Confronto in casa leghista per ripartire dal "profondo Nord"
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Le anime della Lega a rapporto in Valtellina per gestire la sfida interna della "vannaccizzazione" e quella esterna dell'avanzata meloniana. Il luogo scelto non è casuale: un ritorno alle origini per riconnettersi col proprio elettorato storico.

Nel cuore della Valtellina, immersi tra i vigneti e le montagne, i leghisti lombardi si preparano a un fine settimana denso di confronti, riflessioni e strategie. Hanno deciso di ritrovarsi in un agriturismo, non solo per un momento conviviale, ma per provare a rinsaldare le fila e rilanciare la battaglia identitaria che, secondo molti dirigenti, è l’unica bussola in grado di riportare la Lega a parlare al suo popolo originario: il ceto medio produttivo del Nord.
All’incontro prenderanno parte tutte le anime del partito, da Matteo Salvini, leader nazionale e ministro delle Infrastrutture, al collega Giancarlo Giorgetti, titolare dell’Economia, fino a Roberto Calderoli, ministro delle Riforme e padre dell’autonomia differenziata. Accanto a loro, il governatore della Lombardia Attilio Fontana, gli assessori e i consiglieri regionali, pronti a ragionare sul percorso che porta al tradizionale raduno di Pontida, in programma domenica 21 settembre, ma anche sulle due minacce che, secondo i dirigenti lombardi, rischiano di destabilizzare il partito: la cosiddetta "vannaccizzazione", ovvero la possibile ascesa interna del generale Roberto Vannacci e dei suoi sostenitori, e la sempre più accesa rivalità con Fratelli d’Italia.
Il partito della premier Giorgia Meloni, infatti, per digerire l’investitura del leghista Alberto Stefani come candidato governatore in Veneto, chiede in cambio la guida della Lombardia fra due anni. In casa meloniana si moltiplicano le voci di chi spingerebbe per un anticipo del voto regionale al 2027, in primavera, in concomitanza con le politiche e le amministrative di Milano, invece che attendere la scadenza naturale prevista alcuni mesi dopo. Un modo per capitalizzare la spinta elettorale del momento e magari strappare la guida della regione simbolo del Nord produttivo.
Ma dalla Lega il messaggio è chiaro e arriva con le parole di Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato e segretario della Lega Lombarda: i voti ottenuti alle ultime regionali dalla lista ufficiale della Lega e da quella del presidente Fontana, insieme, equivalgono a quelli di Fratelli d’Italia. Dunque, per Romeo, i meloniani non hanno alcun diritto di rivendicare la candidatura a governatore.
Tuttavia, i segnali che arrivano da Fratelli d’Italia parlano un altro linguaggio.
Nel weekend, infatti, Arianna Meloni, sorella della premier e responsabile organizzativa del partito, sarà in Lombardia per lanciare, di fatto, la candidatura di Carlo Fidanza, europarlamentare fedelissimo di Giorgia Meloni, già attivissimo sul territorio e ormai in piena campagna elettorale. Una mossa che conferma come Fratelli d’Italia non intenda restare a guardare, soprattutto in una regione che vale milioni di voti e dove la Lega, un tempo dominante, ha cominciato a perdere terreno.
Da qui l’urgenza, per i leghisti lombardi, di riappropriarsi del proprio DNA: rilanciare con forza le battaglie identitarie, difendere gli interessi del Nord, pretendere l’attuazione dell’autonomia differenziata, cavallo di battaglia di Calderoli che ancora fatica a concretizzarsi. È in questa chiave che va letta la scelta del raduno in Valtellina: un ritorno alle origini, ai luoghi del consenso leghista più profondo, in cerca di quella linfa che un tempo rendeva il Carroccio il punto di riferimento assoluto del Nord.
E non è un caso che proprio Salvini, sebbene sempre più impegnato sul fronte nazionale e internazionale, abbia deciso di partecipare e intervenire. Il leader sa bene che la sopravvivenza politica della Lega passa dalla capacità di rigenerarsi nelle sue roccaforti e che Pontida, senza un messaggio forte, rischia di trasformarsi in un rituale svuotato.
Le tensioni interne, con il fenomeno Vannacci da gestire, complicano ulteriormente il quadro. Il generale, con il suo linguaggio diretto e le sue posizioni polarizzanti, continua a riscuotere simpatie in quella parte di elettorato leghista che si sente abbandonata dai vertici. Salvini lo ha voluto candidare alle europee, ma ora si trova a dover fare i conti con un’ala che potrebbe voler andare oltre il simbolo tradizionale del Carroccio. E mentre a destra si muovono i meloniani, con il volto rassicurante e istituzionale di Fidanza già in campo, la Lega non può permettersi ulteriori divisioni. Serve un rilancio unitario, un patto tra le anime del partito e soprattutto una nuova narrazione identitaria. Non bastano più gli slogan sul "prima il Nord" o sulla flat tax: il ceto medio, quello che lavora, produce, paga le tasse e che ha visto crescere le proprie difficoltà negli ultimi anni, chiede soluzioni concrete. Ed è proprio lì che si gioca la vera partita: la Lega deve tornare a essere voce e strumento di chi si sente ignorato da Roma, riscoprendo quella vocazione federalista e autonomista che fu la ragione stessa della sua nascita.
Il rischio, altrimenti, è che lo spazio venga occupato da chi, come Fratelli d’Italia, sta rapidamente costruendo una narrazione alternativa, fondata sul patriottismo nazionale ma capace di radicarsi anche al Nord. La sfida, dunque, è duplice: contenere l’espansione interna di figure non sempre allineate come Vannacci e arginare l’avanzata degli alleati-rivali meloniani. In mezzo, un partito che cerca di ritrovare se stesso e un territorio, la Lombardia, che resta centrale per ogni ambizione futura.
Se la Lega saprà riconnettersi con il suo elettorato storico, riaffermando i valori identitari e offrendo una visione concreta di autonomia e sviluppo, potrà tornare protagonista. Altrimenti, rischia di restare prigioniera delle sue contraddizioni, lasciando ad altri la guida di quel Nord che per trent’anni è stato la sua casa naturale.
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