi scopi, i materiali didattici adottati e i soggetti terzi coinvolti. In questo ultimo caso affinché associazioni, gruppi, eccetera, possano mettere piede a scuola occorreranno il via libera del collegio dei docenti e del consiglio di istituto e l’indicazione previa dei criteri di selezione dei soggetti invitati (avevamo già scritto sul contenuto di questo Ddl a suo tempo). Prossimi passi del Ddl: voto nell’aula della Camera e poi il testo passerà al vaglio del Senato.

Naturalmente non si sono risparmiate critiche a sinistra in merito a questo Ddl: retrivo, bigotto, di stampo medioevale, restrittivo dell’autonomia scolastica, etc. Rossano Sasso, capogruppo leghista in Commissione Cultura e relatore del Ddl Valditara, ha rispedito le critiche ai mittenti affermando che si tratta di un testo di «buon senso». Un disegno di legge nato dal fatto che si sono verificati «troppi episodi di tentativi di indottrinamento da parte di attivisti di estrema sinistra Lgbt». Sasso ha poi ricordato che per gli alunni di elementari e medie, seppur esclusi dall’educazione sessuale, è prevista comunque una didattica centrata sulle relazioni interpersonali, sull’empatia e sul rispetto reciproco.

Fin qui la cronaca politica. Ora domandiamoci: perché così tanto livore da parte dell’anticultura progressista per questo Ddl? I motivi sono plurimi e di antica data. Ne vogliamo qui indicare solo due. In primo luogo la kultura di matrice levantina odia la famiglia. Friedrich Engels (1820-1895), uno dei padri ignobili del comunismo, sosteneva che la famiglia monogamica, per un certo processo economico che l’avrebbe investita, sarebbe felicemente scomparsa (cfr. L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Editori Riuniti, Roma, 1963, pagg. 101-103). Lontano dall’essere un istituto di diritto naturale, per Engels la famiglia e il matrimonio sono solo sovrastrutture frutto del capitalismo, realtà sociali generatrici di diseguaglianze (l’uomo domina sulla donna e i genitori sui figli), ma destinate a scomparire a favore delle libere unioni. La famiglia è dunque una mera convenzione denotata da forte ipocrisia: «Il matrimonio […] è sempre un matrimonio di convenienza. Questo matrimonio di convenienza si trasforma abbastanza spesso nella più crassa prostituzione […] Per tutti i matrimoni di convenienza valgono le parole di Fourier: “Come in grammatica due negazioni costituiscono un’affermazione, così nella morale matrimoniale due prostituzioni fanno una virtù”» (cfr. Ib. pp. 109-110).

Va da sé che, secondo Engels, i bambini dovrebbero essere allontanati dalla famiglia, da questo luogo essenzialmente pernicioso. Nel suo scritto Principi del comunismo, il filosofo è molto chiaro su chi deve educare i figli: «Istruzione di tutti i bambini, dal momento in cui possono lasciare la cura della madre, in istituti nazionali a spese nazionali» (n. 18, 8). Nel Manifesto del Partito Comunista del 1848, in modo analogo, si può leggere: «Abolizione della famiglia! […] Ci rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei figli da parte dei genitori? Confessiamo questo delitto. […] I comunisti […] strappano l'educazione all'influenza della classe dominante» (cap. II).

Il secondo fattore che porta al rifiuto del disegno di legge di Valditara è la rivoluzione sessuale. L’educazione sessuale statale è sostanzialmente improntata ad una prospettiva ludica-sanitaria. Wilhelm Reich (1897-1957), psicoanalista che tentò di coniugare Freud con Marx, nel libro La rivoluzione sessuale vedeva nel libertinaggio una chiave per smontare la struttura sociale oppressiva: la rivoluzione sessuale diventava un fattore politico, diventava un elemento centrale della lotta politica. La sessualità descritta da Reich non è rispettosa della dignità personale, ma votata alla dissoluzione. È la vecchia tesi del marchese de Sade (1740-1814): l’eros non deve conoscere limiti, perché ogni limite è sopruso. In modo analogo, per Reich ogni costrizione morale o sociale a danno della naturale forza centrifuga delle energie sessuali provoca nel soggetto frustrazione e viene intesa come castrante la libertà individuale. Dunque qualsiasi insegnamento, anche scolastico, intento a ravvisare un ordo nella sessualità, ossia una sua intrinseca finalità, e a indicare quindi alcuni limiti e norme morali è inteso da Reich come oppressivo e perciò ideologico: «Ogni ordine sociale che sopprime la vita sessuale naturale dei suoi membri è costretto a crearne la sostituzione ideologica per poter sopravvivere» (La rivoluzione sessuale, Sugarco, 1974, p. 31); «L’educazione sessuale repressiva non elimina gli impulsi, ma li devia in forme di sottomissione e di odio» (Psicologia di massa del fascismo, Sugarco, 1973, p. 124). L’omosessualità intesa come naturale variazione dell’orientamento sessuale si inserisce in questa tesi che interpreta qualsiasi pulsione sessuale come buona per il semplice motivo che è stata sperimentata o che è sorta spontaneamente.

L’avversione odierna al Ddl Valditara ha quindi radici antiche e molto ben radicate nella coscienza collettiva: un’avversione verso la famiglia ritenuta incapace di volere realmente il bene dei figli e una pansessualità che legittima ogni appetito sessuale, omosessualità compresa.



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