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EFFETTI COLLATERALI

Anche il Green Pass fa le sue vittime

Un anziano malato oncologico fatto scendere dal treno perché il Green pass è scaduto da mezz'ora; una signora anziana gravemente malata lasciata fuori da un centro commerciale perché senza il lasciapassare. Sono solo due dei tanti casi di applicazione disumana e irrazionale della normativa, simbolo delle nuove schiavitù. 

Attualità 18_10_2021

Non solo affetti avversi da vaccino. Anche il lasciapassare verde sta iniziando a fare danni. E non pochi. Due fatti che mi sono stati raccontati a viva voce dagli sfortunati protagonisti, con la richiesta comprensibile di mantenere l’anonimato per tutelare i propri cari ammalati coinvolti.

Il primo. Una coppia abruzzese deve recarsi in una clinica di Peschiera del Garda per delle importanti visite; lui, malato oncologico, lei accompagnatrice. L’appuntamento è di lunedì mattina. Per chi ha deciso di non vaccinarsi, per poter prendere il treno è d’obbligo sottoporsi ad un tampone il sabato pomeriggio: la Domenica impossibile, il lunedì mattina troppo tardi. L’appuntamento era previsto nelle prime ore della mattinata del lunedì, ma alcuni disguidi spostano il tutto dopo mezzogiorno. Ritardo non previsto e indipendente dalla propria volontà. Saliti sul treno per il ritorno e già in viaggio, la coppia incappa in un controllore: biglietto a posto, ma, per lui, green-pass scaduto da circa 30 minuti.

Hai voglia a spiegare che non si tratta di una furbata, con tanto di documentazione della visita effettuata e della condizione di malato oncologico del pover’uomo. Il controllore, come tanti piccoli kapo che crescono, ha ormai ridotto la sua umanità al linguaggio binario “valido-non valido”. Persino le persone presenti sul vagone cercano di far riflettere il controllore: si tratta di una persona di una certa età, malata. Niente da fare: il signore deve scendere, perché lui, il piccolo kapo, non vuole avere grane. L’incredibile trattativa - che ha previsto anche il cambio, senza senso, della carrozza - raggiunge il compromesso di attendere almeno la città in cui la coppia deve cambiare treno. Giunti a Bologna, corsa alla ricerca di una farmacia, altro tampone e green-pass, nuovo di pacca: liberi di girare per altre 48 ore! Poi di nuovo cittadini di serie B, ammesso che di “cittadini” si possa ancora parlare.
Al rientro alla stazione, l’incontro con il controllore. La signora che accompagnava l’uomo malato, con una dignità ammirevole, si tira giù la mascherina, guarda l’improvvisato “sceriffo” e gli intima di guardarla per bene. Poi gli mostra il nuovo green-pass, dicendogli: “Hai capito che ci siamo presi per il .... per tutto il viaggio?”. Risposta affermativa del piccolo kapo. Il quale però acquieterà la propria coscienza, convinto di aver fatto il proprio dovere.

Fatto numero due. Un caro amico porta la madre anziana, con demenza senile e ormai in carrozzina, ad una visita per rivedere la terapia farmacologica. Dalla montagna alla città, si impiega circa un’ora di strada. Si arriva, si parcheggia, si attende il proprio turno, si fa la visita... le cose vanno più lunghe del previsto, come spesso capita, e arriva l’ora del pranzo. L’anziana signora, ultranovantenne, inizia a manifestare di aver fame. Di fianco all’ambulatorio medico, c’è un centro commerciale con una mensa. Il figlio entra e fa notare di avere con sé una persona anziana e disabile. Ma sopra ogni altra considerazione, c’è la normativa sul green-pass. Niente da fare dunque. La nuora si mette in fila per avere almeno una porzione di lasagna da asporto, pasto consumato dalla povera anziana sui sedili della macchina, nel parcheggio del centro commerciale.

Due fatti nel giro di pochi giorni. E chissà quanti altri se ne stanno verificando in questa nostra Italia, che sembra aver perso la sua vocazione di madre della civiltà. Piccoli fatti che rilevano però il terribile male che ammorba la nostra (in)civiltà. Il criterio dominante è ormai divenuto uno solo: come evitare problemi, attenendosi all’ultimo decreto-legge di turno. Non ci si pone più la domanda sul bene concreto da compiere e sul male, altrettanto concreto, da evitare. Non importa se far scendere dal treno un malato oncologico, in viaggio dalla mattina presto e comprensibilmente stanco, può essere un male; non importa se far mangiare una donna anziana e disabile in un parcheggio è una roba che nemmeno i barbari si sognavano. Importa solo aver obbedito ad una norma umana, per non avere poi problemi, qualora dovesse arrivare il kapo del kapo, magari su “incentivo” di qualche delatore.

Evidentemente la solidarietà umana, quel senso di umana compassione verso chi è in posizione di svantaggio e necessità si è sciolto come neve al primo raggio di sole. La nostra civiltà è stata edificata sul Vangelo e, per quanto riguarda l’Occidente, sulla Regola di San Benedetto, che giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo, hanno inculcato nella concretezza della vita degli uomini alcuni principi vitali.

Così è nata la civiltà: «Temere il giorno del giudizio. Pensare con terrore alla realtà dell’inferno [...]. Avere ogni giorno davanti agli occhi il pensiero della morte. Vigilare costantemente sulla propria condotta di vita. Essere ben consapevole che in ogni luogo Dio ci vede» (RB IV, 44-45. 47-49). Ci siamo raccontati che questi principi erano roba antiquata, da Medioevo, contrari al vangelo della misericordia e della gioia. Siamo stati confermati e incalzati dai libri di teologia e dalle prediche che questi moniti hanno causato l’allontanamento degli uomini dalla fede e che dunque non potevano più trovare spazio nella nuova pastorale. Ora abbiamo sotto i nostri occhi l’esito di questa nostra insipienza: gli uomini non pensano più al giorno del giudizio di Dio, ma ad evitare di essere processati dai propri simili; gli uomini non tengono conto che Dio li vede, ma forse qualche delatore sì; gli uomini esorcizzano il giorno della propria morte e del rendiconto senza appello, e così agiscono per cercare di rimanere il più a lungo aggrappati a questa vita, infischiandosene di compiere il bene ed evitare il male. Di Inferno non ne parliamo proprio: incompatibile con la misericordia di Dio e quindi impossibile finirci dentro, qualunque cosa compiamo in questa vita.

E avanti così. Rimossi questi capisaldi cristiani, tolti Dio e i novissimi dall’orizzonte umano, l’animo dell’uomo non è divenuto più libero, ma si è fatto invadere da una specie di escatologia misera e orizzontale, che lo tiene schiavo dell’ultima normativa governativa e dell’arbitrio dello sceriffo di turno. «Avendo tralasciato il comandamento di Dio vi attenete alla tradizione degli uomini» (Mc 7, 8): è questa la migliore descrizione di questa nostra generazione, così attenta a non violare i precetti assurdi e contraddittori degli uomini, e così pronta a calpestare i comandamenti di Dio.