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ATENE

Altra sorpresa dalla Grecia: Tsipras si dimette

Messo in minoranza dal suo stesso partito, il premier greco Alexis Tsipras annuncia le sue dimissioni. In Grecia si riapre il gioco politico. E gli accordi finora presi con i creditori europei? Potrebbero tornare in discussione, proprio quando il fondo salva-stati aveva erogato i primi 13 miliardi ad Atene. 

Esteri 21_08_2015
Alexis Tsipras

Il premier greco Alexis Tsipras ha annunciato le sue dimissioni, anche se non le ha ancora formalizzate. Nei prossimi giorni, dopo una consultazione interna al suo partito Syriza, andrà a cospetto del Presidente della repubblica greca Prokopis Pavlopoulos per presentarle ufficialmente. Le previsioni parlano di un periodo di interregno che durerà tre settimane o un mese, durante il quale il governo sarà provvisoriamente retto dalla presidente della Corte Suprema, Vassiliki Thanou-Christophilou, come prescritto dalla Costituzione. Si tratterebbe della prima donna premier (anche se non eletta) nella storia della Repubblica Ellenica.

La decisione di Tsipras arriva a seguito della spaccatura interna al suo partito, in disaccordo sul piano di aiuti approvato dai creditori europei in cambio di riforme e risanamento dei conti. L’estrema sinistra scissionista, ispirata dall’ex ministro delle Finanze Varoufakis ritiene che le condizioni poste dai creditori, benché mitigate rispetto ai piani precedenti, siano ancora troppo dure, pressoché inaccettabili. E la protesta è anche un segno di disaffezione nei confronti di Tsipras, che si è reso protagonista del referendum di inizio luglio, caricato di attese e di promesse rivoluzionarie poi completamente disattese. Se i greci si aspettavano di aver fatto prevalere la “volontà popolare sulla finanza”, come lo stesso governo Tsipras aveva propagandato nella sua retorica di estrema sinistra, l’accordo successivo è stato un duro bagno di realtà. Lo stesso premier e il suo nuovo ministro delle Finanze, Euclide Tsakalotos, avrebbero sperato di trovarsi in una condizione di maggior forza, col voto popolare alle spalle. E probabilmente non si aspettavano 17 ore di “waterboarding psicologico” nell’Eurogruppo (come è stato definito il duro negoziato) in cui hanno dovuto accettare, con non pochi compromessi, il piano proposto dai creditori, onde evitare il pericolo dell’espulsione della Grecia dalla zona euro. A raccogliere la delusione della sinistra greca c’è ora gran parte del partito del premier, tanto che Tsipras avrebbe dovuto pendere dal voto favorevole dei suoi avversari europeisti: i conservatori di Nea Demokratia, i socialisti del Pasok, i centristi di To Potami. Alla fine, per evitare di far la figura del “servo dell’euro”, Tsipras ha preferito salvare la sua immagine e contare di nuovo il voto dei greci. Come quando ha indetto il referendum, ha preferito rimettere tutto in discussione piuttosto che accettare il ruolo, scomodo quanto si voglia, di leader pragmatico che accetta la realtà di un paese sull’orlo della bancarotta, dipendente dagli aiuti europei

Lo spirito con cui affronta questa nuova prova elettorale, si deduce dai toni messianici del suo discorso di ieri. “Ho la coscienza a posto, in questi mesi ho combattuto per il mio popolo”. “Vogliamo un forte mandato, un governo stabile e la solidarietà con la società che vuole le riforme in senso progressista”. “Abbiamo portato il caso greco in tutto il mondo. Siamo stati da esempio per altri popoli. L'Europa non è più la stessa dopo questi mesi” perché “l'idea di porre fine alle misure di austerità sta prendendo piede e noi, la Grecia, abbiamo avuto un ruolo molto importante in queste nuove idee e saremo sempre al primo posto”. Ma cosa ci attende, adesso? Se il 13 o il 20 settembre (a seconda delle decisioni che verranno prese a breve) si terranno elezioni vinte da Tsipras, contro i suoi avversari di sinistra o di destra, vorrà dire che il piano di aiuti dei creditori internazionali avrà una più solida base in Grecia, perché sarà accettato da un governo appena rieletto e dotato di una maggioranza più solida. Ma negli ultimi due anni questo scenario di stabilità non si è mai più visto in Grecia. Riassumendo in poche parole, dal 2012 ad oggi abbiamo assistito a: elezioni in bilico, governo di minoranza, elezioni anticipate, governo di estrema sinistra, referendum, quasi-default, scissione della maggioranza, nuove dimissioni e adesso nuove elezioni anticipate. Come sarà possibile rassicurare ancora i creditori (fra cui l’Italia) d’ora in avanti?

L’annuncio delle dimissioni di Tsipras e la riapertura del gioco politico in Grecia, coincide proprio con l’erogazione del primo prestito dall’Esm, il fondo salva-stati europeo. Ieri, poche ore prima dell’annuncio delle dimissioni, Atene aveva incassato la sua prima tranche da 13 miliardi, la prima parte di un prestito di 26 miliardi di cui godrà entro la fine dell’anno, a sua volta prima tranche di un prestito di 86 miliardi complessivi in 3 anni. Di questi 13 miliardi, poco più di 10 rientreranno subito ai creditori: 7,16 serviranno a ripagare il prestito-ponte e altri 3,2 in rimborsi alla Bce.  Per la fine di novembre la Grecia riceverà altri 3 miliardi di euro e gli altri 10 saranno erogate attraverso obbligazioni a tasso variabile, ma su questi ultimi si attende ancora l’approvazione del consiglio d’amministrazione dell’Esm. L’erogazione del fondo salva-stati era un segnale chiaro: dopo sei mesi di retorica anti-austerity di Tsipras, sei mesi di estenuanti negoziati, dopo essere arrivati quasi al punto di rottura, dopo il referendum, dopo che la Grecia era arrivata sull’orlo della bancarotta e dopo un’altra settimana di ancor più estenuanti negoziati, l’Europa aveva appena ritrovato un suo nuovo equilibrio con la Grecia. Ma se adesso si torna alle urne, si tornerà ancora al punto di partenza? Il rischio esiste e le premesse non sono affatto buone.