Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
AMBROGINO D'ORO

Anna Monia Alfieri: libertà scolastica ora, o sarà un disastro

Suor Anna Monia Alfieri, da sempre in prima linea per la difesa delle scuole pubbliche paritarie, ha ottenuto da Milano il riconoscimento dell'Ambrogino d'Oro, per il suo impegno sociale. Ora più che mai, spiega alla NBQ, serve riconoscere alla scuola pubblica paritaria il suo ruolo, altrimenti il sistema, sotto la pressione del Covid, è destinato al collasso. 

Educazione 20_11_2020
Studenti in protesta alla sede della Regione Lombardia

Suor Anna Monia Alfieri, legale rappresentante dell’Istituto Marcelline, membro della Consulta di pastorale scolastica e del Consiglio nazionale scuola della Cei (e collaboratrice di questo giornale), è da sempre in prima linea in difesa delle scuole paritarie. Milano ha riconosciuto il suo infaticabile impegno sociale conferendole, quest’anno il premio Ambrogino d’Oro. Nata a Nardò (Puglia), ha dedicato la massima onorificenza meneghina “a mio padre Luigi e a mia madre Cristina, a tutti i genitori e agli studenti, certa che presto potranno scegliere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria senza alcun vincolo economico”. Alla Nuova Bussola Quotidiana confida la sua speranza che il premio conferitole sia un segno di incoraggiamento per non abbandonare la scuola paritaria. “E voglio essere positiva in questo senso”.

Che cosa può attendersi dal governo Conte?

Come abbiamo dimostrato, allo Stato servono sia la scuola paritaria che quella statale. La scuola non è partita a settembre per tutti. Non è partita per i poveri e per i disabili. Subito dopo ha chiuso di nuovo. Continuiamo a trattare la chiusura delle scuole come se fosse una forma di vaccinazione: se aumenta il contagio, chiudiamo, se scende riapriamo, se aumenta di nuovo chiudiamo ancora… Se non poniamo fine a questa operazione, andrà avanti fino al giugno 2021.

Come si spiega che il Covid abbia provocato, per la seconda volta, la chiusura delle scuole, quando in altri Paesi, in piena seconda ondata, gli studenti vanno in aula?

Il Covid ha evidenziato ulteriormente i tre grandi limiti del sistema italiano: mancanza di aule, carenza di organico e congestione dei trasporti. Questi sono i tre grandi problemi che l’Italia si trascina dietro nel corso degli anni e che non ci sono nel resto d’Europa. Infatti, se i Paesi europei, mediamente, hanno riaperto le scuole in aprile o maggio, non è per incoscienza, ma perché non hanno questi tre problemi. Noi non vi abbiamo posto rimedio nel corso dell’estate, quindi abbiamo dovuto richiudere subito. La Francia e la Germania hanno riaperto le scuole in maggio e tuttora sono in funzione, soprattutto perché c’è molto più pluralismo. Nella laicissima Francia, la famiglia può scegliere di mandare il figlio in una statale o in una paritaria, anche cattolica, a costo zero. Non si pongono il problema che quelle scuole siano cattoliche, ma di come usare al meglio i soldi dei cittadini. In tutta Europa c’è maggiore libertà di scelta. In tutti i Paesi ex comunisti si è puntato al maggior pluralismo possibile, proprio per non tornare nel comunismo. L’Italia è purtroppo una tragica eccezione in Europa. Assieme alla Grecia.

Come si può intervenire sulla Legge di bilancio?

Attualmente è discussa alla Camera dei Deputati. Sarà in quella sede che le opposizioni potranno proporre gli emendamenti già pronti e mi auguro che anche il governo li possa accogliere. Contengono gli accordi fra le 40mila scuole statali e le 12mila paritarie, la revisione delle linee di finanziamento, con 5500 ad allievo, l’accordo fra compagnie di trasporto pubbliche e private (per aumentare il numero dei mezzi ed evitare affollamenti) e il fondo per le disabilità. Se non si fanno questi passi, la scuola italiana non potrebbe ripartire. Sarebbe una tragedia.

Quali sarebbero le prime conseguenze?

Si trasformerebbe il diritto all’istruzione in un privilegio. Avremmo una deprivazione culturale senza precedenti, un analfabetismo di ritorno, la dispersione scolastica aumenterebbe e ingrosserebbe le fila delle mafie, i disabili sarebbero sempre più isolati e si negherebbe ai giovani di ripagare il debito futuro. Tutto questo sarebbe l’eredità di quel che stiamo decidendo in questi giorni. Non potremmo nemmeno più dare la colpa al Covid: dovremmo dire che “a causa del rialzo della curva di deprivazione culturale, chiudiamo”. Perché i docenti mancavano prima e mancheranno ancora dopo l’arrivo del vaccino. E perché mancano i docenti? Perché i docenti sono soprattutto nel Sud e le cattedre vuote sono nel Nord. Con il Covid e la chiusura delle regioni i docenti si spostano ancora meno. Dopo il Covid, saranno impoveriti e avranno minori possibilità di trasferirsi al Nord. Se non si fa un accordo fra scuole paritarie e statali, né un censimento completo dei docenti, non se ne esce.

La sinistra di governo continua però a ribadire, Costituzione alla mano, che la scuola paritaria non deve sottrarre risorse a quella statale…

Non è così, ma facciamo anche finta che lo sia. Qui il problema non è neppure di risorse: qui, semplicemente, paritaria e statale sono indispensabili entrambe se si vuole far ripartire il Paese. E non parlo delle scuole per ricchi, che sono sempre esistite ed esisteranno ancora, ma di scuole paritarie che permettano anche ai poveri e ai disabili di tornare in classe. Dal punto di vista economico, con 5500 euro ad allievo, lo Stato risparmierebbe 5 miliardi di euro di tasse dei cittadini. La scuola statale costa 8500 euro ad allievo e non è ripartita: mancano le aule, i docenti e persino la carta igienica. Sono soldi, quindi, che finiscono nelle maglie della burocrazia, pura dispersione delle risorse dei cittadini.

La didattica a distanza (Dad) non è una soluzione?

Non va bene, perché si replica una lezione in presenza, ma a distanza. La vera didattica a distanza avrebbe richiesto una preparazione dei docenti completamente differente. E non tutti hanno i mezzi per accedervi: 1 milione e 600mila allievi non possono seguire le lezioni a distanza. E’ un modo per escludere i poveri. I disabili sono ancora più isolati. Si creano, nei ragazzi, oltre a buchi culturali enormi, anche altre forme di disagio: l’incapacità di dialogo e di confronto. Non impareranno più a gestire lo stress di una relazione, a sostenere uno sguardo, avremo tante piccole monadi.