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IL CASO

Chi piange sulla libertà (di intercettazione) minacciata

Alberto Statera, scrittore e illustre opinionista di Repubblica, piange calde lacrime sui «tempi cupi» che attendono i giornalisti, minacciati dall’offensiva del governo Renzi che ha sul tavolo i dossier su diffamazione e intercettazioni telefoniche. Libertà e impunità cui Repubblica non intende proprio rinunciare.

Politica 12_05_2015
Alberto Staatera, editorialista di Repubblica

Prima nelle vendite in edicola, prima nelle copie online e prima nella raccolta della pubblicità, ora Repubblica si candida pure a diventare la gazzetta di prima classe dei giornalisti indignados, quelli liberi, dalla schiena dritta e senza collare. Un ridicolo ossimoro e una grottesca ambizione, data la fama del quotidiano debenedettiano, universalmente riconosciuto come la vera e più efficiente “macchina del fango” nel terreno già paludoso dei media italiani. Nella sua rubrica “Oltre il giardino”, Alberto Statera, illustre opinionista e scrittore, piange calde lacrime sui «tempi cupi» che minacciano i giornalisti: non solo già «sopportano» centinaia di cause legali («ingiustificate», ça va san dire), ma devono  pure fronteggiare l’offensiva del governo Renzi su diffamazione e intercettazioni telefoniche, che promette «niente di buono per la libertà di stampa». Ok, si scrive “stampa”, ma si pronuncia Repubblica, si dice libertà, ma si intende licenzia di diffamare e rubare a piacimento, come insegnano le telefonate bollenti soffiate all’ex Cavaliere di Arcore.

Inutile sperare, però, predica Statera, che la resistenza alla minaccia renziana venga dagli stessi giornalisti, categoria che nella classifica dei lavoratori più affidabili si piazza al penultimo posto, di un soffio prima degli sfaticati travet del pubblico impiego. Insomma, gli italiani l’hanno capito: giornali e giornalisti non sono più “watch dog" come dicono gli inglesi, cani da guardia del potere, semmai soltanto “hot dog”, panini superfarciti e pepati per far meglio ingurgitare al pubblico gli indigesti sapori «della politica squalificata e dell’alta finanza rapace». Tanto per farsi capire, Stadera fa l’esempio di Expo: dalla critica feroce degli scandali e dei ritardi, i giornalisti sono passati alla santificazione universale con «articoli gonfi di squarci poetici che, talvolta sprezzanti del ridicolo, hanno esaltato perfino “le luci e gli odori che ti guidano tra le spezie e i legumi della terra”».  Ohibò, da dove viene questo rigurgito di black blochismo e furia no global? Ormai lo sanno tutti: 2,3 sono i milioni che la società che gestisce l’esposizione ha erogato a giornali ed editori italiani per diffondere e pubblicizzare l’evento. Lo sanno tutti, ma non l'opinionista e i colleghi dovrebbero avvertirlo: Repubblica ha incassato da Expo quasi 400mila euro per 72 pagine di “Guide editoriali”. Expo spa è poi tra i principali sponsor de “La Repubblica delle idee”, la manifestazione pubblica di incontri e dibattiti, curata personalmente dal direttore Ezio Mauro e interpretata dalle migliori firme del quotidiano. Considerando che gli sponsor di Re pagano attorno ai 500 mila euro a botta, facile immaginare quanto costino a Expo “le idee di Repubblica”. 

Dunque, spezie, verdurine e orti bio concimati con gli euro fruscianti dell’esposizione universale hanno trovato anche nel quotidiano di Statera i loro zelanti giardinieri. Ma questo non è niente: le frecce più velenose l’editorialista le tira contro Antonello Soru, il Garante della Privacy, «Dermatologo di professione e parlamentare democristiano di lunghissimo corso»: cocktail micidiale, secondo Stadera, che dovrebbe bastare a screditarlo davanti al popolo italiano. Quella del Garante, dice il repubblichino, è un’istituzione inutile, dato che c’è già Repubblica a garantire per tutti. Soru, poi, ha l'inconfessabile colpa di volere una legge che ponga un freno alla pubblicazione delle intercettazioni e al giornalismo voyeuristico “che pesca a strascico nella vita degli altri”. Eh no, questo è un attentato alla democrazia, al Pil nazionale e ai lavori socialmente utili: passasse una  legge così, che ne sarebbe del quotidiano debenedettiano e dei suoi reporter occhiuti e orecchianti? «Non potranno più permettersi di decidere», piagnucola Statera, «che cosa è l’interesse per i lettori, una delle basi della libertà di stampa». Roba da manuale del perfetto non giornalista e dell’aspirante falsario: l’informazione non ha bisogno affatto di essere sottoposta al giudizio di verità, in nome della libertà i quotidiani possono svergognare chiunque, entrare nelle camere da letto, origliare al telefono, pubblicare il sentito dire. Nell’interesse dei lettori, certo, ma soprattutto dell’opinionista di Repubblica. Che vorrebbe continuare a diffamare, anche dopo aver incassato il malloppo.