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soprannaturale

A Napoli San Charbel indica la vera risposta al dolore umano

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La fede o la realpolitik? È la domanda implicita nel prodigio partenopeo del santo libanese in un momento cruciale per l'Italia. Uno scossone salutare per scuotere una fede così “adulta” da scendere a patti con la cultura della morte.

Editoriali 02_08_2025

Non solo San Gennaro: a Napoli sbanca San Charbel Makhluf. Giovedì 24 luglio, memoria liturgica dell’eremita maronita, nella chiesa di San Ferdinando di Palazzo, il Rettore, Mons. Pasquale Silvestri, al termine della S. Messa, aveva deciso di amministrare l’olio del Santo ai numerosi fedeli convenuti, circa 500 persone.  L’ “olio di San Charbel” è ormai molto diffuso anche nella nostra Penisola; esso viene benedetto dai sacerdoti maroniti del monastero di Annaya, situato a nord di Beirut, presso la tomba del Santo, ed inviato a quanti ne fanno richiesta. Quest’olio ha portato conforto e consolazione a tantissimi fedeli cristiani sparsi nel mondo, ma anche a uomini e donne di altre religioni, in particolare musulmani, e non di rado è stato – e continua ad essere – il mezzo scelto da Dio per concedere anche guarigioni strepitose.

Torniamo al 24 luglio. Come racconta lo stesso Mons. Silvestri, mentre stava ungendo il capo alle numerosissime persone presenti con l’olio contenuto in una piccola boccetta, «a un certo punto, l’ampolla si è quasi svuotata e ho temuto di non poter soddisfare tutti gli ammalati presenti. Ormai capovolgevo l’ampolla per intingere il dito con le ultime gocce rimaste ma, nonostante i miei timori, sono riuscito ad ungere tutti gli ammalati che lo hanno chiesto. Terminata, pertanto, la somministrazione dell’olio, ho meccanicamente chiuso l’ampolla e l’ho riposta nella teca degli olii e, nel riporre l’ampolla, mi sono reso conto che era di nuovo piena di olio. Non credevo ai miei occhi tanto che ho dovuto illuminare per bene quella zona e ho constatato che l’ampolla era tornata piena».

La testimonianza è stata scritta di proprio pugno dal Rettore, in una lettera ufficiale, con tanto di timbro della Rettoria, del 27 luglio, indirizzata a P. Elias al Jamhoury, procuratore e postulatore dell’Ordine Libanese Maronita. Mons. Silvestri chiama a testimonianza del prodigio un collaboratore, Leo, il quale stenta a credere ai suoi occhi: l’olio di quella piccola boccetta doveva essersi necessariamente consumato a fronte di un numero così elevato di persone. A quel punto, continua il Rettore, «ho mostrato l’ampolla e raccontato quanto era accaduto a tutti i presenti che hanno visto e possono confermare la veridicità» dei fatti raccontati.

Ai prodigi non ci si abitua mai, anche se a compierli è San Charbel, che pare ne abbia sfornati ormai quasi trentamila, almeno tra quelli documentati. E ogni volta è un salutare scossone alla nostra fede così “adulta” da essere tiepida, così aggiornata da essere languida, così moderna da essere incredula: tumori svaniti nel nulla, sordi che odono, zoppi che camminano, perfino interventi chirurgici effettuati dallo stesso Santo, il quale sembra non fare troppo conto delle regole ferree degli Ordini dei Medici e delle strutture ospedaliere. Di fronte a tutte queste testimonianze strabilianti, che quasi rischiano di far passare per dilettante Padre Pio, la “semplice” moltiplicazione dell’olio avvenuta nella città partenopea sembra essere poca cosa. Invece…

… invece ha molto da dire nel momento cruciale che la nostra Patria sta attraversando. Perché l’olio di San Charbel è il potente segno della consolazione che Dio vuole donare a quanti soffrono, nel corpo e nello spirito. Ad un mondo ecclesiale che, di fronte alla sofferenza, sembra non saper far altro che ripiegare su insipienti compromessi politici ed insistere esclusivamente sui sollievi umani (vedi cure palliative), dall’Alto arriva un sonoro richiamo alla missione della Chiesa: denunciare il male, contrapporsi ad esso, ed elevarsi ad un piano superiore, quello della preghiera e dei mezzi soprannaturali.

Le cure palliative, per quanto certamente utili, a patto che non si facciano assorbire dalla retorica infida della “lotta al dolore inutile”, non sono affatto la vera risposta al dolore umano; ed ancor meno lo è il suicidio assistito, che invece è la negazione radicale del senso della vita. La risposta alla sofferenza non può che venire dall’alto, sia per illuminarne la potenzialità redentiva che per darci quanto necessario per portarla senza esserne travolti. Perché bisogna essere onesti: il dolore fisico, morale e spirituale, in quanto tale, non ha nulla che attragga e di fatto è una devastazione per la persona umana, una vittoria della morte sulla vita. Se non c’è nulla oltre la biosfera, se la realtà si chiude all’orizzonte percepito dall’occhio umano, allora non c’è storia: il dolore è inutile ed è bene che cessi quanto prima, con i mezzi umani che si hanno a disposizione in ogni epoca storica. Lo stoicismo ha certamente il fascino dell’eroismo, ma alla fine anch’esso soggiace alla logica di un mondo ripiegato su se stesso; il suicidio diviene così l’atto estremo di affermazione di una razionalità che pretende di dominare la vita e la morte, ma che in realtà semplicemente non riesce ad attendere un Redentore.

L’olio di San Charbel è un potente richiamo a non voler risolvere da sé i problemi della vita, a non perdersi nei meandri di ragionamenti che appaiono plausibili, prudenti e realisti (la politica è politica!), ma che in realtà non sono altro che l’accettazione della strategia demoniaca di volerci far affrontare la vita e la morte, la gioia e la sofferenza senza elevarci più in alto. Il miracolo dell’umile eremita libanese ha la forza di ciò che è semplice, persino elementare: un poco di olio di oliva può divenire strumento di portenti impensati, se ad esso l’uomo unisce ciò che ha di più sublime e potente: la fede; quella fede che si traduce in preghiera viva e fiduciosa, insistente e pur sempre umile. Quella preghiera che il Signore Gesù ci chiede insistentemente nel santo Vangelo e che non è mai sterile. A rendere sterile la vita è la mancanza della fede supplice, è la risposta muta o incerta alla sua domanda: «Credete voi che io possa fare questo?» (Mt 9, 28).

Questa domanda, San Charbel la ripropone al nostro mondo distratto e disperato, ma la rivolge soprattutto alla sua Chiesa: credete che questo mondo abbia bisogno non di altro se non della luce della fede, dell’olio della consolazione divina? Avete ancora il coraggio di rispondere agli aggrovigliati ragionamenti della superba realpolitik con la debolezza della fede? Credete che anche nel 2025, dopo secoli di demitizzazione delle Scritture, razionalizzazione dei misteri, assolutismo scientifico, il braccio del Signore non si è accorciato (cf. Nm 11, 23), né è venuta meno la farina nella giara e l’orcio dell’olio non è diminuito (cf. 1Re 17, 16)?

In terra partenopea San Charbel ha indicato l’unica vera strada che la Chiesa deve mostrare a chi invoca il suicidio assistito: beato chi avrà la semplicità di coglierla.