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CONTRACCEZIONE

Così l'Onu diffonde l'Aids in Africa

I contraccettivi iniettabili distribuiti da Onu e Usaid raddoppiano il rischio di contrarre l'Hiv. Lo rivela una nuova ricerca, che conferma studi precedenti.

Attualità 12_10_2011
iniezione di depo provera
Uno studio condotto in Africa e pubblicato sulla rivista scientifica britannica The Lancet mostra che l’uso di contraccettivi ormonali – soprattutto quelli iniettabili – può raddoppiare il rischio di contrarre il virus Hiv. Questa la notizia rilanciata alcuni giorni fa dalle agenzie, ma che poco spazio ha ottenuto su giornali e tv. E sembrerebbe strano, visto che periodicamente esplodono polemiche sul divieto della Chiesa all'uso del preservativo, per le presunte conseguenze che avrebbe sulla diffusione dell’Aids. Con la differenza che se quelle sul preservativo sono accuse ideologiche e smentite dai fatti, diverso è il caso della ricerca appena pubblicata: si tratta di uno studio su 3.790 coppie eterosessuali, in cui un solo partner è infetto da Hiv; le coppie scelte provengono da sette paesi africani ad alta densità di infezioni Hiv: Botswana, Kenya, Ruanda, Sudafrica, Tanzania, Uganda e Zimbabwe. Le donne che usano contraccettivi ormonali – pillole e iniettabili – registrano il doppio delle probabilità di rimanere infette, ma quasi il totale delle infezioni è dovuto ai contraccettivi iniettabili. Dato confermato dal fatto che tra le donne che erano sieropositive all’inizio dello studio, quelle che usavano contraccettivi iniettabili hanno trasmesso il virus al loro partner maschile in numero doppio rispetto alle altre.

Sembra dunque strano che la notizia non abbia guadagnato le prime pagine dei giornali, come avrebbe meritato se la salute degli africani – e non solo – fosse davvero al cuore dell’interesse di giornalisti, politici ed esperti vari. Anche perché parliamo di numeri ben rilevanti: nel mondo ci sono 140 milioni di donne che usano contraccettivi ormonali, e dei 16 milioni di donne che nell’Africa subsahariana hanno contratto il virus Hiv una larga parte fa uso degli stessi contraccettivi. La scoperta, se confermata, significa dunque che ci sono svariati milioni di persone nei paesi poveri che hanno contratto l’Aids a causa della diffusione di questi contraccettivi.

Ed è qui che viene la parte più interessante - ma sarebbe meglio dire tragica - della questione. Perché la diffusione di questi contraccettivi non nasce dalla “libera” decisione delle donne per quanto male informate, ma dall’imposizione delle organizzazioni internazionali che a partire dagli anni ’60 e ’70 hanno promosso e finanziato durissime campagne di controllo delle nascite nei paesi in via di sviluppo. Parliamo in particolare del Fondo Onu per la Popolazione (UNFPA), l’Agenzia governativa americana per gli aiuti allo sviluppo (USAID), e organizzazioni non governative come l’International Planned Parenthood Federation (IPPF) e il Population Council.

E infatti il nome commerciale del contraccettivo iniettabile ora sotto accusa è Depo Provera, un nome che è sinonimo di uno scandalo internazionale che continua purtroppo a perpetuarsi nel silenzio generale.

Il Depo Provera è una iniezione intramuscolare di progesterone che inibisce l’ovulazione per tre mesi. Basta quindi una iniezione ogni tre mesi per prevenire le gravidanze, con una affidabilità del 98%. Da subito è stata adottata dal potente movimento per il controllo della popolazione, che dagli anni ’50 finanziava ricerche su contraccettivi iniettabili o impiantabili. La difficoltà maggiore nel realizzare un efficace controllo delle nascite nei Paesi del Terzo Mondo è infatti apparsa fin da subito la volontà e la capacità delle donne e delle coppie di mantenere nel tempo l’impegno all’uso dei contraccettivi. Profilattici e pillole sono infatti affidati completamente ai singoli, che quindi possono decidere di non usarli o semplicemente possono dimenticarselo. L’iniezione e l’impianto sottocutaneo permettono di aggirare questo ostacolo, semplificando la procedura  e affidando al medico il controllo della fertilità. Un secondo importante vantaggio del Depo Provera – ovviamente dal punto di vista delle agenzie internazionali – stava nella maggiore accettabilità da parte delle popolazioni del Terzo mondo. In molte regioni povere, infatti, esiste quella che è stata definita una “mistica dell’iniezione”, vale a dire l’iniezione è associata con la medicina moderna, efficace e sicura.

