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ORA DI DOTTRINA / 70 - IL SUPPLEMENTO

Così l’uomo si è legato ai ceppi della tecno-scienza

La società odierna ha piegato tutto alla scienza, fino a credere di dover dipendere dai dati per fondare qualunque affermazione. Si è perso il senso delle cose. La tecno-scienza appare un salvagente: eppure, non ha liberato l’uomo. La scienza è benvenuta e ha il suo posto, che però non è quello di Dio.

Catechismo 28_05_2023

È un fatto: siamo nella trappola. Le uniche discussioni possibili sono quelle a colpi di scienza. Le uniche verità cui aderire sono quelle che citano lo studio “x” e la peer review “y”. Se sia bene farsi il bidè dipende dal fatto se ci siano sufficienti metanalisi. Tutto abbiamo piegato alla scienza e ci sembra persino di fare una cosa di utilità universale attendere il responso della Società dei Medici Pediatri per capire quale sia la temperatura dell’acqua adeguata per il bagnetto del bebè: il dito della mamma non è un parametro scientifico. O ancora, quando dobbiamo attendere, per poter parlare della monogamia, l’oracolo di studi che dimostrino che chi ha una vita sessuale sempre con lo stesso partner si ammala di meno, prova più piacere ed è meno incline alla depressione. Per non parlare di quelli che “la fede fa bene al cuore”.

Le intenzioni sono delle migliori, non v’è dubbio; ma in questo “obbligo morale”, che ci siamo creati, di dipendere dai dati, di fondare scientificamente ogni affermazione, mostriamo semplicemente quanto siamo vicini alla prigionia perpetua. Al punto che nemmeno riusciamo più a cogliere la differenza tra la comprensione di qualcosa e la sua matematizzazione. Siamo tutti convinti che più la matematica è dalla nostra parte, più le nostre asserzioni sono fondate; più mostriamo i grafici e le statistiche e più trasmettiamo correttamente ai nostri simili la verità. In realtà, non stiamo facendo altro che preparare i drappi neri per il prossimo funerale. Di chi? Dell’uomo.

Com’è possibile che non abbiamo più occhi per il senso delle cose, per il significato delle azioni e degli eventi? Che nulla ci parla più, se non ciò che è in grado di mostrare numeri e ricerche? Il corso della scienza è stato per un po’ di tempo parallelo a quello delle tradizioni storiche e culturali, alle religioni, al pensiero filosofico, alle istituzioni; ma ha gradualmente eroso i propri argini, finendo per occupare tutto il terreno disponibile. Ma perché ben pochi hanno gridato - e con scarso successo - all’invasione di campo? Perché in fondo la scienza offriva e offre l’illusione di un punto di condivisione e di sottomissione, capace di tagliare la testa a continue discussioni e contrapposizioni. E quanto più siamo - o percepiamo di essere - in emergenza, tanto più la scienza alza la sua voce, per creare un solo ovile sotto un solo pastore. La scienza sembra unire le menti e le volontà, disorientate e sfibrate da secoli di contrapposizioni ideologiche.

La scienza unisce, mentre le “opinioni” dividono; la scienza è disinteressata, mentre gli uomini hanno molti e non sempre nobili interessi; la scienza è impersonale e dunque oggettiva, mentre gli uomini sono persone e dunque soggettivi, che più soggettivi non si può. La scienza si offre dunque come l’unica forza capace di condurre all’unità il genere umano; e ci è per certi versi riuscita, decisamente più di quanto non sia riuscito il cristianesimo, sempre così divisivo a causa del suo Fondatore.

Il mondo costruito dalla scienza e plasmato dalla tecnica offre così anche la sensazione di essere un mondo più ordinato e più sicuro; certamente più rassicurante dell’alternativa offerta dal nichilismo di un mondo in preda al caso, dopo la morte di Dio. Eppure, anziché tornare a Dio, gli uomini si sono aggrappati a questo salvagente, che è divenuto grande come una nave da crociera, tanto da persuadere i suoi passeggeri che il mondo sia tutto lì. Ma chi ha il coraggio di buttarsi in mare? Chi ha il coraggio di lasciare la sicurezza della nave per affrontare la possibile angoscia delle acque profonde?

Il sistema tecno-scientifico appare inattaccabile: i fatti non riescono a scalfirlo, perché se non c’è oggi la soluzione ad un problema, ci sarà senz’altro domani; l’ignoto appare persino come l’anima della ricerca e quello che chiamiamo “mistero” non è altro che un ambito non ancora sufficientemente esplorato. Certamente, la via d’uscita è di tipo metafisico: ma come si fa a parlare di metafisica in un contesto che ha relegato la metafisica alle fiabe per bambini? Tu parli di metafisica e dall’altra parte ti chiedono di mostrare i dati. E anche se si mostra l’evidenza, che cioè sia uno sfondo metafisico a sorreggere tutto il sistema di quella scienza che vuole relegare la metafisica ad opinione, la coscienza ormai ipnotizzata dice loro: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”.

La tecno-scienza, come sistema chiuso, non ha liberato l’uomo: l’ha svuotato e l’ha reso più schiavo. Che questa dipendenza radicale non sia solo un’idea, lo dimostrano abbondantemente le gestioni delle “emergenze sanitarie”, di quelle climatiche, e di qualsiasi altra cosa appaia all’orizzonte. Ma ancora peggio, adesso la scienza è arrivata a considerare l’uomo schiavo di processi chimici: la libertà altro non sarebbe che il nome dato ai - una volta ignoti - processi neurologici. È l’uomo “oggettivo”, signori.

Olivier Rey ha giustamente fatto notare che «la dimensione degradante di questa dipendenza è il prezzo da pagare per non aver riconosciuto in partenza la non-autonomia della coscienza individuale» (Itinerari dello smarrimento, 287). La coscienza totalmente autonoma è stata il grande inganno con il quale si è promessa la libertà, a colpi di demolizione della legge morale, come partecipazione all’uomo della legge eterna. Abbiamo finto per troppo tempo di non essere depositari, ma proprietari; di non essere amministratori, ma padroni; di non essere responsabili di qualcosa di ricevuto, ma emancipati per una totale creatività. Abbiamo così creato un vuoto: la nostra casa è stata lasciata libera e sono arrivati sette demoni ben peggiori, che l’hanno occupata e hanno legato ai ceppi chi vi abitava.

Dunque, la via d’uscita? Occorre fermarsi, e tornare al reale. Perché i profumi non sono solo molecole, né i suoni solo onde meccaniche; una depressione non è solo un problema chimico, né l’unione sessuale è questione puramente ormonale; la verità non è una legge fisica e la persona non coincide con un accumulo di parametri biometrici. Così, gradualmente, acquisiremo forza e consapevolezza e non ci vergogneremo più di digiunare per amore di Dio e non per perdere peso; di accendere un camino a legna, senza avvertire il senso di colpa di inquinare l’ambiente; di assistere un malato e un bisognoso, anche se delle norme assurde ce lo vietano; di pregare e adorare Dio, anche se qualche idiota, andato nello spazio, se n’è tornato dicendo che non l’ha visto.

La scienza è la benvenuta, ma torni al suo posto. E non pretenda di dire agli uomini quello che possono o non possono fare. Per questo compito, preferiamo Dio.