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STORIE MONDIALI

Dalic, il Ct croato che stringe il rosario in campo

Zlatko Dalic fu ministrante nella chiesa vicino a casa quando mostrare la fede cattolica era motivo di persecuzione. Da grande fece la guerra ed è convinto che la croce vada portata «con fortezza» e che «Dio è presente quotidianamente nella mia vita». Così il Ct tiene la mano destra in tasca per stringere il rosario benedetto a Medjugorje e con la sinistra dà indicazioni ai giocatori.

Sport 10_07_2018

Nella vita non sempre i mali vengono per nuocere. Per la nazionale croata di calcio, che mercoledì sera a Mosca contenderà all'Inghilterra il passaggio alla finale del Campionato del Mondo in corso in Russia, questo ”male“ si materializzava lo scorso 6 ottobre al 91° minuto della partita contro la Finlandia, penultima nella classifica del girone, quando il finlandese Soiri pareggiava il gol del vantaggio di Mandzukic. In questo modo la Croazia perdeva il primo posto del girone, quello che qualificava direttamente ai mondiali, a vantaggio dell'Islanda, e veniva raggiunta in classifica al secondo posto dall'Ucraina, con il rischio assai concreto di perdere anche il secondo posto necessario a disputare il turno di play-off che concedeva un ulteriore posto per i mondiali.

Con una squadra in evidente crisi tecnica e di gioco, scossa dalle perduranti e violentissime polemiche dello Hajduk di Spalato e della sua tifoseria contro la Federazione Calcio croata, accusata di favorire la Dinamo di Zagabria e di essere succube del padre-padrone di quest'ultima, Zdravko Mamic, al presidente della Federazione Croata di calcio, Davor Šuker, non rimaneva che il classico metodo per scuotere la squadra, vale a dire licenziare l'allenatore, Ante Čačic, e sperare che in Ucraina, di lì a tre giorni, la squadra strappasse almeno il pareggio necessario per giungere ai play-off.

Senza saperlo, Šuker estraeva dal cilindro la soluzione per risolvere la crisi della nazionale, scegliendo come nuovo tecnico provvisorio il semi-sconosciuto Zlatko Dalic, che negli ultimi anni aveva allenato con discreto successo squadre di calcio nella penisola arabica. Da una parte, avendo Dalic giocato in carriera ad alcune riprese nello Hajduk, Šuker tacitava le polemiche provenienti da Spalato, e trovava un tecnico capace di risollevare il morale e di ridare unità e coscienza nei propri mezzi a una squadra piena di talenti calcistici ma con il morale sotto i tacchi.

Mentre infatti la Federazione cercava febbrilmente un “vero” tecnico – tra gli altri veniva contattato anche Carlo Ancelotti - Dalic, assunto “a gettone” per strappare almeno il pareggio in Ucraina, riusciva nel miracolo e la Croazia batteva l’Ucraina di Andriy Shevchenko per 2-0 con un secondo tempo da dominatrice assoluta. L'entusiasmo popolare costringeva Šuker a confermare Dalic anche per i play-off con la Grecia, e grazie alla qualificazione ottenuta dalla vittoria di 4-1 in casa e allo 0-0 in trasferta, con due prove assai convincenti dal punto di vista del gioco e del carattere, Dalic riceveva la meritata conferma del ruolo di commissario tecnico che avrebbe guidato la Croazia ai mondiali.

Nato a Livno, in Bosnia, il 26 ottobre 1966, Dalic è stato un calciatore di media levatura, e ha indossato le maglie dello Hajduk di Spalato, del Cibalija di Vinkovci, del Buducnost di Podgorica, in Montenegro, del Velež di Mostar e del Varteks di Varaždin. Mentre giocava per il Velež scoppiò la guerra in Bosnia, e venne arruolato dallo HVO, l'esercito croato di Bosnia-Erzegovina. Essendo nativo di Livno, venne aggregato alla difesa di quella città dagli attacchi dei serbi di Bosnia guidati dal generale Ratko Mladic – Livno, situata nella Bosnia centro-occidentale non lontano dal confine con la Croazia, era strategicamente importantissima poiché da lì i serbi avrebbero potuto attaccare e bombardare senza problemi Spalato e l'entroterra dalmata.