Fin dall’origine dunque, nella sua concezione, il contraccettivo iniettabile è associato a coercizione e violenza. Non stupisce quindi che il Depo Provera sia stato testato e commercializzato (dalla casa farmaceutica americana Upjohn, oggi Pfizer) pur sapendo che aveva gravi effetti collaterali. Non solo, una ricerca presentata nel marzo 2010 dal professor Thomas W. Volscho della City University di New York, dimostra che la sostanza è stata testata per anni su migliaia di donne di colore, usate come cavie sia negli Stati Uniti sia in Africa, inconsapevoli di cosa stessero assumendo. Non solo nei test, anche nell’uso emerge il carattere “razzista” del Depo Provera: ancora la ricerca del professor Volscho, svolta sull’uso negli Stati Uniti, dimostra come sia in modo sproporzionato diffuso tra le donne afro-americane e indo-americane.

Ancora: proprio a causa dei gravi effetti collaterali - emorragie vaginali, aumento di peso, potenziale rischi di cancro al collo dell’utero – per oltre 30 anni (i test sono iniziati nel 1967) la Upjohn si è vista rifiutare l’approvazione dalla Federal and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale americana per i farmaci, arrivata nel 1992 anche per le forti pressioni politiche. La legge prevede che un farmaco che non riceve l’approvazione della FDA non possa – da compagnie americane – essere distribuito all’estero, ma la Upjohn aggirò il divieto producendo il Depo Provera in Belgio e Canada, dove invece il farmaco era stato registrato e approvato come contraccettivo. E prima ancora che fosse approvato negli Stati Uniti, il Depo Provera era già stato distribuito nei Paesi poveri, soprattutto in Africa, in diverse milioni di dosi.

Dal 1994 al 2000 poi, gli anni dell’amministrazione Clinton, USAID ha distribuito nel Terzo Mondo qualcosa come 42 milioni di dosi, per un costo complessivo di oltre 40 milioni di dollari. E negli stessi anni, l’UNFPA ha fatto ancora peggio distribuendo – sempre nei Paesi poveri - 20 milioni di dosi l’anno.

I problemi provocati dal Depo Provera sono tali che ci sono diverse organizzazioni femministe che hanno lanciato campagne per fermarne la diffusione. Ma invano, troppo forti i poteri che la vogliono. Basti pensare che la ricerca ora pubblicata dal Lancet è già stata preceduta da diversi studi che lanciavano un analogo allarme. Già nel 1996, ad esempio, uno studio condotto dall’Aaron Diamond AIDS Research Center di New York sulle scimmie aveva messo in evidenza come il progesterone aumentasse il tasso di infezioni da Hiv, dovuto all’effetto riducente che ha sui tessuti vaginali rendendoli quindi più soggetti ad abrasioni e infezioni durante i rapporti sessuali. Nel 2004 un altro importante studio del National Institute of Child Health and Human Development, finanziato da USAID, rivela che le donne che usano il Depo Provera aumentano di 3 volte il rischio di malattie sessualmente trasmissibili, come gonorrea e clamidia. Ovvia la connessione con l'infezione da Hiv, ma ciò non basta a cambiare la politica di USAID, malgrado la ferma protesta di diverse organizzazioni femministe.

Non solo, nel luglio 2005 interviene sull’argomento anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità che, in un comunicato congiunto con un consorzio di agenzie dell’Onu che comprende UNFPA, UNDP (Programma per lo Sviluppo) e Banca Mondiale, giudica non rilevanti le conclusioni della ricerca del 2004 e quindi non ritiene necessaria alcuna restrizione nell’uso del Depo Provera.

Questi precedenti e il sostanziale silenzio che ha accolto la nuova ricerca pubblicata dal Lancet lasciano prevedere che nulla si muoverà anche ora per porre fine a questo scandalo. E il Depo Provera continuerà a provocare la diffusione dell’Aids e la morte di milioni di poveri in Africa, per mano degli stessi che poi hanno il coraggio di puntare il dito contro il Papa e la Chiesa sulla questione dei profilattici.