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LA LEGALIZZAZIONE

Da leonkavallini a gattini: così Pisapia paga la cambiale

La giunta di sinistra di Milano si appresta a “legalizzare” il Leoncavallo, lo storico centro sociale dell’antagonismo. Dopo 40 anni di occupazione abusiva, gli ex ribelli potranno fare le loro attività nello stabile acquisito dal Comune. Un colpo di spugna che il sindaco Pisapia aveva promesso in cambio dei loro voti.

Politica 10_03_2015
Il centro sociale Leoncavallo

La delibera-cambiale è da tempo sul tavolo di Giuliano Pisapia, sindaco arancione di Milano, e formalizza un progetto cominciato più di due anni fa: “legalizzare” lo storico  centro sociale Leonkavallo, il primo nucleo della sinistra giovanile antagonista. Un colpo di spugna su 40 anni di illegalità, occupazioni, scontri con la polizia cominciati nel 1975 con i Comitati di caseggiato (Casoretto e Lambrate) che insieme ai collettivi antifascisti, Avanguardia operaia e Lotta continua avevano occupato il primo stabile e poi quello dell’ex cartiere di via Wattau di proprietà della famiglia Cabassi. Allora i leonkavallini adottarono la divisa della tuta bianca, in risposta al primo (e ultimo) sindaco leghista di Milano, Marco Formentini, che li definì «spettri ch vagano per la città». Una storia, all’inizio, ribelle e violenta, fatta di scontri, molotov e guerriglia urbana.  Poi progressivamente più soft e sopportata, con sfratti sempre prorogati, sgomberi annunciati e mai eseguiti. Fino alla bizzarra e inaspettata santificazione che ne fece Vittorio Sgarbi, l'assessore alla Cultura della giunta Moratti, quando definì i murales del centro sociale la «Cappella Sistina della contemporaneità, un luogo d'arte permanente da visitare come la Triennale e il Palazzo Reale». Acqua passata, insieme a Sgarbi.

L’operazione legalità prevede, in cambio dell’attuale palazzo occupato, la cessione alla società L'Orologio del gruppo Cabassi due immobili: un’ex scuola abbandonata dal 1998 e un edificio mai terminato in via Trivulzio 18, proprio di fronte al Pio Albergo (quello che innescò Tangentopoli), di proprietà del Comune. Uno scambio quasi alla pari di sei milioni e 245 mila, tanto è il valore certificato dell'immobile nelle mani del Leoncavallo.  Che alla fine pagherà a Palazzo Marino un affitto a canone molto agevolato. Nella speranza, dice il sindaco Pisapia, «che il centro sociale divenga un laboratorio di buone pratiche sul piano sociale e culturale per la città». “Buone pratiche”? Auspici più da parroco di campagna che da sindaco di Milano. Una “porcata”, van giù piatti i leghisti, mentre il resto dell’opposizione si prepara a una dura guerriglia politica (“sarà il nostro Vietnam”), armati di una pila di dossier e certi della poca trasparenza sullo scambio. Obiezione questa condivisa anche da una parte del Pd. Fuochi d’artificio che non fermeranno certo la “marcia istituzionale” intrapresa dal centro sociale. Non per niente, lo slogan grafittato nel gigantesco murales del Leonka accoglie i visitatori con queste parole: “Qui sono e qui resto”. Una promessa o una minaccia, comunque una profezia avverata. 

Del resto, ragioni per restare i leonkavallini ne hanno a bizzeffe, almeno un milione e 190 mila: tanti sono gli euro fatturati ogni anno dalla loro Spa (Spazio pubblico autogestito), un business da fare invidia a qualsiasi piccolo e medio imprenditore della zona. E con la legalizzazione e la fine della precarietà immobiliare, gli affari prenderanno certamente il volo. Tra i grandi sponsor dell’operazione ci sono noti personaggi della sinistra ex antagonista, ma anche insospettabili benefattori e bei nomi dell’upper class meneghina.  C’è don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria e fondatore di Comunità nuova. Pure lui ha contribuito a progettare il nuovo Leonka che ospiterà un pensionato universitario e di una struttura di accoglienza per rifugiati politici. Poi i laboratori: uno per la fabbricazione di quadri elettrici industriali e un centro agricolo biologico in collaborazione con Slow Food. L’accordo prevede che siano avviati al lavoro i ragazzi di don Gino al Beccaria. E i soldi? Li metteranno due fondazioni e famiglie della borghesia progressista milanese, una di petrolieri con kefiah in puro cashmere, tipo Massimo e Milly Moratti. Tirchia quando c’era da mettere mano al portafoglio per finanziare il restauro del Duomo o rattoppare il tetto della biblioteca Braidense, la gauche caviar s’è rimessa in gioco per dare un futuro ai “ragazzi” di via Wattau. 

Ci sono poi quelli che il futuro se lo sono già guadagnato: ex tute bianche che in pochi mesi sono passati all’auto blu. Come Daniele Farina, leader storico del Leonka, che tra un’occupazione e l’altra ha sempre trovato il tempo di scalare le borghesi vette di una fulminante carriera politica. Prima arruffapopoli dilettante, poi consigliere comunale di Rifondazione è salito fino agli scranni di Montecitorio: rivoluzionario con stipendio fisso e pensione prepagata. Oggi è coordinatore del Sel, partito cui casualmente appartiene anche il sindaco Pisapia. Un altro big spender della causa è Mirko Mazzali, presidente della commissione Sicurezza e consigliere comunale di Sel. E ancora, Paolo Limonta, coordinatore e maestro elementare, il gigante mite e dal sorriso rassicurante che girovagò alle spalle del candidato Pisapia per piazze e mercati. Infine, a completare la triade, Maurizio Baruffi, portavoce nonché capo del Gabinetto del sindaco e grande esperto di droghe, leggere e pesanti (aveva una rubrica sul Manifesto, con luoghi e prezzi)

Cose di un tempo, passato che non tornerà (si spera) più. L’operazione in stile Mastro Lindo di Pisapia ripulisce l’imbarazzante curriculum di uno dei college più prestigiosi della disobbedienza rossa, lo fa uscire dalla clandestinità trasformandolo d’incanto in «luogo di incontro e di servizi» essenziali per la città. Alla fine, tutti ci guadagneranno, tranne i milanesi. Un bell’affare sia per il capitalista Cabassi sia per gli ex ribelli metropolitani. Un capolavoro di furbizia antagonista e di maquillage da sinistra ultra chic che salva capra e cavoli, cioè: le ragioni no global e quelle dei danè.  

E poi, c’è il guadagno “politico”: per la giunta milanese che con questa operazione salda la cambiale firmata in campagna elettorale. E un regalo anche per loro, ex combattenti e reduci di una rivolta finalmente non più incompatibile con i registratori di cassa. Una svolta storica per i leonkavallini, un tempo antagonisti ora gattini mansueti e senza unghie, pronti a fare le fusa per le future battaglie della giunta arancione. Il nuovo corso sancirà una volta per tutte il loro l’ingresso nella buona società della sinistra di governo. Laboratori, atelier artistici, corsi per immigrati con regolare permesso di soggiorno, un mini asilo nido a cura delle nonne, e concerti regolarmente registrati alla Siae con tanto biglietto di ingresso. Il nuovo Leonka Spa comincerà a pagare regolarmente le tasse sul ricco fatturato, a fare campagna elettorale per la nouvelle gauche tsiprariana, rinunciando al target della disobbedienza estrema per cominciare ancora con più lena e professionalità a farsi gli affari suoi.