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CONGREGAZIONE DOTTRINA DELLA FEDE

Comunione ai politici pro-aborto, a Roma c'è Pilato

Comunione a Biden (e agli altri politici cattolici pro-aborto) sì o no? Il dilemma che divide la Chiesa americana ha ottenuto ieri una risposta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che, clamorosamente, non entra nel merito. Si limita a indicazioni procedurali, sostanzialmente chiede che qualunque sia la decisione ci sia unanimità tra i vescovi. Vale a dire che ogni vescovo continuerà a comportarsi come vuole. Disattesa anche l'indicazione che l'allora cardinale Ratzinger diede nel 2004 in una lettera ai vescovi americani.

Ecclesia 12_05_2021
Il presidente Usa Joe Biden in chiesa

Le elezioni presidenziali americane hanno portato in primo piano la posizione di un politico cattolico, il presidente Biden, che ogni domenica va a messa e si accosta alla Comunione eucaristica mentre sostiene apertamente e “in modo aggressivo” – come ebbe a dire il cardinale Burke – l’aborto.
Il programma attuato da lui e dalla vicepresidente Harris in questo primo periodo di presidenza è a dir poco devastante per la tutela della vita del concepito. In molti, sia durante la campagna che dopo le elezioni, hanno sostenuto che il presidente non dovrebbe accostarsi all’eucarestia e, come lui, ogni politico cattolico che sostenga il crimine dell’aborto e dell’eutanasia, ossia l’uccisione di persone innocenti. Tra l’episcopato americano, però, non tutti la pensano in questo modo, sicché il Presidente Gómez, vescovo di Los Angeles, ha scritto a Roma, informando la Congregazione per la Dottrina della fede della volontà della Conferenza episcopale di affrontare il problema.

Ieri è stata resa nota la lettera con cui il Prefetto della Congregazione, mons. Ladaria, ha risposto. In sintesi le indicazioni sono state tre: a) qualsiasi “politica nazionale sulla dignità della Comunione” deve godere dell’unanimità dei vescovi, b) non deve usurpare l’autorità di un vescovo in materia né pregiudicare le prerogative della Santa Sede, c) deve procedere in un dialogo in due fasi, prima dei vescovi tra loro e poi dei vescovi con i politici cattolici. Il Prefetto Ladaria chiede quindi il consenso di tutti i vescovi per evitare visioni fuorvianti e invita a evitare di far credere che l’aborto e l’eutanasia siano i soli elementi importanti di cui tenere conto nell’attività di un politico cattolico.

La prima cosa che viene da pensare davanti a questa posizione è che la Congregazione per la dottrina della fede, ossia la massima autorità della Curia Romana in fatto di dottrina, non si pronunci minimamente sul merito dottrinale della questione ma dia solo indicazioni di procedure. Ci si aspetterebbe un atteggiamento diverso da una Congregazione che è chiamata a dire la (pen)ultima parola proprio sulle questioni controverse, davanti alle quali essa invita invece solo a dialogare e a trovare un accordo. È come quando sette vescovi tedeschi, dissenzienti dalla maggioranza, posero a papa Francesco di dire una parola risolutiva sulla questione dell’intercomunione con i protestanti e il papa, per tutta risposta, invitò i vescovi a dialogare e a trovare un accordo tra loro. Anche la lettera di Ladaria è quindi espressione della crisi dell’autorità nella Chiesa. Una Congregazione che non risponde sulle questioni dottrinali non sembra servire a molto.

L’altro nodo di vecchia data che nella lettera viene al pettine, oltre a questo dell’autorità, consiste nel ruolo delle Conferenze episcopali. La Congregazione chiede unità sul tema. Ad un prima esame tale richiesta suscita grande preoccupazione. La Congregazione non dà indicazioni di merito, invita solo a dialogare, ma allora l’esito del dialogo potrebbe essere sia l’una sia l’altra soluzione e l’unità potrebbe fondarsi solo su se stessa, indifferente ai contenuti di verità. Mi è impossibile pensare che Ladaria la pensi così, anche se molta teologia di oggi darebbe ragione a questo atteggiamento incentrato sull’unità più che sulla verità.

Allora viene da pensare che l’unità sia richiesta per impedire che la Conferenza episcopale usurpi la dignità canonica dei vescovi. Teologicamente la Conferenza episcopale non è niente, mentre ogni singolo vescovo fedele al papa è successore degli Apostoli. L’unanimità garantirebbe che le decisioni non hanno prevaricato la dignità episcopale di ogni singolo vescovo. Però è anche possibile un’altra interpretazione: l’unità tramite i dialogo è proposta perché dilaziona all’infinito ogni decisione in materia e il rispetto della dignità di ogni singolo vescovo [la lettera cita il n. 24 del documento Apostolos suos] è fortemente richiesta per far sì che gli Ordinari contrari ad escludere dalla comunione i vari Biden possano comunque farlo. La Congregazione non risponde, allunga i tempi verso una unità irraggiungibile e permette ai vari vescovi tipo Cupich di minimizzare la gravità delle politiche “aggressivamente” abortiste.

C’è infine un altro aspetto piuttosto strano nella lettera di Ladaria. Egli ricorda una lettera inviata dal Prefetto Ratzinger nel 2004 ai vescovi americani nella quale si davano chiare indicazioni in materia: il vescovo avrebbe dovuto chiamare a colloquio il politico abortista, esporgli la dottrina cattolica, invitarlo ad abbandonare le proprie posizioni, lasciargli un tempo di ripensamento e, poi, se avesse proseguito nella stessa strada, avrebbe dovuto invitarlo a non presentarsi alla messa per ricevere la Comunione che era possibile gli fosse negata. Queste autorevoli indicazioni vengono minimizzate da Ladaria, perché contenute in una comunicazione privata. Egli invita a leggerle alla luce della Nota del 2002 a firma Ratzinger sull’impegno dei cattolici in politica, dove però non si parla di accesso alla Comunione. Accade così che la Nota di gran lunga più disattesa dai vescovi diventa ora motivo per correggere le indicazioni del cardinale Ratzinger, date poco prima di diventare papa.