Dalic non ebbe compiti di combattimento, bensì di supporto logistico, guidando i camion che portavano viveri alle truppe impegnate sulla linea del fronte. Tre mesi dopo Dalic fu congedato a seguito della chiamata dallo Hajduk ad allenarsi con la squadra spalatina. Non fu tesserato da questa società, dove aveva già giocato in gioventù, e si trasferì al Varteks di Varaždin, dove terminò la carriera di calciatore e successivamente iniziò quella di tecnico e di dirigente. Con la sua guida tecnica, nel 2005 il Varteks giunse al terzo posto del campionato croato. Dopo avere allenato, in seguito, il Rijeka di Fiume, la Dinamo Tirana, lo Slaven Belupo, squadra di Koprivnica, in Croazia, sì trasferì nella penisola arabica fino alla chiamata di Šuker a guidare per una partita la nazionale croata, rimanendo nel ruolo di Commissario Tecnico a furor di popolo grazie ai risultati ottenuti.

Zlatko Dalic è cattolico praticante, e in lui trova espressione la forte fede di un popolo, quello croato di Bosnia, provato da secoli di persecuzione, e che i tragici eventi della guerra degli anni novanta del secolo scorso non solo non hanno scalfito, bensì rafforzato. Fin da piccolo egli fu ministrante nella chiesa francescana vicino casa a Livno, in tempi, quelli del comunismo titino, nei quali mostrare pubblicamente la fede cattolica era spesso motivo di persecuzione, sia a scuola sia sul lavoro. Con un credo provato al crogiuolo di un ambiente ostile e poi della guerra, non destano sorpresa la profondità e la fede con le quali Dalic guarda alle cose della vita e l’umiltà che pratica e raccomanda spesso ai suoi giocatori.

Ciascuno di noi, ha detto Dalic in un’intervista a Glas Koncila, settimanale ufficioso dell’Arcidiocesi di Zagabria, in un modo o nell’altro porta la sua croce. Vengono momenti difficili, e l’uomo non deve arrendersi, lasciarsi affondare, cadere. Tuttavia, «solo con la fede l’uomo può tornare in modo più qualitativo sulla strada giusta. E’ necessario portare la croce nel modo più dignitoso possibile, portarla con fortezza e forza. Nelle situazioni che sembrano senza uscita, si trova una soluzione, tuttavia è necessario credere».

Il Ct croato confessa di essersi perso, in passato, dietro cose poco importanti. Ora, dice, «comprendo che l’uomo deve consacrarsi alla famiglia e non solamente correre dietro al lavoro e ai soldi». Egli afferma che «Dio è presente quotidianamente nella mia famiglia e nella mia vita,… e per tutto ciò che ha fatto nella mia vita posso ringraziare la fede e il buon Dio». Quando viene inquadrato dalle telecamere, Dalic assume talvolta una posa un po' strana, ha cioè la mano destra in tasca e con la mano sinistra dà indicazioni ai suoi giocatori. Lo stesso CT croato fornisce la spiegazione di questo fatto: «Il rosario è sempre con me, e quando mi sento un po' agitato, metto la mano in tasca, stringo il rosario, e tutto diventa più semplice».

Dal discorso complessivo che Dalic fa a proposito della sua fede, comprendiamo come quel rosario che ha detto di avere sempre con sé, benedetto a Medjugorje (luogo dove si reca a pregare e dove è andato prima di partire per la Russia), non sia per lui una sorta di amuleto usato con superstizione, né si tratta, in questo caso, di una preghiera per vincere la partita. Lo stringerlo in mano è invece il segno concreto con il quale egli, per l’intercessione di Maria, si affida con fede al Signore in ogni momento della sua vita, anche professionale, per farsi guidare e trovare la pace interiore nei momenti di maggiore agitazione.

La lezione che viene da Dalic è che le partite si possono vincere e si possono perdere; tuttavia, la vera vittoria è quella di ammettere la nostra piccolezza e affidarci a Dio, che con amore di Padre, ci guida in ogni momento e attraverso le circostanze della vita che ciascuno di noi si trova ad affrontare, lungo il cammino che un giorno, se lo vorremo, ci porterà alla salvezza eterna.