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VITTIMISMO

Condanna a Report, il Garante della privacy ha deciso liberamente

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Report pubblica conversazioni private dell'ex ministro Sangiuliano, viene sanzionato dal Garante della privacy e grida al complotto. Ghiglia, membro dell'autorità, avrebbe ricevuto ordini dal governo. Tesi non sostenibile, per una serie di ragioni.

Politica 27_10_2025
Sigfrido Ranucci, conduttore di Report

Ieri sera, come anticipato da alcuni quotidiani, la trasmissione di Rai 3 Report ha rilanciato la notizia secondo cui Agostino Ghiglia, componente del Garante per la protezione dei dati personali, sarebbe stato visto entrare nella sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa poche ore prima che l’Autorità infliggesse una sanzione da 150mila euro alla Rai per la messa in onda degli audio privati dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano e di sua moglie, nell’ambito del cosiddetto “caso Boccia”.

Secondo l’inchiesta di Report, l’incontro di Ghiglia con Arianna Meloni, sorella del Presidente del Consiglio e figura di vertice del partito, costituirebbe una prova della mancanza di terzietà del Garante e di un presunto legame politico che avrebbe condizionato la decisione. Un impianto narrativo che, però, a guardarlo da vicino, si regge su congetture e non su fatti, e che finisce per configurarsi come un esempio di giornalismo a tesi, costruito per suggerire un sospetto piuttosto che per verificare una notizia.

È un metodo che ormai conosciamo: la promessa di “rivelazioni clamorose”, il tono insinuante, l’uso di domande retoriche che non affermano ma lasciano intendere, e la costruzione di una coincidenza temporale come se fosse una prova di colpevolezza. Ma i fatti, ancora una volta, raccontano una storia diversa. Mercoledì 22 ottobre, Ghiglia si è effettivamente recato nella sede romana di Fratelli d’Italia per un incontro di natura privata, circostanza mai negata, ma che nulla aveva a che fare con l’attività dell’Autorità di cui fa parte. L’indomani, giovedì, il Garante della Privacy ha deliberato la sanzione contro Report al termine di una procedura istruttoria che, come lo stesso Collegio ha precisato in un comunicato ufficiale, si era già conclusa da tempo e aveva seguito tutte le fasi previste dalla legge.

La decisione non dipende mai dal singolo componente, ma dal voto collegiale, dopo la presentazione della proposta elaborata dagli uffici dell’Autorità. Nel caso specifico, due dei quattro componenti, in questo caso il presidente Pasquale Stanzione e la vicepresidente Ginevra Cerrina Feroni, hanno votato a favore della multa, rendendo di fatto ininfluente il voto di Ghiglia (a parità di voti, quello del Presidente è decisivo). Sostenere che la sanzione sia stata “ispirata” da un incontro politico è dunque privo di logica e di riscontri, e appare come una pura illazione.

Lo stesso Garante, in una nota durissima, ha respinto le insinuazioni, ricordando «la piena indipendenza di giudizio e la libertà di determinazione dei suoi componenti», e sottolineando che «ogni procedimento è istruito dagli uffici e deliberato a maggioranza dal Collegio, dopo ampia discussione». Il presidente Stanzione ha definito le parole di Ranucci «illazioni gravissime» che «confondono la piena indipendenza del Garante con una presunta soggezione a logiche di governo», avvertendo che si tratta di accuse che rischiano di configurarsi come «un tentativo di indebito condizionamento dell’attività dell’Autorità».

A questo punto sorge spontanea un’altra domanda, ma di segno opposto: che vantaggio avrebbe avuto Fratelli d’Italia o il governo da una sanzione a Report? In che modo un procedimento amministrativo, fondato su violazioni accertate del Codice Privacy, avrebbe potuto favorire la maggioranza o danneggiare le opposizioni? Nessuno finora è stato in grado di spiegarlo, semplicemente perché non esiste un nesso. L’ipotesi di un “complotto politico” appare quindi priva di qualunque razionalità. Anzi, chi conosce le dinamiche istituzionali sa che l’Autorità Garante non è mai stata considerata allineata al governo: basti pensare al fatto che nelle partite decisive, come la definizione della governance sull’intelligenza artificiale, proprio l’esecutivo ha spesso scelto di non coinvolgerla, considerandola troppo autonoma. Dunque è difficile sostenere che il Garante si muova secondo logiche di fedeltà politica. Più plausibile è che la narrazione costruita da Report serva a spostare l’attenzione dal merito della sanzione – che riguarda la diffusione pubblica di una conversazione privata, una violazione oggettiva del diritto alla riservatezza – verso un terreno politico e polemico.

Il rischio, però, è quello di scivolare in un cortocircuito mediatico in cui si screditano le istituzioni indipendenti per salvaguardare l’immagine televisiva di qualcuno. E questo non è solo cattivo giornalismo: è un atto che mina la fiducia dei cittadini negli organi di garanzia. Del resto, se si volesse applicare lo stesso metro di giudizio adottato contro Ghiglia, bisognerebbe allora mettere sotto accusa magistrati che partecipano a dibattiti organizzati da partiti, relatori che intervengono a convegni di fondazioni politiche o membri di altre autorità indipendenti che prendono parte a eventi promossi da aziende su cui sono chiamati a pronunciarsi. Ma nessuno, in quei casi, parla di “scandalo”. Perché dunque dovrebbe diventarlo una semplice visita privata? La sensazione è che si sia voluto costruire un caso dove un caso non c’è, sacrificando la correttezza dell’informazione sull’altare della visibilità. E se davvero la missione del giornalismo d’inchiesta è quella di cercare la verità, non di suggerire sospetti, allora Report dovrebbe riflettere sulla differenza tra denuncia e insinuazione. Perché quando si passa dalla verifica dei fatti alla costruzione di un racconto funzionale a un pregiudizio, il diritto di cronaca smette di essere tale e diventa propaganda.