D'Alema in Cina strizza l'occhio agli autocrati anti-occidente
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Giudicata inopportuna la presenza dell'ex premier ex comunista alla parata del regime cinese con i leader di Russia, Bielorussia, Iran e Corea del Nord. E se voleva lanciare un messaggio di pace, ha sortito l'effetto opposto.

Le immagini arrivate da Pechino hanno fatto il giro del mondo e non sono passate inosservate nemmeno in Italia: Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio, ex segretario del Pds e poi dei Ds, unico rappresentante italiano alla parata militare organizzata dal regime cinese per celebrare l’80° anniversario della vittoria contro l’occupazione giapponese e la fine della Seconda guerra mondiale. Un evento, quello svoltosi nella monumentale Piazza Tienanmen, che ha visto la presenza fianco a fianco di Xi Jinping, Vladimir Putin, Kim Jong-un, Aleksandr Lukashenko, l’iraniano Masoud Pezeshkian e altri leader di regimi autoritari, riuniti in quella che molti analisti hanno letto come una dimostrazione di forza, un segnale chiaro di compattamento del fronte anti-occidentale.
In questo scenario è comparso anche il volto di D’Alema, intervistato da una televisione cinese mentre, con un badge al collo e una certa enfasi retorica, dichiarava: “Dobbiamo avere la forza della memoria di una lotta eroica come fu quella del popolo cinese, così importante non solo per la Cina ma per tutta l’umanità per la sconfitta del nazismo e del fascismo... Viviamo un momento difficile per le relazioni internazionali. Io spero e confido che da Pechino venga un messaggio per la pace, per la cooperazione, per il ritorno di uno spirito di amicizia tra tutti i popoli e che sia posta fine alle guerre che purtroppo insanguinano in modo così tragico i diversi paesi del mondo”.
Parole altisonanti, pronunciate nel cuore di un evento celebrativo che però ha avuto ben poco di pacifico, caratterizzato invece da una chiara retorica militarista e di contrapposizione all’Occidente.
Il cortocircuito, evidentemente, è stato immediato e le polemiche hanno investito l’ex leader della sinistra italiana con una rapidità travolgente. A partire da Carlo Calenda, leader di Azione, che ha dichiarato: “È grave che un ex presidente del Consiglio vada a Pechino per celebrare la nascita del fronte antioccidentale. D’Alema va a omaggiare Putin, Kim Jong-un e Xi Jinping. Mentre ragazzi muoiono in Ucraina per difendere la loro e la nostra libertà”.
Gli ha fatto eco Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera: “È inaccettabile la sua presenza lì, specie in un momento in cui l’Occidente, che Giorgia Meloni sta faticosamente cercando di tenere unito, viene apertamente sfidato da questi tre leader autocrati, che addirittura propongono un nuovo ordine mondiale basato su valori ben lontani dalla libertà, dalla democrazia e dal rispetto dei diritti umani”.
Per Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, “a volte i fantasmi del passato ritornano. Non potendo far rinascere Mao Tze Tung hanno portato una copia di Massimo D’Alema nella piazza di Pechino. È incredibile”. Ironia anche da parte di Marco Dreosto, senatore della Lega: “Proprio quel Pd che per anni ha provato a dare lezioni di morale alla Lega e al centrodestra, oggi si ritrova rappresentato in prima fila in uno dei palcoscenici più discussi del mondo”. Ivan Scalfarotto, senatore di Italia Viva, è laconico: “Non ho parole”. Debora Bergamini, vice segretaria nazionale di Forza Italia, ha parlato di “indignazione”, evidenziando che la parata ha rappresentato “una saldatura tra dittature che ha visto in questi giorni un’accelerazione”.
In questo contesto, le parole di D’Alema sul popolo cinese “fondamentale per la sconfitta del nazismo e del fascismo” sono apparse a molti non solo infelici, ma anche storicamente inopportune, se non addirittura frutto di ignoranza. Si è fatto notare, infatti, come il contributo militare cinese alla guerra contro il nazifascismo in Europa sia stato marginale, mentre quel palco, con la presenza dei principali autocrati globali, ha mandato tutt’altro che un messaggio di pace. Eppure, non si tratta di una improvvisa simpatia per la Cina: da anni ormai D’Alema strizza l’occhio a Pechino, sia per motivi ideologici sia, come sottolineano alcuni osservatori, per ragioni economiche.
Attraverso la sua società di consulenza DL&M Advisor, attiva nei processi di internazionalizzazione verso i mercati esteri, compreso quello cinese, e tramite la fondazione della società Silk Road Wines, dedita all’esportazione di vino italiano in Cina, D’Alema ha costruito legami importanti con ambienti vicini al Partito comunista cinese. Già più di un anno fa aveva partecipato al Forum Internazionale sulla Democrazia organizzato proprio dal Comitato Centrale del PCC. Non stupisce, quindi, la sua presenza in prima fila nella tribuna d’onore. Ma fa sicuramente effetto ricordare il D’Alema di un tempo, quello che nel settembre del 2001, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, dichiarava: “Ci sentiamo tutti americani oggi. Siamo tutti sotto attacco perché l’America è casa nostra”, parole pronunciate in un’intervista a Panorama, titolata in copertina “Americano e me ne vanto”. In quei giorni difficili, D’Alema sfidava apertamente l’antiamericanismo della sinistra, mostrando una visione atlantista e una vicinanza politica agli Stati Uniti guidati da George W. Bush e Dick Cheney, il cuore dell’Occidente aggredito dal terrorismo islamista.
Oggi quello stesso D’Alema appare lontanissimo, quasi irriconoscibile, nei gesti e nelle parole. Il “leader Maximo”, una volta stimato anche da un democristiano eretico come Francesco Cossiga, è diventato il rappresentante di una sinistra che non solo ha abbandonato l’orizzonte atlantico, ma che ora guarda con benevolenza, quando non con ammirazione, a regimi autoritari. Qualcuno ricorda anche le sue ambiguità passate, dal dialogo con Hezbollah alla vicinanza con ambienti opachi legati alla compravendita di mascherine durante la pandemia, indagine per la quale fu ascoltato come persona informata sui fatti, senza che gli venissero contestati reati.
Quel che è certo è che la sua parabola personale e politica conferma un dato inquietante: l’ex comunista che osò sfidare la propria parte nel nome dell’Occidente, oggi si ritrova a Pechino a omaggiare Xi Jinping e a evocare la pace circondato da chi la pace la calpesta quotidianamente. E se l’intento era quello di lanciare un messaggio distensivo, il risultato è stato esattamente l’opposto: in un momento in cui l’Europa è attraversata da tensioni gravissime, vedere un ex capo di governo italiano omaggiare il nuovo asse autoritario mondiale, accanto a Putin e Kim Jong-un, ha rappresentato per molti un segnale inquietante, quasi una legittimazione simbolica di quella sfida lanciata all’Occidente che rischia di spaccare in due il mondo. E chissà se davvero D’Alema pensava che da quel palco potesse partire un messaggio di pace. Per ora, è partito solo un fiume di polemiche.