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VENEZUELA

Dal regime di Maduro un fiume di criptovalute per affari sporchi

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Il regime di Maduro in Venezuela sta trafficando criptovalute, anche di sua creazione, per aggirare le sanzioni e alimentare un'economia parallela. E torna alla mente quanto emerso negli anni scorsi: il finanziamento ai partiti amici, fra cui il M5S.

Esteri 10_11_2025
Nicolas Maduro (La Presse)

Le criptovalute sono diventate uno strumento centrale nel sistema economico parallelo costruito dal governo di Nicolás Maduro per aggirare le sanzioni internazionali e mantenere in vita una rete di potere fondata sulla gestione opaca delle risorse pubbliche. È quanto emerge dal nuovo rapporto pubblicato da Transparencia Venezuela, che documenta l’uso sistematico di valute digitali tra il 2017 e il 2025 per deviare miliardi di dollari provenienti dal settore petrolifero e farli transitare attraverso piattaforme controllate dal regime o da società private autorizzate. L’indagine mostra come le criptovalute, presentate dal governo come simbolo di innovazione e indipendenza economica, siano in realtà servite a costruire un sistema finanziario parallelo, privo di trasparenza e di controlli.

Il punto di partenza di questo meccanismo è stato il Petro, la criptovaluta lanciata nel 2018 e pubblicizzata come la risposta “bolivariana” alle sanzioni. Doveva essere una valuta sovrana, ancorata al valore del petrolio e capace di garantire transazioni internazionali alternative al dollaro. In pratica, però, il Petro non ha mai avuto le caratteristiche di una vera criptovaluta: non era decentralizzato, non aveva un mercato libero e veniva gestito interamente dallo Stato. Più che uno strumento economico si è rivelato un mezzo politico e di controllo, usato per mascherare le vendite di petrolio e occultare la provenienza dei fondi. Dietro questo progetto, secondo il rapporto, si muoveva un gruppo ristretto di funzionari e imprenditori vicini al potere. L’ex vicepresidente e ministro del Petrolio Tareck El Aissami e l’ex sovrintendente delle criptovalute Joselit Ramírez, oggi entrambi indagati, avrebbero guidato quello che gli inquirenti chiamano il “complotto PDVSA-Crypto”. Dove PDVSA sta Petróleos de Venezuela, la compagnia petrolifera statale, cuore del sistema di operazioni finanziarie descritto nel dossier.

Attraverso la Sunacrip, l’ente statale creato per regolare il settore, e altre strutture parallele, come il Cryptoasset Treasury, sarebbero state gestite operazioni per oltre 16 miliardi di dollari in fondi pubblici. Queste risorse venivano poi spostate fuori dai canali ufficiali, rendendo impossibile qualsiasi tracciamento. Quando il Petro è fallito nel 2024, il governo venezuelano non ha abbandonato il sistema, ma lo ha cambiato usando nuove monete digitali chiamate stablecoin. Queste sono valute virtuali il cui valore resta sempre legato a un dollaro, come l’USDC o il Tether (USDT). In pratica, permettono di spostare soldi rapidamente senza attirare troppi controlli. Il governo comprava queste monete a prezzo ufficiale e poi le rivendeva su mercati paralleli, trasformando denaro difficile da tracciare in soldi “normali” e continuando a far funzionare la sua rete economica.

Palacio de Miraflores ha autorizzato società private come Kontigo e Crixto Pay a operare nel settore, creando una rete di intermediari che gestivano transazioni in criptovaluta per importi elevati e con scarsi controlli sull’origine dei fondi. In questo modo, le valute digitali sono diventate un nuovo strumento di riciclaggio: venivano acquistate a tassi ufficiali e rivendute sul mercato parallelo, producendo profitti immediati e trasformando capitali di dubbia provenienza in asset “regolari”. Transparencia Venezuela segnala inoltre il coinvolgimento di alcuni istituti privati, tra cui Bancamiga, Banco Plaza e Banco Activo, accusati di aver facilitato operazioni in contanti fino a 100mila USDC senza verifiche effettive. Tutto ciò, sostiene la ONG, dimostra che il sistema non è mai stato un progetto di modernizzazione finanziaria o di inclusione digitale, ma una strategia per mantenere in funzione il circuito di corruzione che da anni sostiene l’economia politica del chavismo.

La pubblicazione del rapporto arriva a pochi giorni da un’altra notizia che ha riacceso l’attenzione internazionale sui meccanismi finanziari del chavismo. Lo scorso ottobre il quotidiano spagnolo The Objective ha pubblicato uno stralcio di un rapporto confidenziale consegnato nel 2021 all’Audiencia Nacional spagnola, nel quale compaiono le dichiarazioni di Hugo Armando “El Pollo” Carvajal, ex capo dell’intelligence militare venezuelana, oggi sotto processo negli Stati Uniti. In quelle pagine si descrive un sistema di finanziamenti illeciti gestito dal regime chavista per oltre quindici anni e destinato a sostenere movimenti e partiti politici in America Latina ed Europa.

Secondo quanto pubblicato da The Objective, tra i destinatari dei fondi figurerebbero movimenti come Podemos in Spagna e il Movimento 5 Stelle in Italia, insieme a forze politiche affini in Argentina, Bolivia, Brasile e Colombia. Le autorità venezuelane hanno sempre negato ogni coinvolgimento, ma lo stralcio del documento ha riportato alla luce una storia che per anni era rimasta ai margini del dibattito pubblico. Intanto, negli Stati Uniti, la posizione di Carvajal resta al centro dell’attenzione giudiziaria. Estradato dalla Spagna nel luglio 2023, l’ex generale ha ammesso la propria partecipazione al cosiddetto “Cartello dei Soli” e ha accettato di collaborare con la giustizia americana. Un giudice federale del distretto meridionale di New York ha rinviato al 19 novembre la sentenza sul suo caso, dopo che la difesa e l’accusa hanno concordato di proseguire le trattative per la cooperazione dell’imputato.

Secondo fonti citate dai media statunitensi Carvajal avrebbe già fornito informazioni sulle rotte del narcotraffico e sulle connessioni tra alti funzionari venezuelani e gruppi criminali della regione. Tra i nomi menzionati nei documenti figurano anche leader latinoamericani come Néstor Kirchner, Evo Morales, Lula da Silva e Gustavo Petro, indicati come beneficiari indiretti di fondi inviati da Caracas tramite intermediari diplomatici e società di copertura. Una vecchia storia che esige nuove risposte. Almeno dal movimentato Movimento Cinque Stelle.



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